Fabrizio Marchi, intellettuale della politica e non politicante

Fabrizio è una carissima persona, un amico affettuoso, un intellettuale della politica e non un politicante. Per questo, per nobilitare la politica, ha voluto metter su “l’Interferenza” rivista on line di preziosa militanza critica di sinistra con cui, soprattutto alla sua fondazione oltre 7 anni fa, ho avuto il piacere e l’onore di collaborare.

Dunque intellettuale perché intelligente e coraggioso, non perché snob, anzi la sua attività è sempre andata nel senso contrario all’arcobalenizzazione, alla chiacchiera dei diritti e dei generi, in cui si è estinta la sinistra. Soprattutto intellettuale generoso, cioè per dirla con Gramsci, intellettuale collettivo, organizzatore di altri pensatori sensibile alla loro cultura. Per me formatore: con nessun’altro, all’Interferenza e non solo, mi sono sentito tanto libero di dire e tanto intensamente ascoltato. Filosofo, non tanto per il pezzo di carta ma perché è rimasto fedele alla verità; lontanissimo dalle quisquiglie letterarie dell’accademia si è impastato, invece, nelle complesse passioni della vita che è anche riuscito a fissare nei suoi libri con una scrittura pura, diretta come lui. Infatti il suo impegno non è di fioretto ma di spada, anzi di guantoni di quel pugilato che tanto ama e che gli ha permesso, non solo nelle palestre della periferia, di continuare ad ascoltare e discutere con gli umili, il popolo romano che apprezza la schiettezza.

E ora si vota per Roma che è soprattutto la sua periferia dove le lobby decadenti della sinistra correct non mettono il naso e la destra vorrebbe metterci mano e cemento. Per questa sua passione sfrontata è la persona più autonoma che conosca e non a caso si candida come indipendente in un partito lontanissimo da ogni appetito amministrativo; partito forse antico. Eppure la radice antica è fondamentale per tornare al popolo e per questo occorre mettersi “Contromano”, come è intitolato il libro più importante ed esemplare delle “avventure” politiche di Marchi. Di questo “uomo antico” (ma giovinotto), che al modo di Pasolini “non sa che farsene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo” c’è ancora e soprattutto bisogno proprio laddove, negli impicci dei “moderni” uffici comunali, arriveranno i denari della stagione post-pandemica e sarà il caso di evitare nuovi “sacchi” urbani e sociali. Forza Fabrizio!

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