Il festival della menzogna

Menzogna e violenza

Il neoliberismo è pratica di violenza. La precarietà rappresentata come flessibilità, il taglio dei diritti sociali in nome dell’equa finanza, l’atomistica delle solitudini trasformata dal sistema in libertà da ogni vincolo comunitario ed etico, sono l’espressione dell’infelicità collettiva. La violenza è la normalità del neoliberismo, il male è diventato banale, in quanto non è più scorto. Per poterlo riconoscere è necessario che vi siano modelli alternativi visibili, ma la cannibalizzazione di ogni dialettica ha divorato “il principio di non contraddizione” e con esso è evaporata la dialettica che consente di valutare per contrasto e per contrapposizione la qualità del sistema in cui siamo e viviamo.

La violenza è divenuta l’insostenibile normalità dei nostri giorni. Si può parlare di tutto, ma non della realtà. La violenza induce gradualmente alla derealizzazione, coloro che subiscono la violenza devono giudicare ciò che subiscono non come effettualità del sistema ma come colpa personale. Si è colpevoli della violenza che si subisce, in quanto non si è all’altezza di competere e di vendersi sul mercato. Solo chi “sa annusare” il mercato con i suoi gusti e tendenze e sa adattarsi al nuovo corso è meritevole di successo. Un tale sistema è un magma indifferenziato di forme di violenza che si sovrappongono e si intrecciano fino all’abbaglio finale, ovvero alla riduzione dell’essere umano ad animale predato indifferente al destino dei suoi simili.

Si parla di merito ma si tagliano le opportunità formative dei più deboli, si invocano i diritti individuali, ma si elidono i diritti sociali. Si parla di pace e nel contempo si inviano sempre più armi per la guerra in Ucraina. La violenza è ovunque, ma per poterla occultare e sedare la consapevolezza dei popoli si usa la menzogna spacciata come la verità. Nessun sistema che ha adottato la violenza può sopravvivere senza la menzogna. La verità è cancellata, non ha patria nell’integralismo liberista, il suo posto è occupato dall’artificio fonetico che ha il compito sovrastrutturale di occultare la verità della struttura economica. In tale cornice è da inserire il Festival di Sanremo. Del Festival e della sua valenza ideologica si parla troppo poco. Non parlarne è un errore, è seguitissimo, per cui sarebbe opportuno far cogliere “la sua verità”, svelando l’arcano che nasconde. Il Festival è visibile, è noto, ma non è pensato e concettualizzato. Per cui mostrarlo nella sua verità è necessario, al fine di sviluppare la coscienza critica e sociale. La canzone è ormai secondaria, primari sono diventati lo spettacolo e la propaganda, questi ultimi sono un doloroso corpo unico. Per mostrare il Festival nella sua parzialità ideologica è sufficiente mostrare l’operazione di occultamento che pone in atto, la retorica dei diritti delle donne e dei diritti civili cela l’impronunciabile: i diritti dei lavoratori schiacciati dalla precarietà, dalla morte sul lavoro e dalla povertà sono abilmente sommersi con lo spettacolo dei diritti civili. Si usano i diritti civili di talune categorie umane e sociali che hanno immensamente sofferto, e soffrono, in modo da rimuovere il diritto primo: il diritto al lavoro dignitoso. Senza il diritto al lavoro i diritti civili sono soltanto privilegi per pochi. Portare sul palco del Festival  taluni diritti rispetto ad altri non è una operazione neutra, ma è schierarsi con i poteri forti, i quali sono per l’iperindividualismo imperante, ma sono dichiaratamente ostili ai diritti sociali: lavoro, scuola, sanità, pensioni e partecipazione politica. Si può parlare di tutto, ma non della verità, la menzogna e la manipolazione sono gli abili strumenti con cui la violenza è coperta dal velo della pubblica ignoranza. La verità è tutto, è visione d’insieme in cui le parti assumono significato nelle relazioni che le tengono in tensione. La menzogna è trasformare la parte in un tutto senza realtà concreta e storica. Tra il mondo sanremese con le sue luci e i suoi eccessi e la realtà storica dei popoli non vi è corrispondenza. La società dello spettacolo deve infrangere la verità per poter passivizzare i sudditi col chiasso della chiacchiera. La verità resta, malgrado la menzogna,  essa è vissuta ogni giorno e non è discussa e non appare, è trattata come “un cane morto”. Dobbiamo sostituire alla chiacchiera incolta la verità del nostro tempo storico.

 

La retorica dei diritti civili

Ad un’attenta analisi la retorica dei diritti civili svela la verità del neoliberismo: l’audience è tutto, gli introiti sono la sostanza che tutto muove e governa, i diritti sono un mezzo. Il caso “Chemical” svela la verità. I diritti dei telespettatori, finanziatori del Festival e della RAI sono stati violati. Si segue il Festival per la musica, e si ha la “strana ambizione” di assistere ad una gara canora, il telespettatore, invece, è ingannato, è costretto a sorbirsi volgarità ammiccanti al porno. Anche questa è violenza, se si compra un biglietto per un film osé lo spettatore conosce il contenuto del film, in questo caso invece gli spettatori sono oggetto di una rieducazione antropologica non cercata e non voluta, sono passivizzati. A tutto ciò bisogna aggiungere che se il neoliberismo credesse e volesse l’emancipazione delle categorie deboli non li rappresenterebbe secondo lo stereotipo tradizionali: le persone omosessuali sono rappresentati come gay senza vincoli estetici ed etici, fenomeni da baraccone e non normali persone. Libertà è riconoscere ogni essere umano nella sua umanità unica e irriproducibile, a Sanremo gli stereotipi sono stati legittimati. Una nuova trappola attende le categorie umane che hanno subito disprezzo ed esclusione. Se il neoliberismo fosse il sostenitore di tali categorie non li userebbe per attrarre pubblico e rappresentandoli in modo pruriginoso al limite del ridicolo: esseri indeterminati e fluidi disponibili ad ogni geometria erotica. Il neoliberismo non crede a nulla, non protegge nessuno, ha quale unico obiettivo il plusvalore. Le persone omosessuali e le donne, queste ultime rappresentate dalla solo “figura” imprenditrice di successo, dovrebbero scandalizzarsi e con la schiena dritta protestare contro il nuovo razzismo inclusivo. Stereotipi e propaganda sono il prodotto aziendale e manageriale che insegue il successo con la competizione curvata sull’eccesso.

Dobbiamo reimparare a guardare con gli occhi della mente il tutto, e specialmente ciò che il sistema occulta, solo in tal modo sarà possibile la prassi e diventare “cittadini” e non “sudditi”. Parlare del Festival si deve, è macro-occasione per comprendere il funzionamento del sistema e la produzione in serie della chiacchiera incolta con cui rendere il popolo suddito e senza speranza, anzi quest’ultima è sostituita dall’abbaglio onirico degli eccessi crematistici.

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Fonte foto: La Repubblica (da Google)

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