Giochi di morte nella ecity

In Corea del Sud, la dipendenza da tecnologia digitale ha raggiunto livelli record. Fra i casi più significativi che tale dipendenza ha prodotto e produce, uno mi ha colpito in modo particolare: una coppia non riusciva a smettere di giocare al proprio videogame preferito. Non pensava ad altro. Non poteva pensare ad altro. È accaduto però che la loro figlioletta molto piccola, senza le cure dei genitori, è morta per denutrizione. Oltre alla drammaticità insopportabile di un evento simile, colpisce inoltre che il videogame a cui i due si dedicavano, giorno e notte, trattava di una coppia che alleva una bambina. Non c’è esempio migliore di quello appena ricordato per definire ciò che io penso come il rapporto essenziale fra NoCity e ECity. L’attrazione della città elettronica (in questo caso il videogame) è tanto forte da poter, come un buco nero, inglobare in sé l’esistenza degli esseri umani lasciando, però, al proprio margine, una NoCity che significa morte dell’esperienza concreta e svilimento del corpo fino, come nel caso della povera bambina, alla morte biologica. I due, insomma, preferivano giocare a coloro che allevano una bambina condannando così a morte la figlia che avrebbero avuto il dovere etico ed affettivo di allevare nella realtà. Se non comprenderemo i motivi profondi che inducono gli abitatori del nostro tempo a preferire l’esperienza virtuale a quella reale, non avremo capito nulla dell’essenza dell’attuale fase antropologica e non potremo neppure lontanamente supporre di poterla guidare, evitando che essa possa spingerci totalmente fuori dalla storia.

disturbo del gioco
                                                             Fonte foto: da Google

 

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