L’eco di conflitti lontani

Saltiamo i preamboli: l’Italia oggidì è nelle grinfie di un governo reazionario, inadeguato e totalmente asservito all’occupante americano, mentre la cosiddetta società civile langue scoraggiata e inerte. Se la sciagurata crisi ucraina ha avuto un merito è stato quello di certificare l’ovvio: i governanti europei sono fiduciari di Washington, i partiti socialisti del vecchio continente sono tali soltanto di nome e l’Unione/finzione Europea è il paravento dietro cui si nascondeva fino a ieri la NATO, un’organizzazione volta a promuovere le guerre e a destabilizzare quello che la premier Meloni si diverte a chiamare l’orbe terracqueo.
Abbiamo anche avuto la riprova che i media sedicenti liberi fungono da megafono di un’elite che, a dispetto di quotidiane e generalgeneriche professioni di fede democratica non esita all’occorrenza ad alimentare la xenofobia e a servirsi per i propri fini di esecutori in odor di nazismo, subito purificati dalla stampa e dalle tivù di regime.
Di recente il “signor Presidente del Consiglio” ha chiarito che il sostegno armato all’Ucraina proseguirà indipendentemente dalla contrarietà della maggioranza dell’opinione pubblica: già da tempo declassato a re travicello il Popolo Sovrano di cui all’articolo 1 della nostra Costituzione viene esautorato, ridotto al silenzio perché – come proclama una propagandista – non è abbastanza lucido.
Siamo insomma sotto tutela, sia come cittadini incapaci di intendere e di volere che come Stato retrocesso a protettorato USA. Dell’attuale esecutivo e della maggioranza che lo sostiene non si dirà mai abbastanza male: composto da retrivi parvenu si fa vanto del proprio abbietto servilismo nei confronti degli States, e in politica interna favorisce sfacciatamente padronato e benestanti e infierisce sul ceto debole, colpevolizzandolo. Si spacciano e vengono spacciati per “destra sociale”, ma ricordano più il fascismo del ’21 che quello (cartaceo) del ’19; quanto al preteso sovranismo di questa genia trattasi di un’ etichetta appiccicata sul quaderno sbagliato. La colpa inemendabile di questi abusivi del potere è proprio il tradimento dell’interesse nazionale, sacrificato a quello di una potenza straniera che nei fatti non ci è amica e che soprattutto costituisce da decenni – ma più scopertamente oggi – la più seria minaccia per la pace e la stabilità mondiali.
Come dimostra Daniele Ganser nel suo bel libro “Le guerre illegali della NATO” gli Stati Uniti d’America sono lo stato canaglia per eccellenza, responsabile della quasi totalità dei conflitti del dopoguerra e – aggiungo io – dell’attuale che sta insanguinando l’Ucraina e il Donbass. Cercare un modo per liberarsi di simili infidi e prepotenti alleati dovrebbe costituire la priorità per qualsiasi forza di governo patriottica, ma è evidente che in Italia e in Europa leader e comprimari sono null’altro che marionette made in USA che per rendersi graditi al proprio padrone rinunciano persino ai modesti margini di autonomia concessi.
Il proconsole Meloni resta per il momento saldo in sella perché i suoi competitori non offrono un’alternativa reale: Elly Schlein, paladina trendy di diritti superflui, è non meno allineata del premier e la sua anomala elezione a segretaria del PD è servita solo a contenere la rimonta di un Movimento 5 Stelle che l’élite atlantica reputa poco affidabile. Imbonito da gazzettieri da strapazzo e trattato da inquilino in patria il popolo italiano non corre alle armi, ma neppure reagisce, preferendo istintivamente defilarsi. Le ultime elezioni regionali (prima in Lombardia e Lazio, poi in Friuli Venezia Giulia) ci restituiscono un quadro abbastanza chiaro: più della metà dei potenziali elettori diserta le urne, sulle macerie stravince la destra perché è quel che passa il convento, 5 Stelle e Sinistra evaporano al sole primaverile e fanno capolino liste antisistema fai-da-te come Insieme Liberi in Friuli Venezia Giulia.
La cosiddetta gente non si fida più di slogan e promesse da marinaio, ma anzichè levare un coro di protesta e opporsi fattivamente si ritira nel proprio particulare, sperando che guerra e povertà non la ghermiscano. La tattica dello struzzo raramente paga, ma dobbiamo tener conto di un fatto: la maggioranza silente è oggi assai più variegata di un tempo e a una qualifica lavorativa non corrisponde più automaticamente una condizione sociale: non tutti gli operai sono proletari (lo so per esperienza diretta: molti, specie in campagna, abbinano al lavoro salariato quello in piccole aziende agricole e artigiane intestate al coniuge o a familiari e impiegano lo stipendio per le spese correnti), non tutti i proletari sono operai. La differenza la fa non il reddito ma il patrimonio accumulato dalle generazioni precedenti: da questo punto di vista a essere messi peggio sono gli appartenenti al ceto impiegatizio cittadino (precario o meno), quelli intendo che non dispongono di beni sfruttabili nè di specializzazioni che li rendano professionalmente appetibili.
Questo ceto composito, benché in via di costante impoverimento e privo di prospettive a medio termine, seguita a illudersi di essere classe media anche in virtù di un titolo di studio superiore o universitario e soprattutto è tradizionalmente refrattario all’impegno e alla lotta collettiva, guarda con diffidenza alla sinistra “comunista” e, ansioso di sembrare informato (e una questione di status!), si lascia agevolmente infinocchiare dalla suadente propaganda mediatica.
C’è spazio allora nel panorama odierno per formazioni politiche socialiste e dunque autenticamente antisistema? I fatti suggeriscono di no, visto che persino una forza blandamente progressista come i 5 stelle ha ottenuto alle ultime elezioni regionali percentuali (quasi) da prefisso telefonico. Che la tendenza s’inverta per così dire naturalmente appare poco verosimile: nel mio piccolo aspetto Godot da una quindicina di anni almeno e mi sono oramai rassegnato. Non arriverà, a meno che non ce lo porti qualcuno. Mi spiego: se in italia regnano rassegnazione e apatia altrove c’è chi non ha rinunciato a battersi per salvaguardare diritti e dignità. Quella francese è un’ammirevole protesta popolare, occasionata ma non prodotta dall’aumento di due anni dell’età pensionabile – una protesta che mette in discussione il sistema nella sua interezza e che potrebbe persino evolvere in una rivoluzione. Se così fosse, il movimento e le idee che magari confusamente esprime potrebbero diffondersi nei paesi vicini – fra cui il nostro – innescando una reazione a catena capace di rimettere in gioco forze non compromesse con l’oligarchia dominante ma percepite al momento come marginali, ininfluenti e dunque elettoralmente inutili.
Basterebbe questo a scuotere lo strapotere americano? Forse sì, ma temo di no: sarebbe necessaria una sconfitta della NATO in Ucraina, concepibile solo per abbandono. Le conseguenze in termini di prestigio per gli USA e i loro Quisling europei sarebbero irreparabili, perché a questo punto anche una costosa mezza vittoria della Russia costituirebbe uno smacco per chi su questa guerra ha tanto investito (anche “emotivamente”) dopo averla provocata. L’ingloriosa e cinica fuga da Iraq e Afghanistan è costata poco agli americani, cedere a Putin significherebbe abdicare al ruolo autoassegnato di giudici e gendarmi del mondo. Patrocinare la causa di una pace senza vincitori (sul campo) non è solo quindi eticamente giusto, ma pure utile in una prospettiva di liberazione dell’Europa dal predominio USA e di drastico ricambio delle classi dirigenti. Una concomitanza nient’affatto scontata di eventi esterni può insomma cambiare il corso della Storia; nell’immediato noi possiamo fare ben poco, a parte contrastare con le nostre ridottissime forze la deriva classista e bellicista impressa al Paese da forze politiche intercambiabili, menzognere e senza vergogna oltre che nocive.
 Udine, treno carico di obici in transito al primo binario davanti a  centinaia di persone: «Diretti a Est»- Corriere.it
Fonte foto: Corriere della Sera (da Google)

 

1 commento per “L’eco di conflitti lontani

  1. Spartakus
    19 Aprile 2023 at 1:17

    Meloni o qualsiasi altro “X” che fosse, le province dell’Impero non hanno competenza sulla strategia, si decide a Washington. Dove, con il conflitto ucraino, è stato raggiunto l’obiettivo di indebolire strategicamente e militarmente la Russia sul teatro regionale europeo, come mezzo per concentrarsi senza distrazioni sulla vera partita, quella con l’avversario globale, la Cina. Ora per gli apparati americani il problema è come sganciarsi nei prossimi mesi da questo conflitto diventato inutile con un cessate il fuoco su una linea del fronte accettabile per gli ucraini e gli europei anti-russi del Nord e dell’Est.

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