Sanremo: la voce del padrone

Il festival dei “fuori”

E anche la 73^ edizione del Festival di Sanremo s’è finalmente conclusa.
Qualche bilancio.
Quello economico, è andato benissimo: la copertura di aziende come Ferrero, Suzuki, Plenitude (ENI), Lavazza, Dyson, VeraLab, Generali, Banca Ifis, Costa Crociere…assieme ad altri minori, hanno garantito una sessantina di milioni di ricavi generali, di cui 50 alla RAI che lo trasmette e ne detiene i diritti (pubblicità in overbooking in grande anticipo, nonostante gli aumenti del listino di quasi il 30%).
Quello degli ascolti è andato altrettanto bene con un ascolto medio del 63,7%, mentre l’ultima serata ha generato uno share del 66% – 12.000.000 di telespettatori circa.
Ma è sul piano “politico” che il festival ha conosciuto la sua performance più significativa.
Un successo che, nonostante i toni trionfalistici della comunicazione mainstream, non ha nulla di sorprendente, trattandosi della riproposizione a dosi maggiorate di ciò che va in scena da qualche anno al teatro Ariston.
Marketing strategico per generare maggiori attenzioni ed ulteriori ascolti durante la settimana di programmazione.
A seguito degli ultimi bilanci pesantemente in rosso infatti (triennio 2009/2012) la RAI decise, per farlo sopravvivere, di “svecchiare” il format coinvolgendo sempre di più i social media.
Il nuovo modello è stato strutturato sull’inserimento, durante la gara canora, di interventi inerenti tematiche sociali di stampo progressista da parte di “testimonial”: principalmente di matrice femminista (donne) e sul tema dell’inclusione delle minoranze sessuali (LGBT).
Poco altro.
Una strategia vincente che si è via via consolidata, da allora ad ogni edizione.
La costruzione di un filone narrativo che ha nel frattempo caratterizzato in questi ultimi anni anche tutti i media generalisti radiotelevisivi e soprattutto quelli cartaceo-digitali (questi ultimi attanagliati da una crisi di vendite oramai cronicizzata).
Si è compreso che il progressismo rivendicativo dei diritti individuali funziona e fa vendere bene, anche e soprattutto per l’eco “scandalistico” che quelle tematiche, declinate nella dimensione della provocazione, sono in grado di garantire.
Persino il concerto del primo maggio a Roma, storico evento culturale legato ai diritti sociali, ne è stato pian piano contaminato, seppure con risultanze assai più modeste.
Nel contempo anche gli artisti e gli autori che, va ricordato, sono selezionati/invitati da un curatore nominato dai vertici RAI…essi stessi nominati (dalla politica) hanno spinto nelle produzioni musicali verso il nuovo corso progressista, finendo per connotare definitivamente la kermesse e mandando in soffitta definitivamente il riferimento a Sanremo come festival della canzone melodica italiana.
Una sinergia tra il mondo culturale progressista agitato dal politicamente corretto e la “prima azienda culturale italiana” tenuti assieme da un mutuo interesse: tu mi fai da vetrina ed io ti rivitalizzo e risollevo economicamente.
L’operazione ha funzionato perfettamente, come dimostrano gli ultimi tre esercizi consolidati che si attestano su utili attorno ai venti milioni ciascuno.
Gli altri media, come da tradizione, hanno goduto dell’effetto scia fungendo da ripetitore e cassa di risonanza su ogni singolo accadimento.

Da sempre in Italia si discute su cosa sia il Festival di Sanremo, nei termini della sua rappresentatività.
Il rovello però si è sempre limitato al tema strettamente musicale/artistico, interessando i critici specializzati ma anche, direi soprattutto, il vastissimo pubblico che da sempre lo segue.
Sanremo ha accolto in passato mutamenti come il “progressive” o la “dance” tanto per citarne due, ma qui siamo altrove.
Questa virata “politicista” determinata strategicamente dagli organizzatori impone necessariamente un aggiornamento del tema.
Non è un caso infatti che già durante il suo svolgimento si siano levate polemiche da ambienti politico-partitici (da destra verso sinistra) ed i social siano letteralmente andati in ebollizione quasi esclusivamente su questo aspetto, facendo dimenticare le epiche dispute “popolane” del passato, centrate sulle classifiche e sui brani ascoltati durante le varie serate.
Tutto quanto sopra descritto, le dimensioni e la portata di questo mutamento, le ragioni che lo hanno determinato, i soggetti protagonisti, portano necessariamente ad individuare l’attuale Festival di Sanremo come perfettamente in sintonia con l’attuale sistema dominante e non certo in contrapposizione ad esso, come fintamente si vuole portare a credere.
Una manifestazione conforme ai valori ideologici e allo spirito dei tempi che esso attualmente veicola e su cui basa le sue fortune.
Una sua espressione.
Puoi devastare il palco, presentarti seminuda, esporre oggetti “osceni”…ma rimarrai comunque dentro la sua comfort zone anestetizzata.
Se invece il tuo orizzonte è il mutamento sociale, quello vero, profondo, ancora inattuato e credi che la musica rappresenti uno strumento per raggiungerlo…quel posto non è per te.
Altri sono i “luoghi”.
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Anna Identici – Era bello il mio ragazzo . Sanremo 1972

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