Nei mesi trascorsi tutto l’apparato giornalistico ha contribuito con fiumi di parole e di inchiostro nel far percepire le varie proteste contro il green pass un chiaro pericolo per le istituzioni, la collettività e la salute pubblica. Atteggiamento questo nettamente in contrasto con la tipica minimizzazione della conflittualità sociale, relegata generalmente in piccoli trafiletti di cronaca locale o ridotta a sfilate nostalgiche di reduci novecenteschi. Di contro notevoli elogi sono da sempre attribuiti alle manifestazioni, anch’esse molto partecipate, su tematiche definite “progressiste”, quelle sui diritti civili e sull’ambiente, che ingrossano lo sdegno accigliato della società civile e del divismo da star-system.
Il dubbio sul cui prodest non può essere recintato nello spigoloso terreno delle paranoie complottiste, il rovescio di una spoliticizzazione della società ormai divenuta tangibile. Pian piano difatti si è affacciato nelle conversazioni salottiere quel tipico risentimento pedagogico dei ceti aventi diritto di parola che sviluppano tendenze e buon senso comune. Chi non si adegua merita di perdere libertà politiche e diritti universali. Inizialmente fu qualche sparata grossolana di opinionisti in cerca dei galloni da influencer a innescare questi ragionamenti. “Non meritano di lavorare, di accedere alle cure gratuite, di spostarsi liberamente, di ricevere salari”.
Ma l’onda del passaparola era ormai ingrossata. Ciò che normalmente sarebbe stato indicibile diventa come d’incanto tollerabile. Così antifascisti d’annata, ammiratori della democrazia borghese esportabile, aggrottati dotti formatisi sulla letteratura fumettistica, ribelli adepti del rock sanremese hanno iniziato a fare pace con quel tipico conformismo reazionario in doppiopetto, un tempo segno distintivo dei lettori del Giornale d’Italia.
Quindi oggi per decreti ministeriali qualche questore può vietare manifestazioni di ogni genere, se di lavoratori meglio, e si apre la breccia per la digestione della scomparsa del diritto alla cura. Si apre il consenso a qualsiasi tipo di privatizzazione perché solo gli uomini probi, i virtuosi, gli entusiasti recheranno in sé il sacro fuoco dei diritti o della rivendicazione. Ma non si parli di Costituzione, di eguaglianza, di diritti sociali, siamo in emergenza. Ci vorrebbero i carri armati ci vorrebbero! Nel nome della libertà, si intende.