Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Durante l’ estate appena trascorsa, sull’ onda di alcuni incresciosi fatti di cronaca nera, quello del “femminicidio” é stato fra gli argomento più presenti in TV e sui giornali.
Sicuramente ciò é dipeso in larga misura dallo “spirito dei tempi” – caratterizzato fra l’ altro da un certo atteggiamento femministico intollerante e aggressivamente fondamentalistico, come é facilmente desumibile dalla considerazione della enorme sproporzione fra gli spazi mediatici riservati rispettivamente ai femminicidi stessi e alle morti, ma sarebbe più corretto chiamarle “assassini”, sul lavoro (quasi sempre di uomini, eccezionalissimamente di donne) – in relazione alla numerosità degli episodi di queste due fattispecie di orrendi crimini, o dalla diffusissima pretesa che vengano prese acriticamente a priori per oro colato indiscriminatamente tutte le denunce per stupro, con incorporata criminalizzazione e mostrificazione di chiunque in questi casi invochi l principi, “sacrosanti per tutte le altre denunce di reati”, del dubbio metodico e della presunzione di innocenza fino a prova contraria. E questo anche nel caso di presunti stupri risalenti a mesi o anni o perfino decenni prima delle denunce stesse (ma quanto tempo sarebbe occorso a queste presunte vittime per accorgersi che, a pensarci bene, quei rapporti sessuali non erano poi per niente piacevoli!); presunte vittime che magari erano aspiranti attrici o donne di spettacolo (per gli anglomani: show-girls) di dubbio talento (per lo meno ai tempi dei fattacci poi denunciati; e letteralmente), che per una strana, “fortunatissima” coincidenza del tutto causale con le “violenze carnali” subite da registi, sceneggiatori, produttori, ecc. iniziavano una sfolgorante e lucrosissima carriera nel mondo dello spettacolo; cosa – il subire rapporti sessuali poco o punto gradevoli in cambio diretto e immediato o indiretto e dilazionato di denaro – che a casa mia non si chiama “stupro” bensì “prostituzione”- (ben diversa e quasi opposta cosa! – per quanto “di alto bordo”).
Per non parlare poi del principio (perfino sancito per legge come pretesa “aggravante” del preteso stupro! (Sic!) per il quale se una donna ha rapporti sessuali in stato di ebbrezza da alcool o da droghe del tutto liberamente assunti senza costrizione alcuna da parte del o dei partner si tratterebbe di violenza carnale: secondo questa aberrante “logica” – si fa per dire! – gli autori di omicidi stradali commessi in stato di ebbrezza liberamente conseguita dovrebbero essere considerati innocenti ed assolti perché incapaci di intendere e volere… Sempre nella mia antiquata casa “veteroragionevole” e non androfobica, si potrebbe parlare di stupro solo nel caso la vittima (in questo caso autentica, senza virgolette) fosse stata legata dal o dai violentatori e costretta ad ingurgitare alcoolici o droghe attraverso un imbuto).
Ma pur “facendo la tara” di queste considerazioni sullo zeitgeist (o meglio, in italiano: l’ ideologia dominante), resta indiscutibilmente vero che gli assassinii perpetrati ai danni del coniuge o ex-coniuge femmina (in senso lato: moglie, amante, legittima compagna non ufficializzata all’ anagrafe, ecc.) hanno subito ultimamente un tendenziale e preoccupante aumento (però il fatto stesso che al posto di un termine “sessualmente o genericamente neutro” già presente da gran tempo e largamente in uso in sede giudiziaria, come quello di “uxoricidio”, che magari per renderlo pienamente adeguato al tempo presente poteva tranquillamente essere impiegato in senso solo un po’ meno stretto che in precedenza, cioè nel senso di “omicidio di persona in relazione more uxorio presente o passata con l’ assassino”), si sia introdotto il reato di “femminicidio” quasi a suggerire una pretesa diversità e maggior gravità se la vittima é femmina – sic! – é molto significativo. E’ vero, le vittime femmine di uxoricidio (in senso lato) sono di fatto molto più numerose che quelle maschili; ma se é per questo ancor più numerose, e non di poco, sono le vittime maschili degli omicidi bianchi rispetto alle femmine, eppure nessuno si sogna di introdurre il reato di “maschicidio sul lavoro”).
Comunque, di fronte a questo innegabile e quantitativamente non trascurabile incremento dei casi di donne uccise dai compagni o ex compagni, non ho trovato minimamente sensata e credibile la spiegazione largamente corrente: sostanzialmente una pretesa, insana e irrazionale propensione degli uomini verso un “possessivismo”, che invero a me sembra un po’ masochistico, ai danni di donne che dopo averli più o meno a lungo e felicemente amati non li vogliono più e hanno iniziato relazioni sentimentali con altri uomini o magari donne; tendenza che sarebbe più omeno generalizzata nei maschi perché congenita in quanto ereditaria e geneticamente determinata per le varianti più o meno di destra – senza virgolette – del pensiero unico politicamente corretto, perché acquisita in quanto culturalmente condizionata secondo le varianti sedicenti di “””sinistra”””. E conseguentemente, da non-psicologo armato solamente di buon senso (e comunque da filosofo naif – altra cosa che “professore di filosofia”- e dunque da persona ferrata in fatto di etica e di psicologia, quale senza falsa modestia mi reputo) ho cercato delle possibili spiegazioni alternative che, se fondate e realistiche, sarebbero ovviamente utili a cercare di prevenire o limitare in futuro questi gravissimi crimini.
A questo scopo ho naturalmente cercato di mettermi nei panni degli assassini, allo scopo ovviamente non certo di giustificare bensì di comprendere i loro stati d’ animo e le loro motivazioni (lo si fa correntemente e del tutto ovviamente per qualsiasi altro crimine, ma secondo il pensiero unico politicamente coretto sarebbe vietatissimo e mostruoso farlo nel caso dei “femminicidi”), innanzitutto rilevando e tenendo in debito conto il fatto che in una percentuale non trascurabile dei casi questi uxoricidi sono immediatamente seguiti e quasi “completati” dal suicidio dei loro autori (cosa ritenuta deprecabilissima – anche questa – dall’ andazzo politicamente corretto che probabilmente solo e unicamente in questo caso, al contrario che a proposito anche di altri gravissimi e orrendi crimini con suicidio dei colpevoli, condanna senza esitazione ed espone al pubblico ludibrio qualsiasi forma di pietà e tentativo di comprensione – e ripeto, non di eventuale giustificazione per il suo operato, che é tutt’ altra cosa! – verso la decisione estrema di chi si toglie la vita. Contro questa spietatezza – nel senso letterale di mancanza e negazione della ben che minima umana pietas politicamente corretta, invito tutti ad ascoltare il capolavoro che il suicidio del suo amico Luigi Tenco ispirò a Fabrizio De Andrè: https://www.youtube.com/watch?v=0JK1ntv7mOI; cercate di trattenere le lacrime, se ci riuscite).
Orbene, fra le non poche, variamente intrecciate e interagenti (con) cause di questo tendenziale incremento dei femminicidi, credo di poterne rilevare due che mi sembrano particolarmente rilevanti e determinanti: la diffusione della poligamia femminile, e soprattutto – paradossalmente ma non troppo! Se avrete pazienza cercherò di spiegarmi – il pessimo (senza virgolette) “buonismo” politicamente corretto.
Devo fare una premessa circa il recente, tendenziale e comunque relativo, incremento della poligamia femminile (in precedenza questa forma di sessualità era diffusa, o comunque più o meno positivamente apprezzata, quasi unicamente da parte degli uomini mentre veniva per lo più stigmatizzata e colpevolizzata se praticata dalle donne, salvo che appartenessero alle elitès più o meno privilegiate). Non sono, o almeno cerco di non essere, un ottuso moralista, e mi guardo bene dal condannarla tanto da parte degli uomini quanto da parte della donne (ovviamente purché praticata in piena sincerità e onestà, e dunque evitando accuratamente qualsiasi inganno che costituirebbe indubbiamente una iniqua violenza, una patente forzatura, per quanto non fisica, della volontà altrui). Per me la morale individuale é (fra l’ altro) non nuocere al prossimo, e dunque privarsi unicamente di ciò che iniquamente reca danno agli altri impedendone la realizzazione di giuste e a loro volta non prevaricanti aspirazioni, e di nient’ altro che possa desiderarsi.
Questo cambiamento relativamente recente (almeno a livello di massa e non solo di esigue elitè più o meno privilegiate; e per lo meno limitatamente al nostro mondo occidentale) di “usi e costumi” sessuali ha svariate cause fra cui certamente la giusta diffusione del lavoro femminile extradomestico e regolarmente retribuito e la liberazione delle donne dall’ obbligo di svolgere “in esclusiva” determinati ruoli assistenziali in ambito familiare, con conseguenti limitazioni e frustrazioni di loro assolutamente legittime e oneste aspirazioni.
Rispetto a tutto ciò non pochi uomini sembrerebbero mantenere una mentalità oggettivamente superata dalla realtà dei fatti, non riuscendo ad accettarla di buon grado; e questo soprattutto a proposito della propria unica compagna di vita nel caso di uomini monogami o comunque della propria – per così dire – “compagna principale” , moglie e non mera concubina- nel caso di uomini poligami. Addirittura non pochi uomini, con tutta evidenza non al passo coi tempi, tendono a non saper accettare, da parte della loro compagna o ex-compagna di vita, non solo una “poligamia sincronica” (cioé una dedizione esclusiva a se stessi e a nessun altro uomo fin che si costituisce una coppia in amore), che se liberamente concordata fra le parti sarebbe irreprensibilmente ammissibile, ma nemmeno una “poligamia diacronica” (la possibilità di trovare altri compagni in caso di fine di una relazione, successivamente ad essa), che é una ingiustificabile pretesa di forzare indebitamente l’ altrui volontà, un’ inammissibile prepotenza.
Non essendo un acritico bastian contrario ad ogni costo, credo (mio malgrado concordemente al politicamente corretto) che su questo mutamento relativamente recente dei costumi alcuni uomini (tanti o pochi? Non saprei dire) debbano serenamente riflettere con sano, razionalistico senso critico e correggere i loro persistenti ingiusti pregiudizi in proposito.
Tuttavia, com’ é ovvio (e per fortuna!), la diffusione della poligamia (in particolare diacronica) femminile e il conseguente diffondersi di casi di fine di relazioni esclusive-singolari con uomini, non implica di certo necessariamente l’ incremento degli uxoricidi da parte di ex-partner maschi, ma ne é solo, per così dire, una “concausa occasionale” o una “condizione necessaria ma non sufficiente”.
Altrettanto reale e probabilmente più decisiva é un’ altra tendenza comportamentale, a mio parere costituita dalla deleteria diffusione di atteggiamenti ispirati al pessimo (senza virgolette) “buonismo” politicamente corretto.
Questa tendenza comportamentale, che si pretenderebbe etica ma che a mio parere é gravemente immorale, impedisce categoricamente come qualcosa di abominevole e obbrobrioso, di odiare e disprezzare, anche senza minimamente ledere illecitamente e men che meno criminalmente gli odiati e i disprezzati.
Per me (credo in sostanziale accordo, limitatamente a ciò, con il reazionario ma intelligente e ben dotato di senso critico, Massimo Fini) odiare senza ingiustificatamente offendere (nel senso letterale di ledere, materialmente o moralmente) e senza delinquere é perfettamente lecito e in certi casi perfino eticamente doveroso (se non odiassi con tutto il cuore – da vivi – Nazisti, assassini, pedofili e altri autori di orrendi crimini mi sentirei in colpa per non avere assunto necessariamente e doverosamente un atteggiamento e uno stato d’ animo necessari per combattere adeguatamente contro il male e per la giustizia), perché contrariamente a quanto falsamente sottintende il pessimo – senza virgolette – “buonismo” politicamente corretto, credo che il male e l’ ingiustizia esistano realmente e che chi si proponga di essere “virtuoso”, per usare il lessico degli antichi Stoici, ha il dovere di combatterli; anche a costo di rischiare di cadere in errore. Con Dante, disprezzo gli ignavi, per certi versi anche più che i “peccatori”, e con Gramsci “odio gli indifferenti, credo che vivere voglia dire essere partigiani”, anche se sono consapevole che le vie dell’ inferno sono spesso lastricate di buone intenzioni e che lottando si possono anche commettere errori più o meno gravi …ma senza lottare per il bene di sicuro si é coorresponsabili del male senza dubbio alcuno.
Invece la pessima (senza virgolette) “morale” politicamente corretta impone ad uomini che siano stati ingannati dalle loro donne o che comunque non ne siano più ricambiati nel loro amore, di evitare come la peste di coltivare verso di esse sani (se vissuti entro i limiti della legge e dell’ onestà) e per loro più che giustificati sentimenti di astio e risentimento o anche di disprezzo; impone loro di continuare stimarle e ammirarle, cosa spesso di fatto difficilmente distinguibile da un inane e frustrato amarle malgrado tutto.
Impone che non solo una donna che comunque non lo volesse più senza perpetrare inganni nei suoi confronti (e verso la quale sarebbe comunque perfettamente giustificato e magari anche un po’ “umanamente confortante” coltivare odio e disistima), ma perfino una donna con famiglia (più o meno di fatto), magari con figli anche piccoli, che abbia miserabilmente ingannato il suo uomo e padre dei suoi bimbi (e indirettamente e implicitamente anche i bimbi stessi) spassandosela con altri uomini, venga dal malcapitato “rispettata”, stimata, tenuta in alta considerazione; che verso di lei venga praticato il massimo di “comprensione” e di premura.
Io invece raccomanderei a un figlio o nipote:
- a) di scegliere fra mono o poligamia; b) di praticarla (in particolare la seconda) in assoluta trasparenza e sincerità; c) in caso di scelta monogamica di coltivare verso la compagna un amore fortissimo ma non cieco, accompagnato da una sana, sobria razionalità critica, al limite con piena disponibilità ad accettare (facendo gli scongiuri), nonché disposizione a reagirvi adeguatamente, eventuali non impossibili, deprecabilissime sorprese o “imprevisti comportamentali” da parte dell’ amata, compresa un’ eventuale fine del rapporto per di lei colpa o comunque per di lei volontà; d) in questo malaugurato caso di non farsi scrupoli (anche per sua propria consolazione e conforto e a tutela del suo proprio equilibrio psichico, nonché come condizione e premessa quantomeno utilissima per potersi rifare una vita con un’ altra donna, o eventualmente poligamica) a disprezzarla ed odiarla e perfino a danneggiarla meritatamente in quanto sua nemica personale cui non dare sconti, se appena possibile, restando ben entro i limiti dell’ onestà, della giustizia e della legalità (notare la sede delle virgole, che é fondamentale per evitare deprecabili malintesi).
Invece seguendo il pessimo (senza virgolette) ”buonismo” politicamente corretto che vieta assolutamente , acriticamente e ipocritamente odio e disdegno si tende molto facilmente, anche come unica praticabile via di uscita da una situazione personale inevitabilmente instabile e contraddittoria, gravemente frustrante, opprimente, psichicamente insopportabile, a praticare indebitamente (secondo me anche nei casi di assoluta sincerità e mancanza di colpa morale da parte della “ex”) il perdono e a cercare un’ impossibile ricucitura raffazzonata del rapporto strappato, nonché a coltivare la speranza, quasi sempre, se non proprio sempre, vana, di un ravvedimento da parte della donna in questione, che invece io personalmente non perdonerei e nemmeno mi ci riconcilierei mai e poi mai financo in caso di suo comportamento onesto e non ingannevole.
E infatti solitamente i “femminicidi” veri e propri (intesi secondo definizione politicamente corretta come “soppressione di una donna da parte del partner o ex-partner maschio che non sa accettare la fine della relazione”) NON SONO premeditati, checché ne dicano con solerte accanimento politicamente corretto le cronache giornalistiche. Lo dimostra il fatto che di regola questi “femminicidi autentici” sono casi polizieschi facilissimi, che si risolvono immediatamente e quasi automaticamente con il rintracciamento, la cattura e la prontissima confessione dei colpevoli: tutto al contrario degli “uxoricidi tradizionali” commessi da uomini che eliminano le loro conviventi allo scopo di realizzare “a buon mercato” nuove relazioni evitando doveri e responsabilità civili verso mogli o conviventi, perdita della disponibilità delle ricchezze della “ex” facoltosa – invece ereditate! – nonché spese di mantenimento, lungaggini burocratiche, ecc.; oppure allo scopo di evitare la fine a una condizione ritenuta “irrinunciabile” e che inevitabilmente conseguirebbe alla ”istituzionalizzazione” di un rapporto “irregolare” con un’ amante, mediante la soppressione di quest’ ulima: si pensi ai recenti fatti di cronaca nera relativi ad Elena Ceste, Melania Rea o Roberta Ragusa.
Anche nei casi in cui non segua il suicidio del femminicida (espressione evidente di disperazione di chi, non riuscendo ad odiare l’ “ex”, secondo la “morale” corrente, non é in grado di progettare il suo futuro attraverso la ricerca di altre donne più degne delle sue attenzioni), gli autori stessi di femminicidio sono di regola disperatamente aggrappati all’ illusione sincera di ricucire, nell’ ultimo fatale incontro, un rapporto ormai impossibile anche perché non riescono ad odiare e disprezzare fisiologicamente, sanamente , l’ ormai definitivamente ex-compagna come premessa per potere cercare di farsi una nuova vita con un’ altra o con più altre donne. E così, accecati o comunque paralizzati dal pessimo “buonismo” politicamente corretto che impedisce loro di uscire da una situazione insostenibile, costoro finiscono per “perdere la testa” di fronte alla prospettiva dell’ assenza di qualsiasi per loro sopportabile superamento della condizione di estrema sofferenza e disperazione in cui si sono venuti a trovare, e si accaniscono criminalmente su quella che a torto o a ragione ritengono la colpevole del loro totale, irrimediabile fallimento esistenziale (certo, ci vanno armati; ma secondo me perché sono giunti al punto che un ulteriore, definitivo diniego sarebbe per loro la fine di qualunque prospettiva di vita, la caduta in una disperazione escatologica per la quale vorrebbero, nel caso, “punire” – sia chiaro, indebitamente, criminalmente! – la pretesa “colpevole”).
Appunto per questo, contrariamente agli “uxoricidi tradizionali”, quasi mai se non proprio assolutamente mai si preoccupano minimamente di preparare qualsiasi alibi o “scappatoia per farla franca”.
N.B.: A scanso di malevole distorsioni politicamente corrette ma disoneste delle mie convinzioni, ripeto inequivocabilmente che questa NON INTENDE ESSERE E NON E’ in alcun modo una giustificazione, dal momento che sono assolutamente convinto che un omicidio (non giustificato da una reale esigenza di legittima difesa, ovviamente) é il peggiore dei crimini possibili.
E’ invece un tentativo di “Non deridere, non compiangere, non disprezzare, ma comprendere le azioni umane”, secondo l’ atteggiamento che definirei letteralmente “scientifico” di Spinoza (invero “non solo … ma anche”, per parte mia), onde cercare in qualche modo di contribuire a superare il grave problema dei numerosi (e comunque dei troppi anche a prescindere dal per me odioso pensiero unico politicamente corretto, uxoricidi generalmente e conformisticamente etichettati come “femminicidi”.dei comunque non compiangere, non disprezzare, ma comprendere le azioni umane
Fonte foto: Avvenire (da Google)