Iatrogenesi sociale. Medicina senza democrazia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Il totalitarismo sanitario si connota per la direzione unilaterale dei provvedimenti e per l’invasività del linguaggio medico: i problemi possono risolversi con una pluralità di soluzioni, il pensiero plurale dinanzi alle emergenze collettive è sintomo di democrazia in cui scorre in modo carsico l’impronta dialogica filosofica. La democrazia attuale globalizzata ha reciso ogni legame con le origini, con il senso del suo esserci per trasformarsi in presenza formale che invoca i principi costituzionali e i principi giuridici internazionali, ma in realtà mediante il clero orante manipola, affinché le decisioni delle oligarchie siano accolte “democraticamente”. I mezzi di informazioni ripetono come un mantra le decisioni degli oligarchi, sono diventati la cinghia di trasmissione dei poteri globali. La democrazia è un’invocazione che serve a tacitare i dissidenti in nome del bene comune, mentre si effettuano affari privati. Si tace sulla pratica della democrazia, la quale esige la parresia, ovvero il confronto leale senza timore tra prospettive differenti per cercare una sintesi che rappresenti ognuno. La parresia è stata sostituita dal verbo unico, dal pensiero verticale che accusa ogni dissenso di irrazionalità, pe cui non resta che il dogma del pensiero unico. È la nuova inquisizione sanitaria: credere, obbedire, vaccinare. I dissidenti scompaiono dai mezzi di informazione, in tal modo le loro opinioni sono ostracizzate e ridotte al silenzio. Le parole circolano, ma sono mutilate del loro significato, poiché  il loro senso è nella relazione comunicativa; Eraclito  ci ha insegnato che ogni parola ha senso solo se si presuppone il suo opposto. Il taglio vigente sulle parole, la loro atomizzazione è speculare all’organizzazione sociale in cui siamo implicati, l’atomistica delle solitudini è in primis taglio del linguaggio, verticalizzazione della parola, la parola  vive sono nella relazione, senza di essa è solo una dose di arsenico per lo spirito. Le parole in una vera democrazia attraversano lo spazio e le temporalità che ci separano per porci in intenzionale comunicazione, se le parole ripetono ovunque lo stesso algoritmo ricadono su stesse, non favoriscono il pensiero critico e la creatività comunitaria, ma sono solo emissione di suoni. La condizione attuale ha consolidato il linguaggio medico in modo compulsivo senza mediazione razionale, pertanto è solo coazione a ripetere, l’altro ascolta le parole che egli stesso ripete con il risultato di una sostanziale chiusura logica, argomentativa e politica. Sotto le macerie del linguaggio unico vi è la politica che come suggerisce la parola necessita del dialogo tra cittadini per cercare comuni soluzioni da sintetizzare. In questo contesto il linguaggio clinico è uscito dagli spazi deputati alla cura per convertire la società in una clinica nella quale vi sono solo medici e pazienti, questi ultimi sono pazienti già in presenza di sintomi o potenziali ammalati. La democrazia è rimpiazzata con la medicalizzazione generale. I retroscena sono abilmente celati, poiché la salute è un affare per i privati e nel contempo una popolazione ossessionata dalle malattie è innocua, si lascia condurre  e accetta supinamente ogni provvedimento pur di salvare la nuda vita. Gli insani sono una nuova categoria di reietti, i deboli colpiti da sventura anatomica sono guardati con sospetto, potrebbero essere veicolo di malattia e specialmente sono i “traditori” del nuovo regime clinico-terapeutico che immobilizza le menti ed i corpi dinanzi al terrore della sconfitta. Il nuovo spettro che si aggira per l’Europa è il “dolore”, il quale dev’essere rimosso in nome del nuovo paradigma terapeutico che ordina salute e giovinezza sempiterna.

Ogni soggetto si autopercepisce come una clinica, si scrutano sintomi e cedimenti, l’attenzione concentrata sul corpo distoglie dalla realtà sociale, l’individuo è così sempre più astratto e sempre più narcisista[1]:

“La misurazione clinica si è diffusa in tutta la società. La società è diventata una clinica, e tutti i cittadini sono diventati dei pazienti la cui pressione sanguigna viene costantemente sorvegliata e regolata perché stia ’entro’ i limiti normali. I gravi problemi di personale, di risorse finanziarie, di diritto d’accesso, di capienza e di gestione che affliggono gli ospedali dappertutto si possono interpretare come i sintomi di una nuova crisi del concetto di malattia”.

                                                  

Nuovi oratores

Il medico è parte del circo mediatico degli oratores, dall’alto delle loro conoscenze lanciano gli strali sui dissidenti, sono i nuovi profeti che con un linguaggio profetico e scientifico premiano gli ubbidienti e condannano coloro che osano sollevare dubbi. Le nuove stelline della società dello spettacolo sempre più spesso dismettono i panni dello scienziato-profeta per farsi apprezzare anche dal gossip mediatico per altre qualità poco professionali. La società dello spettacolo per consolidare il sistema terapeutico usa un doppio registro: scientifico e da cabaret, in tal modo medici e primari sono vicini e distanti e a seconda delle circostanze il potere li fa “sentire vicini o distanti”. Le regole sono imposte, ma specialmente se parla il virologo di turno a reti unificate, intorno a lui vi è solo silenzio. Il medico ha sostituito il prete con le sue sacre liturgie, e dinanzi alla scienza ci si inginocchia in attesa della miracolosa parola[2]:

“Come tutti gli altri grandi rituali della società industriale, la medicina nella pratica assume la forma di un gioco. La principale funzione del medico diventa quella di arbitro. Egli è l’agente o rappresentante del corpo sociale, e ha il dovere di far sì che tutti giochino secondo le regole. Queste, naturalmente, vietano di abbandonare il gioco e di morire in una maniera che non sia stata specificata dall’arbitro. La morte non avviene ormai più se non nei modi previsti dalla profezia autorealizzatrice dello stregone”.

                           

Linguaggio per corpi astratti

Il linguaggio medicale con cui si parla al  proprio corpo sottrae al soggetto la possibilità di creare un linguaggio personale capace di individualizzare la propria esperienza del corpo vissuto. Il linguaggio astratto e omologato sottrae al soggetto il proprio corpo rafforzando un dualismo schizoide. Conoscersi, significa parlarsi con un alfabeto personale complementare ai linguaggi convenzionali e specialistici. Si deindividualizza e si formano corpi astratti e seriali.   Il dolore e la malattia sono un limite al flusso ininterrotto di desideri, pertanto sono rimossi dalla pubblica visione e dalla partecipazione comunitaria. L’educazione emotiva e la riflessione sul senso del dolore sono sostituite con la diagnosi e la cura finalizzate al reintegro nella dimensione produttiva e desiderante. La malattia dev’essere vissuta in spazi neutri dove il paziente è solo un ammalato ed ha perso ogni identità e vissuto, è solo un corpo da spiare e misurare su cui si interviene. Il controllo che attraversa il soggetto lo rende oggetto e gli insegna nel momento del dolore l’ineluttabile logica del dominio e dell’impotenza:

“La iatrogenesi sociale agisce quando la cura della salute si tramuta in un articolo standardizzato, un prodotto industriale; quando ogni sofferenza viene ’ospitalizzata’ e le case diventano inospitali per le nascite, le malattie e le morti; quando la lingua in cui la gente potrebbe fare esperienza del proprio corpo diventa gergo burocratico; o quando il soffrire, il piangere e il guarire al di fuori del ruolo di paziente sono classificati come una forma di devianza[3]”.

Per poter controllare una popolazione resa insicura e colpevolizzata si procede a moltiplicare le malattie, a rendere il canone di normalità sempre più irraggiungibile e frustrante, si crea un ciclo che nutre l’economia al servizio dei potentati e che astrae dalla moltitudine denaro, informazioni e spontaneità della vita:

“Il monopolio radicale si nutre di se stesso. La medicina iatrogena rafforza una società morbosa nella quale il controllo sociale della popolazione da parte del sistema medico diventa un’attività economica fondamentale; serve a legittimare ordinamenti sociali in cui molti non riescono ad adattarsi; definisce inabili gli handicappati e genera sempre nuove categorie di pazienti[1]”.

Non siamo vuoti contenitori, pertanto dinanzi al potere clinico che avanza bisogna conservare e condividere il discernimento. Resistere al dominio clinico senza denigrare la medicina è un dovere etico che può esplicarsi solo nella comunitaria ricerca di informazioni, senza il gesto comunicativo ogni resistenza è impossibile, pertanto non si deve arretrare dinanzi al linguaggio medico, ma è legittimo chiedere, avere dubbi, e cercare alternative, qualora sia possibile. All’abitudine di essere oggetto delle ineluttabili decisioni oligarche bisogna contrapporre la soggettività critica e solidale senza la quale non vi può che essere un destino di sussunzione generalizzata.

 

[1] Ivan Illich  Nemesi medica L’espropriazione  della  salute Red edizioni Milano 2013

[2] Ibidem pag. 239

[3] Ibidem pag. 47

[4 Ibidem pag. 49

Le pandemie nella ratio epocale - Comune-info

Fonte foto: Comune-info (da Google)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.