Lettera aperta: quello che gli uomini non dicono

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Tempo fa mi capitò di afferrare una considerazione di Pasolini. Uno di quei bagliori che non ho più dimenticato, quasi mi si sia marchiato a fuoco nella mente e che spero di restituire al lettore in maniera fedele: amo quei proletari che combattono il padrone, evitando di diventare come quel padrone.

Parto dalla premessa (forse troppo ottimistica) che nessun uomo dotato di normale intelligenza e senso etico possa rimanere indifferente alle ingiustizie subite dalle donne in passato e anche nell’immediato presente, e che quindi sia  anche sempre doveroso tenere alta la guardia nei confronti del rischio di una scarsa sensibilità pubblica e quindi politica verso certe derive sociali. Sotto questo profilo, credo si capisca la portata storica delle battaglie del femminismo europeo e italiano, meritevoli di aver denunciato le vessazioni perpetrate da certa cultura maschile.

Personalmente non ho mai avuto alcun problema a raccogliere queste istanze emancipatorie per la semplice constatazione che non mi sono mai posto in maniera egemone nei confronti del sesso femminile. Piuttosto, intendo ribaltare il punto di vista e mettere sul tavolo della discussione ciò che appare clandestino: la violenza che non pochi uomini hanno subito e subiscono nei rapporti col genere femminile. In parole povere, prendo apertamente le distanze da certe rivendicazioni risarcitorie che rischiano di rovesciarsi nell’eccesso opposto, in un’identificazione col carnefice. Sarebbe troppo facile per me appellarmi ad una situazione mia personale (che purtroppo ancora mi trascino) nella quale sono costretto a portare a termine ciò che mio padre non ha mai avuto il coraggio di fare, ovvero staccarsi in termini strettamente legali  da una moglie (nel mio caso “madre”) castrante, ma oltre a questo fugace riferimento non andrò. Mi sento, invece, di spostare l’obiettivo sulle mie esperienze extrafamiliari e su quelle che mi hanno visto testimone della sofferenza di amici che hanno subito torti inenarrabili cui sono stati incapaci di reagire a causa di ricatti più o meno inconfessabili.

L’esercizio della libertà personale, quando è autentico, comporta l’assunzione di responsabilità e nell’affermare ciò non c’è bisogno di conferme sartriane. In definitiva, non si deve confondere la libertà con arbitrio, per cui la parità fra i sessi dovrebbe essere sancita da suddetta premessa, il che suggerisce non solo che gli uomini rinuncino a qualsiasi pretesa di dominio esclusivo, ma anche che le donne dimentichino la possibilità di estorcere vantaggi grazie a tutte le solfe insopportabili più o meno garantite dai codici della cosiddetta galanteria.  Insomma, il desiderio di possedere la bicicletta deve poi essere seguito da quello di impegnarsi a pedalare, uomini o donne che siano quelli/e desiderosi/e di ambire ad un ruolo. Posso ammettere, in tutta tranquillità, che ho quasi sempre avvicinato e (ammirato) donne capaci di essere autonome e in grado di fronteggiare situazioni private in quasi assoluta solitudine, senza con questo sbandierare alcuna militanza in qualche club estremistico sulla causa femminile. Al contrario, ho molto sofferto per aver raccolto comportamenti esattamente opposti a questi propositi, condotte che mi hanno sempre più convinto, ad esempio, che se il “berlusconismo” ha raccolto un seguito enorme è proprio perché un numero imponente di donne, più o meno tacitamente, ha buttato alle ortiche i propositi della fatica libertaria, cui inevitabilmente condanna l’esercizio autentico dell’emancipazione, per preferire la vecchia mentalità del vantaggio materiale (quella sì, autenticamente maschilista!) ottenuto con le sempiterne armi della seduzione. Rinunciare al modello della velina significherebbe per molte donne abiurare davvero lo stereotipo della donna-oggetto (tanto caro al consumismo pornografico), ma evidentemente questo implicherebbe anche rinunciare paradossalmente alle stesse quote rosa in politica, visto che lo stesso Cavaliere ha spianato la strada a non poche sue intime amiche, suscitando anche le invettive del Battiato di Inneres auge.

Questa mia ultima considerazione è certamente una provocazione dai toni naif, ma spero che il senso del mio intervento sia chiaro. A volte mi domando, forse con mia insuperata ingenuità, cosa faccia chinare la testa agli uomini (compreso purtroppo il mio povero padre) che accettano la sudditanza quasi totale dalle loro mogli e dalle loro compagne e puntualmente non posso che ridurre la riposta a pochissime soluzioni: la paura di rimanere soli, una certa comodità quotidiana e la dipendenza sessuale “gratuita”. Allora, mi pongo un’altra domanda: sono sempre state queste le armi che hanno fatto abdicare gli uomini con le donne nelle relazioni umane? Se la risposta è sì molto probabilmente dovremmo arrenderci non solo a delle leggi di natura molto ben interpretate proprio dalle donne (ben consapevoli, ad esempio, delle scadenze biologiche imposte dai destini riproduttivi), ma proprio a quel modello berlusconiano che ha sfruttato e sfrutta la suggestione del potere maschile, il quale a sua volta riconosce quello femminile solo nel recinto della seduzione  agognata, nonché ottenuta, col denaro.

In questo quadro di considerazioni, forse fin troppo semplificate,  per esaurire un argomento probabilmente sconfinato, mi permetto di aggiungere altro. In primo luogo, apprezzerei molto che il femminismo militante denunciasse con più frequenza e con più determinazione la compromissione di tante donne nei ruoli chiave della malavita organizzata – considerato che costoro fanno del male come e a volte più degli stessi compari di malefatte maschi – magari promuovendo un senso etico al femminile che possa rinunciare al potere e non solo denunciarne retoricamente le storture. In secondo luogo, mi ha sempre colpito l’opinione diffusa fra molte escort secondo cui la vera prostituzione è quella praticata dal perbenismo di molte donne che coprono le loro trasgressioni con l’immutabile rispettabilità dei loro rapporti di comodo.  Non è forse quest’ultima una forma cinica di potere, ovvero quella di gestire i propri compagni sfruttando le loro debolezze solo per esercizio del proprio egoismo? Insomma, è possibile davvero attendersi da certo femminismo una presa di distanza autentica da forme di dominio senza cadere nella sterilità dei proclami?

Affermo queste cose senza rancore, fedele al pensiero di Pasolini di liberarsi dal carnefice senza cedere nella tentazione di indentificarvisi, consapevole che la mia natura di uomo è incapace di una volontaria brutalità.

homem mandado, barriga branca - YouTube

Fonte foto: youtube (da Google)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dichiaro di essere al corrente che i commenti agli articoli della testata devono rispettare il principio di continenza verbale, ovvero l'assenza di espressioni offensive o lesive dell'altrui dignità, e di assumermi la piena responsabilità di ciò che scrivo.