Osservatorio sugli eventi del mondo: fatti, ragioni, conseguenze, morali della favola

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

LE NUOVE VIE DELLA DESTRA E LA RISCOPERTA DELLA SINISTRA

STATI UNITI E GRAN BRETAGNA

Molti di voi avranno avuto modo di leggere le previsioni di istituti specializzati e di grandi giornali su quello che accadrà nell’anno di grazia 2020. E di constatare che queste sono precise e dettagliate per quanto riguarda le questioni internazionali ( dalla voce “semi paci e semiguerre”), l’andamento dell’economia, la ( non ) lotta ai cambiamenti climatici e così via. E stranamente silenziose, invece, su due eventi: l’uno testè concluso – le elezioni inglesi – l’ altro in pieno svolgimento – le presidenziali americane. Sul primo, tanto per fare un esempio, il Financial Times decreta che il laburismo inglese non si riprenderà dalla sua sconfitta ( mentre i conservatori raggiungeranno un accordo con la Ue che renderà tutti felici). Mentre sul possibile esito delle elezioni americane butta la palla in corner dicendo che il candidato democratico avrà sicuramente dalla sua il voto popolare ma che questo non significa nulla perché… Il che equivale a sostenere, senza dirlo apertamente, che, oggi come oggi, la vittoria di Trump è più che probabile.

Tutto ciò merita, allora, un supplemento di indagine perché ha che fare con una cosa che agli esperti e ai media interessa poco o niente e a noi ( di Alganews, di sinistra, socialisti o come altro possiamo definirci) invece moltissimo. Parliamo dell’identità: di un’identità che la destra, in America come in Inghilterra, si sta reinventando e con successo; e che la sinistra sta tentando non già di reinventare bnsì di riscoprire ma tra mille ostacoli, per lo più interni alle sue file.

STATI UNITI

INCERTEZZE DEI DEMOCRATICI E CERTEZZE DEGLI ELETTORI

A meno di un anno dalle presidenziali e a un mese dalle primarie nello Iowa prende sempre più forza la posizione di Trump: l’andamento dell’economia ( crescita, occupazione, profitti, andamento della borsa) è, da ogni punto di vista, favorevole; la gestione delle questioni internazionali pure; niente recessioni o guerre in vista; pochi o nessun morto americano nei conflitti in corso; e soprattutto un confronto interno, ad un tempo rissoso e personale, che ha compattato intorno al presidente non solo la sua base elettorale ma anche l’intero partito repubblicano. Una minoranza, certo, in termini di consenso complessivo ( siamo intorno al 45 %. Ma una minoranza estremamente coesa e sicura, anche della sua nuova identità.

Dall’altra parte, invece, un partito democratico che, qui e oggi, appare sempre più diviso. In primo luogo sulla strategia elettorale da adottare.  C’è una destra ( che potreste anche chiamare, se questa parola vi urta, “apparato” o “establishment”) revanscista che, per lavare l’affronto subito nel 2016, si affida all’impeachment. Una procedura che non ha alcuna possibilità di successo; una strategia elettorale che contestando i modi e le forme con cui Trump esercita il suo potere, mette in secondo piano le sue politiche e quelle della sua amministrazione. E c’è una sinistra che, riscoprendo la socialdemocrazia classica, vuole aumenti di spesa pubblica, controlli sulle grandi imprese, riforme fiscali, contestando il modello economico. La seconda con le porte sbarrate al centro ma con grandissima capacità di pescare nell’elettorato giovanile, d’opinione e tra gli astensionisti.

Analoga incertezza a livello di candidature. E su tutti i fronti. Nel campo dell’establishment moderato, Biden non decolla; anzi è destinato a logorarsi sempre di più: e per le ricadute, sicuramente negative, del processo di impeachment e per la concorrenza assai più concreta ed efficace di Buttigieg. E, nel campo di sinistra, la forte resilienza di Sanders: bau bau, anzi, nemico da abbattere ( avete presente Corbyn ? ) per il campo moderato e conservatore e per buona parte del suo stesso partito ma forte del difetto imperdonabile di avere detto e ripetuto per decenni le cose che ora cominciano a dire molti altri.

Anche qui l’impasse. Ma a scioglierla, almeno così speriamo, saranno le voci che vengono dal terreno, leggi dal confronto personale che candidati e rappresentanti istituzionali hanno con i loro elettori. E queste voci sono unanimi: nessun interesse per l’impeachment e per le questioni di principio; ma la richiesta di fare qualcosa per cambiare il sistema sanitario.

Due importanti segnali in questo senso. Il primo riguarda gli anziani. Quest’anno, per la prima volta dal 1970 e in completa controtendenza la maggioranza morirà in casa anziché in ospedale. Insopportabile, certamente, l’ida di morire da soli; e abbandonati. Ma, forse, ancora più insopportabile la prospettiva ( di cui il ricorso, nel 45% dei casi, al testamento biologico) di trascinarsi, per anni, tra dolori e disabilità crescenti e cure palliative inutili; nell’impotente disagio dei propri cari Così come è insopportabile, per gli operatori, gestire una casa di cura. la cui finalità è quella di guarire i malati e rispedirli al più presto a casa, come luogo di rifugio e/o di abbandono di lungo periodo di anziani variamente non autosufficienti. Insopportabile; leggi anche insostenibile.

A questa categoria appartiene anche il prezzo dei medicinali. Frutto del duplice disastro che ha colpito le case farmaceutiche. Primo. Lo scandalo delle prescrizioni di medicinali/droghe prescritti per anni e anni nel silenzio complice della categoria, dei politici e della autorità centrali garanti della salute dei cittadini. E con conseguenze catastrofiche di centinaia di morti e di decine di miliardi di dollari da pagare a titolo di risarcimento. Secondo, il vuoto nel sistema sanitario determinato dalla scoperta di una serie di nuovi germi resistenti agli antibiotici e dal ritardo – dovuto soprattutto alla carenza di fondi, privati e pubblici, per la ricerca ma anche alla crisi delle imprese – nella scoperta di adeguate contromisure; ritardo anche qui pagato con un aumento dei prezzi dei medicinali.

E qui la protesta dei cittadini è stata ascoltata. “Faremo la nostra campagna elettorale, presidenziale o locale che sia”- questo l’impegno unanime dei candidati – “su questi temi”.

Un importante e, speriamo decisivo assist alle posizioni della sinistra. Tanto più perché basate non su enunciazioni ideologiche ma sui bisogni delle persone.

INGHILTERRA

I CONSERVATORI SONO RINATI MA I LABURISTI NON SONO MORTI

Se avesse ascoltato l’Economist e i benpensanti di ogni ordine e grado, Boris Johnson non si sarebbe nemmeno dovuto presentare davanti all’elettorato ma dimettersi, chiedere scusa e presentarsi in gramaglie davanti ai suoi giudici britannici ed europei. Millantatore, imbroglione, spavaldo e screanzato, irrispettoso delle buone creanze e delle regole, promotore di disastri economici e politici passati e futuri e, ciliegina sulla torta, passibile di aver ricorso a vie di fatto nei  confronti della sua compagna nel corso di un litigio ( per la verità udito ma non visto dai suoi vicini di casa).

E però, al di là di ogni considerazione di merito, il Nostro  appartiene alla categoria degli “irregolari di genio” che, a partire da Disraeli per arrivare, via Churchill alla pur odiosa Thatcher – hanno via via rifondato su nuove basi, il partito conservatore. E, come tale, si è ben guardato dal tornare sui suoi passi, garantendo un ruolo e uno spazio nelle sue liste ai pur illustri esponenti del remain né dal fare campagna elettorale girando nei collegi conservatori per rassicurare le infinite miss Marple sui suoi intendimenti futuri.

Al contrario, e fin dall’inizio della campagna elettorale, ha piantato le sue tende, assieme a quelle della dirigenza politica e comunicativa, nelle terre rosse e “leaver” dell’Inghilterra del centro e del nord. Cominciando col chiedere ai loro elettori quale era la cosa che gli interessava di più; e regolandosi  di conseguenza.

E le conseguenze sono state: prima la ripetizione martellante, dappertutto e da parte di tutti dello slogan “let brexit be done ( tradotto a senso “abbiamo deciso di uscire e adesso usciamo, senza ulteriori chiacchiere e ripensamenti “). Uno slogan semplicistico e quindi in parte fuorviante ( uscire va bene; ma sul come tutti i giochi restano aperti. Ma anche politicamente azzeccato: perché avrebbe portato allo scoperto l’ estrema debolezza della proposta dei remainers ( il suo portabandiera, la segretaria del partito liberal-democratico Swinson, parlava di maggioranza assoluta; ha ottenuto il 12% dei suffragi e 11 seggi su 650…); e fatto esplodere, come si diceva una volta, le contraddizioni interne del partito laburista, su cui torneremo tra poco.

Si aggiunga che lo stesso Johnson ha tenuto fede al patto tacito offerto agli elettori laburisti su cui aveva testato la sua piattaforma elettorale. Nel senso di mutare completamente l’immagine e l’identità dei tories: non più l’amabile e politicamente corretto partito di Cameron; ma nessun ritorno all’ordoliberismo classista e feroce della lady di ferro. Ma un nuovo partito di destra sociale, sovranista e, al tempo stesso, attento alla ricomposizione del tessuto sociale, spesa pubblica e centralità dello stato compresi. Un modello, per inciso, e una sfida nei  confronti dei quali la sinistra, di governo e di opposizione che sia, risulta in partenza perdente.

E dunque i conservatori hanno vinto. Anzi stravinto. E, quindi, i laburisti hanno perso. Anzi straperso. Al punto di non essere assolutamente in grado di riprendersi. Almeno nel futuro immediatamente prevedibile.

Ora, il primo giudizio è corretto. Mentre il secondo è completamente falso. Per la totale parzialità di chi l’ha emesso. Ma anche in base all’evidenza dei fatti.

Possiamo risparmiare ai nostri lettori la presentazione, diffusa da tutti i media occidentali, quasi che fosse scritta sotto dettatura del partito laburista e del suo segretario come un covo di imbecilli e di criminali politici, non ancora pedofili ma sicuramente antisemiti. Così come, l’immagine dei dirigenti di fede blairiana, la sera delle elezioni, divisi tra l’odio puro per Corbyn e i suoi sostenitori e la gioia scomposta di chi già sente l’odore del sangue. Anche se si tratta di vicende che gridano vendetta al cielo.

E possiamo farlo in base all’evidenza dei fatti.

Non è vero che il 16 sia stata una catastrofe elettorale e politica. E non è vero perché il partito dopo l’impennata del 2017 è tornato, più o meno, sui livelli del 2015 : oltre 10 milioni di voti e 202 seggi. Un dato non solo incommensurabile con quello del 1931 ( ma per arrivare, poi, nel 1945, a circa 400 con il 50% dei voti); ma superiore ai livelli degli ottanta).

Non è vero che il partito abbia perso per il suo programma “fuori dal mondo” se non proprio bolscevico. Perché questo stesso programma aveva ottenuto, nel 2017, un notevole consenso elettorale e risultava gradito in un sondaggio della seconda metà del 2018 , gradito alla maggioranza assoluta degl elettori.

E non è vero, infine, che la sconfitta sia stata determinata dal  “brexitismo” di Corbyn e del nuovo gruppo dirigente laburista. Perché è vero esattamente il contrario. Il Nostro, all’indomani del referendum, aveva tenuto una linea non solo equilibrata ma, come si dice, “nell’interesse del paese” ; prendere atto del risultato ma nel contempo puntare su accordi che mantenessero, nella misura del possibile, i legami con l’Europa. Questa la linea presentata con successo agli elettori nel 2017; questa la linea tenuta in Parlamento; questa la linea presentata al congresso del 2019. Questa la linea rimessa in discussione e per puro spirito revanscista dal vecchio gruppo dirigente; fino a inserire nel referendum confermativo dei nuovi accordi anche la possibilità di rimettere in discussione il tutto, votando “remain”.

Alla fine, un risultato esattamente opposto a quello previsto dalla destra del partito: perdita netta di voti nelle terre d’origine, proprio per la posizione equivoca assunta sulla Brexit ; contenimento dei danni nelle grandi città e a Londra dove aveva vinto il Remain e dove il partito aveva raggiunto, proprio nel 2017, i suoi risultati migliori.

Per finire, checché ne dicano i soliti noti, nessun cadavere e nessuna sepoltura. Perché il movimento è caduto ma si dà una terra solida; mentre a finire nella terra di nessuno, sono stati i suoi oppositori interni. Come avvenne negli anni trenta. E ancora negli anni ottanta.

MORALE DELLA FAVOLA

Ci siamo dilungati troppo ? Sì ci siamo dilungati troppo. Ma era necessario farlo. Perché la vicenda del laburismo inglese ( e, se vogliamo anche quella del partito democratico americano) riguarda tutti  i socialisti europei. Ci avevano, ci hanno raccontato che il socialismo tradizionale era un cavallo perdente. E constatiamo che il 32% è leggermente superiore al risultato spagnolo e portoghese ( dove sono presenti coalizioni di sinistra) e due/tre volte superiore a quello tedesco, francese e italiano. Ci avevano raccontato che il futuro apparteneva alla modernità e che la socialdemocrazia era un relitto del passato mentre il nuovo che nasce tra mille difficoltà nasce tra i giovani e sulle rovine del “socialismo di governo” dei decenni passati.

Nessuno può pretendere di avere in mano le chiavi del futuro. Ma, insomma, un minimo di autocritica per il passato non guasterebbe.

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Fonte foto: www.dailymail.co.uk (da Google)

 

 

 

 

 

 

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