Per un nuovo ordine mondiale multipolare

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Relazione al seminario di Roma del 18 maggio e del seminario di Oristano del 21 maggio.

Sandro Valentini

 

Con la guerra tra Russia e Ucraina siamo a un tornante della storia. Uno di quelli che si presentano una o due volte al massimo nel corso di un secolo. Un tornante destinato a segnare le sorti dell’umanità per i prossimi decenni. Allora è poco interessante discutere qui tra noi se Putin ha fatto bene o ha sbagliato a intraprendere questa operazione militare; se la radicalizzazione del conflitto, sfociato in scontro militare aperto, poteva essere evitato e come poteva essere evitato. Voi tutti sapete qual è la mia opinione ma non è questo il tema al centro del nostro seminario. Noi sappiamo che da almeno un decennio l’amministrazione americana, prima con Obama e poi con Biden, con la parentesi di Trump che si è scagliato prevalentemente contro la Cina, ha condotto una politica di allargamento aggressivo della Nato ad est, inglobando tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia e alcune repubbliche ex sovietiche. L’Ucraina è un altro fondamentale tassello di questa politica, e anche il tentativo di destabilizzare la Bielorussia, con la ennesima “rivoluzione colorata”, rientrava in questo disegno. Ma nel contempo oramai da anni si è consolidato un asse strategico russo-cinese, che si è manifestato in molte occasioni di crisi, nel corso di questi anni, nei rapporti con l’Occidente. Un asse strategico dunque che non nasce dalla reciproca convenienza del momento, ma ha basi strutturali molto solide. Le sanzioni dell’Occidente alla Russia, a dire la verità in questi anni sempre portate avanti con determinazione, ma che ora non hanno precedenti nella storia, hanno accelerato un processo che era in atto, evidenziando drammaticamente lo scontro tra Russia e Cina con l’Occidente, in particolare con gli Usa.

L’inizio di questo processo ha due date: la crisi finanziaria del 2008 e la guerra di siriana, dove per la prima volta dall’’89 gli Usa non sono riusciti a destabilizzare un paese che si è valso del sostegno, anche militare, della Russia appoggiata dall’iniziativa diplomatica della Cina. E la cosa si è ripetuta in Venezuela e in altri paesi. Lontani sembrano i tempi in cui la Nato bombardava Belgrado e quelli della distruzione dell’Iraq e della Libia senza che nessuno potesse fare nulla.

Cosa è accaduto in questi anni, perché si è giunti a questa situazione? Vi è in fieri, in conseguenza dell’asse strategico russo-cinese, un nuovo ordine mondiale multipolare a cui guarda la stragrande maggioranza delle popolazioni del pianeta, ma vi è anche un Occidente, guidato dagli Usa, che vuole riproporre il suo ordine mondiale unipolare, quello uscito dall’89 con il crollo dell’Urss, che intende ancora esercitare il suo ruolo di dominio su tutto il globo, proseguire in forme nuove quelle politiche coloniali, neocoloniali e imperialistiche che hanno caratterizzato l’Occidente almeno per tre secoli, su cui ha costruito il suo sviluppo e le sue fortune, sfruttando e rapinando il resto del mondo. Paradossalmente la globalizzazione finanziaria, che doveva essere il nuovo strumento di oppressione dell’Occidente su tutto il mondo, ora inizia a mostrare tutti i suoi limiti. Aver messo in discussione gli accordi di Bretton Woods (che prevedevano la non convertibilità del dollaro in oro), aver esasperato i processi di finanziarizzazione per favorire facili e grandi profitti, l’aver trasformato il dollaro, senza valore, da moneta per lo scambio di merce in merce ha distrutto l’economia reale, in particolare in Europa. Come esempio si guardi l’Italia, una volta considerata la sesta potenza industriale mondiale!

Ma le industrie (come la classe operaia) non si sono estinte, si sono sviluppate nei paesi emergenti, in Cina, in India, in Brasile, in Sud Africa e in molti paesi che detengono materie prime, come il Venezuela e l’Iran, per non parlare della Russia, che detiene con la sola Siberia il 50% delle risorse strategiche del pianeta. L’insieme di questi paesi intendono giustamente utilizzare queste loro risorse per lo sviluppo del paese e quindi chiedono scambi commerciali e cooperazione alla pari. Ma il capitale finanziario, che oggi domina nell’Occidente, non è disponibile a questi scambi commerciali e a questa cooperazione alla pari. Vorrebbe, anche con la forza delle armi, imporre i suoi interessi e continuare a strozzare e a sfruttare questi paesi che devono estrarre materie prime e produrre ricchezza soprattutto per la parte più ricca del mondo, che però produce una quantità immensa di valuta senza valore, mentre la sua ricchezza economica si riduce sempre di più. Questa situazione ha innescato il cosiddetto declino statunitense.

Allora questo tornante della storia si caratterizza sempre più come conflitto epocale tra il capitale finanziario, che domina nell’Occidente (che non è il vecchio capitalismo monopolistico), pur nelle diverse articolazioni e contraddizioni dei suoi diversi poli imperialistici, e il resto del mondo, composto da uno schieramento di paesi con regimi molto diversi, socialisti, a orientamento socialista, a capitalismo monopolistico di Stato più o meno avanzato, di nuova industrializzazione. Ne deriva che la Russia sia tutt’altro che isolata, mentre è l’Occidente che appare sotto assedio.  Questa è la contraddizione fondamentale del nostro tempo. È evidente che vi siano altre contraddizioni come quella tra capitale e lavoro, ma l’insieme di queste contraddizioni sono in secondo piano, se mi si passa il termine, sono politicamente in gran parte assorbite dalla lotta contro il dominio del capitale finanziario occidentale. Non è che in un paese come l’Iran la sinistra non debba condurre la lotta di classe, ma questa lotta non può non tener conto dello scontro che sostiene il paese contro l’Occidente, così come è necessario considerare che l’esito finale dello scontro influenzerà la società iraniana per lo sviluppo delle lotte e per la realizzazione di conquiste sociali e di libertà.

Questa svolta epocale della storia di colpo ha spazzato via gli accordi di Yalta e l’ordine mondiale uscito dalla seconda guerra mondiale, nonché il trattato sulla sicurezza europea di Helsinki, ma soprattutto ha capovolto l’89 in quanto configura un mondo multipolare e non più, né bipolare, Usa-Urss, e neppure unipolare a guida statunitense. Quindi non è un ritorno, come molti affermano, alla “guerra fredda”, ma si schiude una fase del tutto nuova nella storia dell’umanità. Se si tornasse a una analisi marxista, strutturale della società, che pochi fanno, neppure prestigiose riviste geopolitiche come Limes, sarebbe evidente che il sistema di alleanze di questo vasto schieramento di paesi, di cui la sinistra mondiale è parte integrante meno quella europea che latita, delinea un nuovo campo, in quanto ha un comune interesse: la lotta al capitale finanziario e la riaffermazione nel contempo di una funzione forte del sistema pubblico, dello Stato, annichilito, svuotato dal capitale finanziario. E proprio la funzione dello Stato è il comun denominatore potente di tutti questi paesi contro l’Occidente.

Questo durissimo scontro tra due nuovi campi non si esaurisce con la guerra in Ucraina. Non sto ora a soffermarmi sull’andamento della guerra e sui suoi esiti. Anche se mi pare scontata la vittoria sul campo militare della Russia, che tra l’altro mi pare attrezzata a condurre una guerra anche prolungata. Qui mi interessa sostenere che a prescindere dai tempi e dalle modalità con cui si giungerà a una tregua, a un negoziato, finanche alla pace, il confronto tra Russia e Cina e i loro alleati con l’Occidente si prolungherà nel tempo. Con nuove tensioni e persino con altri conflitti militari. Nessuno ha la sfera di cristallo ma un nuovo ordine mondiale multipolare non si realizza in un giorno. Gli Usa sono in declino ma non sono una “tigre di carta”, non devono essere sottovalutati. Sono una grande potenza e ci vorranno anni per realizzare un nuovo ordine mondiale il cui esito è incerto, anche se sono ottimista. La guerra in Ucraina purtroppo è solo una tappa. Nessuno si illuda che si possa tornare indietro tramite un diverso assetto territoriale di questo paese. D’altronde le sanzioni economiche alla Russia e le successive mosse di questa potenza, concordate con la Cina e con altri paesi, ha da subito reso chiaro il durissimo scontro valutario già in atto da tempo. L’operazione fatta sul rublo e la risposta russo-cinese di costruzione di un sistema finanziario alternativo al dollaro era un processo già in stato avanzato. La guerra e le sanzioni lo hanno soltanto accelerato, hanno reso a tutti chiara la grossa posta in gioco, in primo luogo sul tavolo del controllo dei flussi finanziari sulle operazioni commerciali di scambio. E l’uscita della Russia dal Wto ne è una ulteriore conferma.

Non andiamo incontro a un periodo, non so quanto lungo, caratterizzato da un mondo pacificato, ma ci aspetta un mondo lastricato di dolore e sofferenze, di crisi finanziarie, economiche e sociali, di nuovi conflitti e di guerre sanguinose. Escludo la guerra nucleare in quanto la Russia ha raggiunto la parità strategica con gli Usa per i prossimi anni e ciò è un valido deterrente per un attacco che assicurerebbe una totale distruzione. Insomma quella che è in atto è, come dice Papa Francesco, “una guerra mondiale fatta a pezzi.” Se lo scenario è questo è necessaria una riflessione puntuale sul movimento per la pace. Occorre capire che i suoi spazi d’azione si sono notevolmente ridotti. Non voglio essere frainteso: è certamente opportuno valorizzare e sostenere le posizioni contro la guerra, anche quelle che sollevano una serie di distinguo, come di chi dichiara di non essere né con la Russia né con la Nato. Ma siamo in un contesto tutto diverso rispetto al movimento per la pace del secolo scorso. Allora i “né né” erano utilissimi per sviluppare una posizione contro una politica di corsa alle armi di sterminio di massa. Non vi erano solo partiti e organizzazioni sindacali che in ogni parte del mondo si battevano contro lo spettro della guerra nucleare, vi era soprattutto un movimento di paesi non allineati che svolgeva un ruolo positivo. Un movimento i cui leader erano Castro, Tito, Nasser, Indira Ghandi e in Europa vi erano esponenti di primo piano della socialdemocrazia, come Brandt e Palme, che sostenevano questa visione. Oggi la tendenza di tutti gli Stati – e lo si è visto all’Onu – è la scelta di appartenere ad un campo, o quello Occidentale guidato dagli Usa o quello che si sviluppa attorno all’asse strategico russo-cinese. L’unico Stato non allineato pare essere il Vaticano!

Certamente sulla debolezza del movimento per la pace pesano le posizioni prese oggi in Europa da quel che resta delle socialdemocrazie e dall’ambiguità e inadeguatezza della sinistra. Ma non si può ridurre tutto a questo fattore. Il tornante della storia ha messo in discussione vecchi schemi e certezze che suscitano nuove domande. Come considerare la posizione dell’Ungheria? È riconducibile solo ad una matrice di destra? Guardando all’Italia, come deve essere letta la posizione critica della Lega di Salvini rispetto alla convergenza tra Pd e Fdi? Oppure se si volge lo sguardo sul durissimo scontro politico in corso negli Stati Uniti, chi, tra il democratico Biden e l’ex presidente Trump, ha la posizione più avanzata in politica estera? Dare delle definizioni è sempre più complicato se non si recupera un’analisi marxista che non prescinda dai processi strutturali in atto. Allora è inevitabile che la tradizionale posizione pacifista abbia decisamente minor peso e influenza. Basta guardare a come le forze politiche italiane (e non solo), sostenute dalla maggior parte dei media si siano rapportate alle dichiarazioni e alle prese di posizione avanzatissime del Papa, che è stato criticato, censurato, tacciato addirittura di essere putiniano. Una cosa che non si era mai vista prima! In Europa siamo ormai alla militarizzazione della società civile: c’è un pericolo esterno, la Russia, e un nemico interno, cioè chiunque possa porre interrogativi e preoccupazioni. Una militarizzazione della società che non investe solo l’informazione di guerra, distorta e manipolata, ma tutte le sfere della società civile, dalla cultura allo sport. Siamo alla russofobia, allo sdoganamento e alla legittimazione del neonazismo ucraino in nome dei valori occidentali.

Dunque – mi ripeto – il movimento per la pace si vede restringere di molto gli spazi per la sua azione. Se la lotta contro la guerra prescinde dall’obiettivo di costruzione di un nuovo ordine mondiale multipolare il movimento perde di incisività in quanto il compromesso, pur provvisorio, sarebbe una vittoria di chi pretende che si perpetui l’ordine unipolare statunitense. Senz’altro una tregua è possibile e auspicabile, un compromesso che ridefinisca in modo marginale lo status quo non è fattibile. La lotta contro la guerra non può allora che essere un tutt’uno con la realizzazione di un nuovo ordine mondiale multipolare, una convergenza tra paesi e forze politiche che si battono a livello globale per questo obiettivo. La costruzione di questo nuovo ordine ripropone la prospettiva del socialismo. È questo un concetto elementare che una parte consistente della sinistra italiana ed europea non comprende, non coglie.

Il dominio del capitale finanziario in Occidente ha determinato regimi politici a-democratici basati sul concetto dell’alternanza, tra forze più o meno liberiste, anche quando si presentano con la veste del sovranismo.  La mutazione del capitale industriale e bancario, così come lo aveva studiato Marx, in capitale finanziario ha messo in discussione il vecchio sistema capitalistico su cui si era retto l’Occidente fino agli anni ’80 del secolo scorso. E con il passaggio del capitalismo monopolistico di Stato al dominio del capitale finanziario anche lo Stato si è indebolito fino ad abdicare al suo ruolo di indirizzo economico, pur nell’interesse in ultima istanza del capitale.  Ecco perché politiche riformiste di impostazione keynesiana in Occidente oggi non sono più praticabili. Chi parla più infatti di programmazione, di pianificazione dell’economia? Sconfiggere il capitale finanziario vuol dire ridare un ruolo centrale alla Stato per condurre, pur in termini contradditori, politiche di riforme e di sviluppo di un nuovo welfare, e addirittura, dove si determinino le condizioni, operare per una trasformazione della società in senso socialista. Fuoriuscire dalla gabbia della democrazia dell’alternanza (è alternanza anche quando a sinistra la si spaccia per alternativa) vuol dire appunto la ripresa fruttuosa delle lotte sociali. Ma per superare l’alternanza e il regime istituzionale e politico di cui è espressione, quello a-democratico, occorre sconfiggere il capitale finanziario e riportarlo almeno ad essere solo uno dei componenti del capitale (insieme a quello industriale) di cui parlava Marx.

Siamo allo snodo del seminario. Ma noi, che siamo in pochi, forza tanto esigua, cosa possiamo fare? «D’accordo, condividiamo la tua analisi, ma siamo totalmente impotenti» potreste con veemenza sostenere. Tutto vero. Ma già ripartire dalla volontà di porsi la domanda gramsciana di come fare la rivoluzione in Occidente è, in questo viaggio nel deserto, una scelta coraggiosa, qualcosa di molto importante. E poi porsi questa domanda non in termini ideologici vecchi e identitari, rispolverando vecchie ideologie, come quella terzointernazionalista bolscevica, o quella del Pci tra gli anni ’50 e ’70, o maoista, o derivata dalla cultura della muova sinistra a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, ma porsi invece l’interrogativo in termini teorici non è un fatto da poco. Insomma parlo di fare propria quella distinzione tra ideologia e teoria che per primo evidenziò Antonio Labriola e che poi fu ampiamente ripresa ed elaborata da Gramsci. L’ideologia sostiene la politica ma non è data una volta per tutte. Non è immutabile. Si nutre di teoria e si modifica attraverso un processo di aggiornamento teorico per diventare bandiera conficcata nel cranio per grandi masse. Riproporre la questione di una teoria rivoluzionaria per l’Occidente è il primo nostro compito collettivo. Ecco perché abbiamo bisogno di sedi come questa, dove poter svolgere un lavoro di analisi e di riflessione collettiva, mettendo in campo tutti gli strumenti che siamo in grado di creare, con passione e fantasia. È un lavoro di lunga lena che non si esaurisce in pochi mesi e dovrà avere i necessari momenti di verifica ponendoci dentro gli accadimenti, i processi, non inseguendoli e neppure isolandoci in modo astratto con una discussione autoreferenziale.

Si tratta di dar vita a momenti di indirizzo culturale e politico per diffondere le nostre idee e pratiche politiche in una sinistra senza più spina dorsale, divisa, polverizzata e subalterna al pensiero unico dominante. Diffondere idee e pratiche ma mai prescindendo dalla necessità della lotta per un ordine mondiale multipolare e dalla ricerca teorica per riproporre all’ordine del giorno la questione del socialismo in Occidente. Avviare un duro lavoro partendo dalle fondamenta e non da pratiche politicistiche ed elettoralistiche.

Quello di oggi è un primo seminario. Propongo da subito di farne altri. In particolare mi interrogherei su due temi: il titolo del prossimo incontro potrebbe essere “Cosa è oggi la Russia e su quali basi strutturali si è costruito un asse strategico con la Cina socialista” e successivamente l’argomento del secondo seminario potrebbe essere “Cosa è l’Europa oggi e dove sta andando”.

Per quanto riguarda il primo tema è evidente che con la guerra e le conseguenti sanzioni occidentali vi è stato un processo di accelerazione in Russia molto interessante che lo stesso Pcdfr ha in questi mesi evidenziato. Un partito comunista che oltre ad avere un peso elettorale del 20% oggi svolge un ruolo politico vitale nell’ambito della dialettica politica del paese. Lo Stato russo si è notevolmente consolidato e con l’acquisizione di grandi patrimoni e ricchezze abbandonate dalle multinazionali occidentali svolge ancor più di ieri una funzione di indirizzo dell’economia e di controllo pubblico sulla finanza. Da questo processo non si torna indietro: gli oligarchi di Eltsin e i legami con il capitale finanziario occidentale non sono più proponibili. Putin ha inoltre varato una serie di provvedimenti sociali per migliorare le condizioni di vita dei russi molto apprezzati dai comunisti. La Russia di oggi non è più quella di una quindicina di anni fa, solo i media occidentali e una classe politica europea modesta non si sono accorti di queste profonde trasformazioni. Molti dei vecchi oligarchi oggi sono passati armi e bagagli con l’Occidente, vivono e si arricchiscono in questa parte del mondo, non sono parte del blocco politico che sostiene Putin.  La Russia mi pare sia a un bivio dopo questo notevole rafforzamento dello Stato: o decide di rafforzare e consolidare il sistema capitalistico monopolistico oppure di riprendere la strada interrotta del socialismo, in termini radicalmente diversi dall’Urss e più simile al sistema cinese. Avanzo l’ipotesi dei due percorsi come elemento di riflessione e di discussione. Anche se un dato mi pare certo: la Cina e forse la Russia sono la vittoria postuma di Bucharin con la sua Nep.

Anche una discussione sull’Europa è molto complessa. La Ue se non è morta è agonizzante, totalmente fagocitata dalla Nato. Sono due le ipotesi in campo per il suo futuro. La prima è che diventi vassalla della Nato senza la minima autonomia. La seconda è che il polo imperialistico franco-tedesco, dove vi è una forte resistenza delle forze produttive capitalistiche alla totale sudditanza agli USA, possa costruire un’Europa dell’eurozona, come di fatto propone Macron, lasciando gli altri paesi in balia degli eventi e soprattutto degli Usa. Si costituirebbe un’Europa ridotta ma con una sua autonomia garantita anche da un esercito europeo. Vedremo, anche in base agli eventi, come andrà a finire. Ma per noi la questione non può essere ridotta a queste due sole ipotesi, anche se tatticamente sarebbe importante stabilire quale delle due soluzioni sia la meno negativa. Sull’Europa la sinistra rivoluzionaria deve avere una sua visione, non può solo giocare sulle contraddizioni interimperialistiche. E anche qui non si sfugge da due diverse ipotesi: o il ritorno agli Stati nazionali, sposando in qualche misura le posizioni delle destre sovraniste, o la formazione di una nuova sovranità, quella degli Stati Uniti d’Europa, che al momento nessuno vuole, tramite un processo costituente che coinvolga grandi masse popolari, con un Parlamento che abbia pieni poteri. Una nuova sovranità in antitesi a quella oggi di fatto trasferita alle Bce e alle oligarchie finanziarie. Anche la messa punto di una nostra analisi e riflessione sull’Europa che vogliamo, dai Pirenei agli Urali si diceva una volta nel Pci, è parte importante della nostra discussione.

Per concludere, questo seminario è solo il primo di una serie che si intende proporre per far in modo che cresca e si estenda una nostra rete di quadri in grado di influenzare, indirizzare e orientare il dibattito a sinistra. Al momento confesso di non avere chiare le modalità attraverso le quali sviluppare questa rete. Quello che posso dire è che sposo in pieno la politica dei “cento fiori”, e che quindi si promuovano la nascita di forum, seminari, convegni, la costituzione di siti e di riviste online; sono per una intensa attività sui social per favorire il confronto. Strada facendo troveremo anche le forme adeguate di connessione per coordinarci sia in termini orizzontali che verticali. Iniziamo intanto questo lavoro insieme per interrogarci collettivamente, per far circolare le nostre idee, per darci alcune prime risposte, sia pur provvisorie.

La cauta alleanza fra Cina e Russia: sfida per l'Occidente? | World Politics Blog

Fonte foto: da Google

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