Il formicaio

Nel maggio del 1944 Saint-Exupéry scrisse la Lettera a un ostaggio, l’ultima sua opera, forse la più intensa. In un momento storico in cui il male sembrava prevalere Saint-Exupéry racconta nella lettera del suo viaggio negli Stati Uniti per sfuggire all’invasione nazista della Francia. Sulla nave, mentre si avvia all’esilio, pensa al suo amico ebreo Léon Werth, alla possibilità che il male lo possa travolgere.  Il testo ci parla ancora, vi è in essa il senso dell’eternità, in quanto al di là dell’elemento biografico e storico, pone domande di ordine metafisico senza le quali l’essere umano è mutilo della sua umanità. Siamo tutti pellegrini che si avviano verso l’esito finale, ma il pellegrinaggio  consta nel pensare le contraddizioni senza le quali non vi è creatività. Dall’ordine imposto senza mediazione della coscienza critica non sorge nulla, perché la vita è negata nella sua radice prima. L’essere umano può incamminarsi nel suo viaggio esistenziale e sociale solo se si confronta con la differenza, è in questo urto e urlo dialettico che emerge il senso oggettivo. Senza tale percorso metafisico il soggetto è negato nella sua natura, diviene parte di un ordine incapace di alimentare la sua crescita e il suo processo di umanizzazione.

Allora erano le dittature nazi-fasciste, ora è l’economicismo americanizzante a determinare il vuoto nel quale l’essere umano rischia di affondare con le sue domande. Nel “formicaio” dell’economicismo l’essere umano è reso superfluo e sostituibile, in quanto è solo una funzione, e le funzioni non pensano, esse obbediscono all’ordine costituito. Nel “formicaio” la vita è solo attesa ed esecuzione di ordini.  In un passaggio breve l’autore immagina una realtà robotizzata nella quale l’umanità scompare.

La sostituzione dell’essere umano con l’intelligenza artificiale,  scientificamente addomesticata e posta come modello con cui competere è, dunque,  intuita/pensata dallo scrittore. All’orizzonte si profilano pericoli impensabili a cui bisogna contrapporre la creatività capace di cogliere il senso nelle contraddizioni:

“Rispetto dell’uomo! Rispetto dell’uomo!…Questa è la pietra di paragone! Quando il nazista rispetta esclusivamente chi gli somiglia, non rispetta altri che se stesso. Rifiuta le contraddizioni creatrici, distrugge ogni speranza di crescita, getta le fondamenta per sostituire per mille anni l’uomo con il robot di un formicaio. L’ordine per l’ordine castra l’uomo del suo potere essenziale, che è di trasformare il mondo e se stesso. La vita crea l’ordine, ma l’ordine non crea la vita. Al contrario di lui, a noi sembra che la nostra ascesa non sia compiuta, che la verità di domani si nutra dell’errore di ieri, e che le contraddizioni da superare siano l’alimento stesso della nostra crescita. Noi riconosciamo come nostri simili anche coloro che sono differenti da noi. Ma quale strana parentela! Essa si fonda sull’avvenire, non sul passato. Sul fine, non sull’origine. Siamo gli uni per gli altri come pellegrini che, per strade diverse, ci incamminiamo verso lo stesso appuntamento[1]”.

 

Domande-risposte

Nel piroscafo formicolante che lo conduce verso l’esilio, lo scrittore ha nostalgia del deserto con il suo silenzio. Nel vuoto del deserto in cui tutto sembra eguale l’essere umano ritrova la sua pienezza ontologica. Il senso emerge, se ci si sottrae alla pienezza burrascosa degli stimoli e delle abbondanze delle forme e dei desideri. Silenzio e vuoto riflessivo consentono di ritrovarsi e di “vedere” i percorsi possibili e potenziali. Nel vuoto e nel silenzio la creatività si profila nella sua capacità immaginifica, non si tratta di fuggire dalla realtà storica, ma di aderire ad essa con profondità oggettiva. La contemporaneità è lotta e guerra al vuoto e al silenzio che permettono alla domanda di segnare tracciati in cui vi sono le risposte. Il nichilismo non è solo assenza di domande, ma esso è specialmente annichilimento delle risposte. I sistemi totalitari sostituiscono le domande-risposte con la densità macchinosa e  opaca del formicaio:

“Ho vissuto per tre anni nel Sahara. Ho sognato anch’io, dopo tanti altri, sulla sua magia. Chiunque abbia conosciuto la vita sahariana, in cui tutto apparentemente non è che solitudine e privazione, rimpiange quegli anni come i più belli che abbia vissuto. Le espressioni “nostalgia della sabbia, nostalgia della solitudine, nostalgia dello spazio” sono soltanto formule letterarie e non spiegano nulla. Ora, ecco che, per la prima volta, a bordo di un piroscafo formicolante di passeggeri ammassati gli uni sugli altri, mi sembrava di comprendere il deserto. Certo il Sahara, a perdita d’occhio, non offre alla vista che una distesa uniforme di sabbia o, più esattamente, poiché le dune vi sono rare, uno sconfinato greto pietroso. Si è sommersi in permanenza in un assoluto stato di noia. E tuttavia invisibili divinità vi costruiscono una rete di direzioni, pendii, segnali, una muscolatura viva e segreta. Non c’è più uniformità. Tutto funge da orientamento. E anche un silenzio non è uguale a un altro silenzio[2]”.

Nel deserto l’essere umano ha la chiarezza di ciò che è precipuamente: è Spirito. Nel breve testo Saint-Exupéry la parola spirito è scritta sempre in maiuscolo. L’essere umano è vita interiore, è soggetto di senso, senza lo Spirito è solo una mediocre copia di se stesso. Alla malinconia del formicaio e delle folle gaudenti e tragiche, lo scrittore contrappone la verità metafisica che alberga in ogni essere umano e che tanta fatica fa nell’essere riconosciuta, oggi più di ieri:

“E poiché il deserto non offre alcuna ricchezza tangibile, e non vi è nulla da vedere né da sentire nel deserto, e poiché la vita interiore, lungi dall’addormentarsi, si fortifica, si è costretti a riconoscere che l’uomo è animato innanzitutto da sollecitazioni invisibili. L’uomo è governato dallo Spirito. Nel deserto io valgo quanto valgono le mie divinità. Così, se mi sentivo ricco, a bordo del mio piroscafo triste, di direzioni ancora fertili, se abitavo un pianeta ancora vivo, era grazie ad alcuni amici che, perduti dietro di me nella notte di Francia, cominciavano ad essermi essenziali[3]”.

 

Il sorriso

L’essenziale non è quantificabile e misurabile, si svela in un gesto banale, come il sorriso, il quale se autentico è comunicazione e condivisione. Il sorriso è partecipazione, svela e rileva che l’essere umano è un essere sociale. Il sorriso è l’uscita dal caos della solitudine per ritrovarsi insieme “pellegrini che cercano risposte alle loro inquiete domande”. Il sorriso non è seduzione narcisistica, a cui siamo ormai abituati  ma solidarietà e libertà:

“L’essenziale, il più delle volte, non ha peso. L’essenziale qui, in apparenza, non è stato che un sorriso. Un sorriso spesso è l’essenziale. Da un sorriso si è ripagati. Si è ricompensati da un sorriso. Si è rianimati da un sorriso. E la qualità di un sorriso può far morire. Tuttavia, poiché questa qualità ci liberava così bene dall’angoscia dei tempi presenti, ci dava la certezza, la speranza, la pace, oggi, per tentare di esprimermi meglio, ho bisogno di raccontare anche la storia di un altro sorriso[4]”.

Il sorriso è il segno della pienezza  metafisica ritrovata. Dove il dono è sinceramente conviviale, vi è gioia di essere e di esserci in qualsiasi circostanza l’essere umano si trovi:

“Il vero piacere è il piacere conviviale. Il salvataggio non era che l’occasione di questo piacere. L’acqua non ha il potere di incantare, se non è innanzitutto il dono della buona volontà degli uomini. Le cure prodigate al malato, l’accoglienza offerta all’esule, lo stesso perdono non hanno valore che grazie al sorriso, al di sopra delle lingue, delle caste, dei partiti. Siamo i fedeli di una stessa Chiesa, il tale con le sue usanze, io con le mie[5]”.

Il testo di Saint-Exupéry è rivolto a tutti gli esseri umani, è il suo testamento nel quale vede con la sua sensibilità profetica profilarsi la “disumanità” in una forma inusitata e sconosciuta per la storia umana.  Prima di scomparire tra i flutti del Mar Tirreno ha scritto un testo che sembra  rivolto agli uomini del nostro tempo dediti all’abbondanza della quantità, ma dimentichi della pienezza metafisica senza la quale si è solo spettrali comparse pronte a scomparire nell’ordine dei calcoli.

[1]Saint-Exupéry, Lettera a un ostaggio, pag. 11

[2] Ibidem pag. 6

[3] Ibidem pag. 7

[4] Ibidem pag. 8

[5] Ibidem pag. 10

1 commento per “Il formicaio

  1. Lucilio Santoni
    4 Maggio 2023 at 10:45

    Bellissimo articolo. (La Lettera di Exupery dovrebbe essere letta e studiata a scuola… ma fuguriamoci!! )
    Aggiungo e suggerisco solo un collegamento a proposito del vuoto: Chesterton dice che la pagina più poetica della letteratura mondiale è un elenco, l’elenco degli oggetti che Robinson Crusoe ha salvato dal naufragio, cioè ha strappato al nulla, alla perdizione. Dice che è un elenco che fa pensare al loro salvatore, un elenco di oggetti che indicano qualcuno che li ha sottratti al vuoto.
    Ecco, sottrarre qualcosa al vuoto è oggi il compito di chiunque abbia a cuore lo Spirito.

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