La pace come problema

Il tema della pace è ampio, perché tipicamente interdisciplinare; è un tema astratto, perché innumerevoli appaiono le concrete situazioni di pace e di guerra non facilmente visibili, concernenti vari ambiti dell’esistere. E’ poi un tema facilmente suscettibile di strumentalizzazioni, perché il desiderio di pace suggestiona e blandisce popoli ed individui. Si tratta, in ogni caso, di un tema-problema purtroppo irrisolto, nonostante si riconosca, unanimemente, che la pace sia indispensabile come l’aria che ogni uomo respira. Non può contestarsi che essa sia un fondamentale presupposto per vivere dignitosamente il tempo destinato a ciascun singolo. Si sa che la cosiddetta pace interiore sia difficile da ottenere e si sa pure che la pace sociale e quella politica sono altrettanto difficili da realizzare. Né può confutarsi che la storia umana sia una costellazione infinita di atti di rottura della pace, fra popoli, fra Stati, fra genti, fra persone. Invano le persone di buona volontà provano a diffondere consapevolezza circa il fatto che la convivenza fra gli uomini possa raggiungersi reprimendo gli istinti violenti ed egoistici, istinti che appaiono annidati nello stesso inconscio dell’uomo. Ed è un evidente mito ingannevole quello secondo cui l’uomo civilizzato sarebbe in quanto tale non violento. Le figure della violenza sono infatti innumerevoli e nell’età contemporanea esse sono particolarmente subdole, irriconoscibili, spesso occultate e, quindi, più pericolose. Vale poco constatare che nel corso dei secoli la pace abbia rappresentato una sentita aspirazione dei popoli. Gli oppressi hanno sempre intimamente anelato alla pace, come bene ha scritto Simone Weil. E nondimeno già il poeta greco Omero ha narrato di eroici guerrieri per i quali la lotta spietata era ineliminabile ed inevitabile. Anche la cosiddetta pax romana fu, in fondo, il precario esito di guerre cruente, un programma imperiale di vincoli e di costrizioni impartito dai più forti agli sconfitti. Ma una pace fondata sulla rassegnazione dei vinti, sull’introiezione di antiche umiliazioni ha sempre avuto un respiro limitato nel tempo, trattandosi, appunto, di una pace imposta, non generata cioè da una intesa etica profonda fra i membri della collettività. Anche il Medioevo ha conosciuto un paradossale tipo di pace durante il quale ci si preparava costantemente alla guerra. Va soprattutto evidenziato che le religioni, scaturite da una fondamentale componente spirituale, avrebbero dovuto essere un naturale fattore di mitigazione dei conflitti. Così però non è stato. La sete di dominio si è infatti saputa embricare, cinicamente, negli stessi intenti religiosi, deformandone sovente il significato. Riesaminando i secoli della storia umana potrebbe desumersi che la pace sia una vera e propria utopia, un ideale da perseguire con disincanto, a causa della consapevolezza che esso, qualora per avventura si attui, non sia in grado di conservare a lungo i suoi effetti. Soprattutto l’avvento delle moderne democrazie ha fatto sorgere speranze ed illusioni di una pace duratura. L’esame approfondito dei fatti storici rivela però che la speranza è andata sempre delusa. Rousseau, il fautore della volontà popolare sovrana, ha adombrato un’utile teorizzazione di uno stato popolare, tale da far fluire appunto una democrazia favorente la pace. In Germania, soprattutto il giurista Hermann Heller, attento studioso di Hegel, ha elaborato una visione dello stato democratico fondata su una ben ponderata concezione della sovranità.

Una storia della pace riserverebbe negative sorprese e obbligherebbe a convincersi che l’uomo non muta i suoi cinici convincimenti di fondo. In detta storia dovrebbe rilevarsi che, a partire dal XIX secolo era divenuto chiaro che gli imperi economici sovranazionali divenivano fattori di conflitti interminabili. Le vicende vergognose del colonialismo sono peraltro la dimostrazione evidente che, ad un certo punto, in Occidente si sia pensato di diffondere, in patria, ideali di pace mentre, nel contempo, ci si accingeva a sfruttare (usando la violenza) l’Africa, il Medio Oriente e il Sud America, in quanto vastissimi territori ricchi di risorse naturali. Dette nazioni cosiddette civili hanno sovente avuto interesse a destabilizzare i governi del cosiddetto terzo mondo, con lo scopo di imporre la propria volontà politica e di concertare concessioni minerarie e petrolifere indispensabili ad accrescere il tenore di vita dell’Occidente consumistico ed opulento. E’ innegabile che le stesse guerre mondiali, durante le quali sono soprattutto morti soldati provenienti dai ceti sociali meno abbienti, abbiano sancito il fallimento degli ideali di pace: Auschwitz e Hiroshima simbolizzano i punti più orridi – in tema di distruzione irrazionale e sistematica – raggiunti dall’umanità. Chi intenda esaminare gli accaduti storici, e fosse ispirato da autentica obbiettività, ha insomma facilmente agio di constatare la doppiezza dell’Occidente. Sebbene il rovello della pace, da ottenere e da conservare, sembra abbia caratterizzato tutte le epoche della storia, in concreto sovente si è perseguita una pace di convenienza oppure meramente declamata. Ciò detto, preme concentrare il discorso su un aspetto essenziale. Un efficace strumento di pace non debitamente valorizzato è offerto dalle Costituzioni degli Stati, cioè dagli atti fondamentali di volontà popolare mediante i quali si suggella il percorso che uno Stato dovrebbe percorrere nell’interesse della cosa pubblica. L’educazione al rispetto dei valori costituzionali, se diffuso, potrebbe contribuire a rendere i popoli più vigili e più responsabili nella scelta dei rappresentanti politici. Già nell’antica Grecia, Platone e Aristotele avevano intuito che le Costituzioni fossero fondamentali per dare senso e forza etica agli Stati. E’ un’idea che di recente sta purtroppo subendo una preoccupante regressione. La cessione di sovranità statale democratica deresponsabilizza i popoli e gli elettori e genera una classe dirigente appoggiata da centri di potere finanziario privato che hanno preminente interesse ad operare speculazioni economiche globali e a far fluire e rifluire a piacimento capitali (di cui non si ha interesse ad individuare né l’origine né il percorso). Si può facilmente ravvisare una pretesa del capitalismo globalista di indirizzare e di vincolare le democrazie – e le decisioni politiche – e, per conseguenza, di indebolire le costituzioni statali. La verità è che è divenuta dominante una ideologia che tende sostanzialmente a disconoscere che le Costituzioni debbano intendersi come l’esclusiva fonte della sovranità democratica. A tale ideologia bisognerebbe contrapporre la tesi etica secondo cui una pace raggiunta sulla base di metodi globalisti ed economicisti sia inevitabilmente fragile ed artificiosa. Ci si dovrebbe insomma seriamente preoccupare del fatto che in Occidente le speculazioni economiche, nel settore della vendita di armamenti e nello sfruttamento delle fonti energetiche, influenzano apertamente, e senza impedimenti legislativi, la scelta e gli orientamenti delle classi politiche governative. Si sta invero diffondendo una democrazia denaro-cratica tutt’altro che pacifica. Ed infatti, per essa, a ben osservare, conflitti regionali e contendimento di territori sono necessari. Non a caso, la pace è permanentemente in bilico e resta un’utopia. Basti pensare ai numerosi conflitti sparsi in tutto il globo. Quel che è certo, si fa fatica a diffondere consapevolezza circa il fatto che si debba resistere tenacemente alla pretesa di porre in essere democrazie prive di fondamento sovrano-democratico. In estrema sintesi, il mio convincimento procede nel senso che il globalismo speculativo insidia in maniera subdola la pace. Non è peraltro dato sapere quanto tempo dovrà trascorrere prima che si concepisca, in tutte le Costituzioni, l’essenziale inserimento di un principio di democrazia sovrana, accompagnato soprattutto da un’apposita metodologia per salvaguardarla effettivamente: una pace duratura presuppone una rigorosa teorizzazione di un’idea mondiale di sovranità costituzionale.

Ciò evidenziato, il conflitto in Ucraina – fatto oltremodo negativo – è chiaramente originato dalla storica appetibilità della ricca terra ucraina sia per la Germania, sia per gli Stati Uniti sia pure per la Russia. I più attenti studiosi sono ben consapevoli di ciò. Si pensi alle recenti considerazioni, a riguardo, della storica francese Anie Lacroix-Riz. Nella vicenda può registrarsi che i governi europei, orientati dal globalismo denaro-cratico statunitense, stiano dimostrando superficialità e faziosità. L’intenzione di pace, ancora una volta, è più declamata che perseguita. Ai governanti europei preme soprattutto accondiscendere agli interessi USA tanto da essersi decisi ad interrompere drasticamente i rapporti economici con la Russia.

La pace è insomma, per l’ennesima volta, solo un pretesto per manifestare fedeltà alla potenza amica, in attuazione di un piano di conservazione e di accrescimento di posizioni di dominio in più regioni del globo.

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