La pubblicità come complesso sistema ideologico

Riporto un segmento di un mio scritto di tanti anni fa. Non mi sembra che oggi lo stato delle cose sia profondamente cambiato. E’ necessario un aggiornamento, certo. Lo farò in seguito…

VERSO “IL MONDO NUOVO”

“Come d’incanto un giorno svaniscano i messaggi pubblicitari: spot radiofonici e televisivi, annunci economici, inserzioni sui giornali, manifesti murali, poster, cartelloni di zinco e di legno, insegne luminose, cartelli appesi ai corrimano degli autobus, cartelli sopra le reticelle dei portabagagli nei treni, cartelli sulle superfici esterne degli autobus, espositori permanenti, circolari pubblicitarie postali…

Non più fanciulle con slip Roberta, non più dita affusolate di donne che sbottonano camicie di uomini che non chiedono mai, non più giovanotti Indiana Jones che uncinano con un coltellaccio tonno Palmera, non più freschi velieri da indossare, non più estati sexy e spregiudicate con Musk…

Credo che una sensazione di penoso disagio si impadronirebbe di noi. Potremmo accorgerci che avevamo assegnato un valore alle nostre azioni, alla nostra vita perché questa era finalizzata al consumo di immagini associate ai prodotti che acquistavamo. Potremmo accorgerci che le funzioni degli oggetti non ci interessavano tanto, mentre ciò che ci garantiva benessere, serenità, sicurezza era depositato nel valore aggiunto del prodotto: l’immagine.

Eravamo attorniati da presenze invisibili, affettuose, animate. Non sentivamo noia o frustrazione nel lavoro perché i nostri abiti, la nostra auto, la nostra acqua di colonia ci restituivano un’immagine di noi stessi, rassicurante, euforica…Gli oggetti erano vivi, animati e non lo sapevamo. Con loro noi parlavamo ed essi ci rispondevano.

A volte ci comunicavano il senso delle tradizioni, della genuinità oppure lo spirito d’iniziativa, il coraggio del rinnovamento, il rischio dell’innovazione. Altre volte ci trasmettevano un messaggio maliziosamente erotico o delicatamente edonistico fondato sulla cura del corpo o sulla gratificazione della gola. Altre volte ci stimolavano nella nostra virilità o femminilità a godere dell’avventura e di lontani paesi esotici.
Non eravamo soli.

Le immagini ci accompagnavano sino al letto dove morbidi seppure modeste lenzuola Postal Market ci traghettavano delicatamente al di là della veglia dove chissà quali immagini pubblicitaria si affollavano ancora. 1)

E i nostri rapporti sociali? Potremmo accorgerci con grande stupore che così come abbiamo costruito la nostra immagine sociale con le immagini degli oggetti così anche i nostri rapporti sociali erano mediati dalle immagini degli oggetti nostre e altrui.
Individuavamo gli altri per gli oggetti che consumavano: un’auto, dei calzoni, una gonna, un profumo, cibi e bevande e assegnavamo loro uno status nella stratificazione sociale dei consumi: elegante, sportivo, arcaico, emergente, puritano, integrato…2) E decidevamo, secondo la tipologia individuale, se frequentarli o non frequentarli, se stimarli o non stimarli, se amarli o non amarli.

Noi conoscevamo degli altri gli oggetti che usavano e ciò era sufficiente per credere di conoscerli e di capirli nelle loro azioni. Potevamo relazionarci con loro senza una bevanda, una pizza, senza uno spettacolo cinematografico o teatrale o musicale? Si! Anche i prodotti dell’arte in una società dove gli oggetti vengono antropomorfizzati, diventano anch’essi oggetti di consumo, reificazioni dell’essenza umana. Il divertimento stesso diventa un consumo d’obbligo, se si vuole appartenere ad un determinato status, un faticoso doppio lavoro, come ricorda Margaret Mead.3)

Come in una nebulosa fatta di illusioni, di fantasie, noi vivevamo la nostra realtà deformata da una percezione che aveva come centro non più il soggetto ma sua maestà il feticcio: la merce

NOTE
1) “I beni sono accessori rituali, il consumo è un processo rituale la cui funzione primaria è di dare un senso al flusso indistinto degli eventi” in M. Douglas, B. Isherwood, Il Mulino, Bologna
2) I consumisti consumati, per dirla alla Carmelo Bene, ovviamente sposano l’etica delle differenziazioni sociali non in riferimento alla componente socio-economica ma in base al comportamento di consumo, in sintonia appunto con “i creativi” della pubblicità, con i mass media più tradizionali, con le accademie conformiste, in antitesi con le analisi e le teorie marxiste.
3) Gli intellettualoni autoproclamatisi marxisti non mi pongano il problema del sottoconsumo e della povertà dilagante in quanto qui non è in discussione il funzionamento del sistema produttivista capitalistico ma uno dei suoi tanti strumenti ideologici funzionali al dominio di classe
4) “Per trovare un’analogia dobbiamo immetterci nelle nebulose regioni del mondo religioso. Qui i prodotti della testa umana sembrano essere dotati di una propria vita, figure indipendenti che sono in rapporto tra di loro e con gli uomini. Così accade per i prodotti della mano umana nel mondo delle merci. Questo è quel che io chiamo feticismo” Karl Marx, Il Capitale, New Compton, Roma

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