Il Fusaro hegeliano e assai poco marxiano

Ci hanno chiesto di approfondire meglio e nel merito le ragioni della nostra critica a Fusaro contenuta in questo articolo https://www.linterferenza.info/editoriali/a-proposito-di-fusaro/  e allora siamo tornati sull’argomento.

A tal proposito, può aiutarci questo suo intervento a “La Zanzara” segnalatomi da un amico: https://youtu.be/7tqxMAJOrzQ

Ora, Cruciani e Parenzo (uno di destra e l’altro di “sinistra”, entrambi accomunati dall’amore per il neoliberismo), per come la vedo io, sono due nullità e anche due individui decisamente squallidi, al confronto dei quali Fusaro è sicuramente un gigante.

Ciò detto, in questa intervista a La Zanzara mi pare che il “nostro” abbia esplicitato con estrema chiarezza il suo pensiero che, a buon titolo, può essere definito borghese nel senso proprio del termine.

Fusaro fa un’operazione che dal mio punto di vista non ha senso, per la semplice ragione che è strutturalmente impossibile. E cioè separa nettamente il capitalismo finanziario da quello produttivo (tipica concezione di alcune correnti filosofiche liberali e borghesi, sia di destra che di sinistra), attribuendo una valenza negativa al primo e una valenza positiva al secondo. Come se il capitalismo finanziario (che oggi la fa da padrone nel mondo, senza però dimenticare l’enorme ruolo svolto oggi ad esempio dai grandi apparati militari industriali, quindi dal capitalismo “produttivo” ) non fosse il prodotto di quello cosiddetto produttivo. I due sono indissolubilmente legati per la semplice ragione che sono prodotti della medesima struttura. Il fatto che oggi, in questa fase storica, il capitalismo finanziario sia egemone, non significa che sia una variabile esogena, indipendente dal capitalismo “produttivo”, quello, per capirci, fondato sull’estorsione di plusvalore dal lavoro vivo. Il capitalismo finanziario è soltanto una evoluzione necessaria del capitalismo tout court in una fase come questa (ma ce ne sono state anche altre nella storia) dove la famosa caduta tendenziale del saggio di profitto tende ad essere verticale…

L’imperialismo e la guerra imperialista sono naturalmente la diretta e necessaria conseguenza di questo processo. Come tutti sanno non sono certo un ortodosso ma, sotto questo profilo, l’analisi di Lenin sull’imperialismo è tuttora attualissima, anche se, ovviamente, è mutato profondamente lo scenario internazionale.

Ora Fusaro, partendo da questo presupposto (che è strutturalmente errato), cosa fa? Propone una sorta di patto fra produttori (esattamente lo stesso che propongono sia Di Maio del M5S che Salvini della Lega Nord), cioè fra “capitalisti nazionali” e lavoratori “nazionali” che dovrebbero unirsi contro il capitalismo finanziario trans e multinazionale che starebbe distruggendo sia il lavoro che l’impresa (in particolare la piccola e la media). Cosa senz’altro vera, ma anche questa non è certo una novità, bensì è una delle inevitabili e necessarie conseguenze del processo di sviluppo capitalistico che tende da sempre a divorare la piccola e media impresa in direzione dell’oligopolio se non del monopolio. Non c’è certo necessità di scomodare Marx per spiegare concetti che sono ormai alla portata di tutti.

Capitalisti e lavoratori, spiega Fusaro, tutti uniti allegramente – mi viene da dire – contro il comune nemico, cioè quella che viene da lui stesso definita l’”aristocrazia finanziaria”, come se questa fosse appunto una sorta di variabile esogena piovuta da chissà dove e non il necessario e inevitabile risultato degli attuali rapporti di produzione capitalistici.

Capitalisti (imprenditori), continua Fusaro (cito testualmente) che “cercano di resistere, di mantenere in piedi il lavoro e l’impresa, e che vanno distinti dall’”aristocrazia” finanziaria” che non vive di lavoro ma di rendite finanziarie”.

Ora, qui c’è una questione fondamentale, non di lana caprina ma appunto strutturale. O il capitalismo si fonda sull’estrazione (o estorsione) di plusvalore dal lavoro vivo (e quindi sullo sfruttamento) oppure così non è e in tanti, a cominciare da Marx, ci hanno raccontato delle balle.  Ma neanche i pensatori liberali hanno mai contestato Marx sul piano dell’analisi del capitale e delle sue dinamiche, bensì lo hanno contestato sul piano filosofico. Infatti, che l’esistenza del plusvalore sia un fatto oggettivo non è messo in discussione da nessuno. Ciò che viene messa in discussione è l’eticità o meno del plusvalore stesso. Per i liberali (e i liberisti) l’estrazione del plusvalore dal lavoro vivo è un fatto del tutto naturale dal quale non si può prescindere e che ovviamente non può essere messo in discussione; farlo significherebbe mettere in discussione il capitalismo stesso, oggi addirittura naturalizzato, cioè concepito, come abbiamo ricordato più volte, non come una forma storica dell’agire umano ma come una sorta di condizione ontologica, e in quanto tale non superabile.

Ora, sostenere, come fa Fusaro, che “gli imprenditori cercano di resistere e di mantenere in piedi il lavoro e l’impresa” è quanto meno contraddittorio per un pensatore che si dice allievo, sia pur indipendente, di Marx (e di Hegel, particolare non da poco per comprendere il Fusaro-pensiero…).

Alla faccia dell’indipendenza! Troppa se ne è presa, mi viene da dire. Ciò che motiva gli imprenditori non è il “mantenimento del lavoro” ma l’ottimizzazione dell’utile, cioè del profitto, cioè del plusvalore (assoluto o relativo) che comunque, in qualsiasi condizione e congiuntura economica o storica ci si trovi, si ricava sempre e soltanto dal lavoro vivo (il capitalismo finanziario ricava denaro dal denaro ma è comunque una conseguenza dello sviluppo capitalistico complessivo ed è ad esso completamente legato; non è che i finanzieri e i banchieri nascono dal nulla, vengono dal capitale e tornano al capitale, magari sotto altre forme…).

Fusaro non può dunque cavarsela con questa formula “buonista”, alla “volemose tutti bene e uniamoci contro i veri nemici”. Così facendo compie un grande errore teoretico e di analisi oltre che un’operazione di depistaggio ideologico molto grave che nulla, è bene sottolinearlo, ha a che vedere con la concezione gramsciana che puntava a costruire un’alleanza fra ceti proletari, popolari e piccolissimo, piccolo e medio borghesi senza però mai abbandonare la logica di classe che restava l’asse centrale della sua analisi. Nella concezione gramsciana il proletariato doveva essere la classe egemone, in grado di esercitare egemonia sulle altre. Quella fusariana mi pare molto più un’ottica interclassista (quindi “borghese”) e forse anche con un discreto retrogusto di tipo “corporativista”.

E’ per questa ragione che piace molto a destra e anche in parte all’area “grillina”. Rispetto al M5S la sua critica nei confronti del sistema capitalista (sia pure nell’ottica errata che abbiamo detto) è senz’altro più marcata. Paradossalmente, ma forse neanche tanto, il suo pensiero si predispone ad essere più funzionale ad un movimento come la Lega Nord o al Front National della Le Pen. Lo dico, voglio essere chiaro, senza nessun intento dispregiativo personale nei suoi riguardi. Sto solo cercando di produrre un’analisi lucida delle sue posizioni, sulla scorta, ovviamente, del mio punto di vista. Indipendentemente dai suoi intenti (questi li conosce lui e soltanto lui) le sue proposte politiche finiscono per essere di fatto funzionali alle forze “populiste di destra”. Il recupero dello stato-nazione, con questi presupposti teorici, finisce infatti per essere del tutto funzionale a quelle borghesie nazionali messe ai margini dal grande capitale multi e transnazionale (cioè da una borghesia ancora più potente) che aspirano a tornare egemoni (la merce di scambio con i ceti popolari nazionali al fine di costruire massa critica è la chiusura nei confronti degli immigrati, individuati da questi ultimi come la causa della loro condizione di disagio sociale; menzogna scientemente alimentata da quelle stesse borghesie nazionali che hanno interesse ad alimentarla).

Dopo di che nell’intervista (in risposta ad una miserabile provocazione di Cruciani che tentava, insieme a quell’altro poveraccio di Parenzo, di sviare il discorso buttandola in “caciara”, come si suol dire, perché entrambi in evidente difficoltà a reggere il confronto) ascoltiamo alcune dichiarazioni, in buonissima parte anche condivisibili, sulla dissoluzione dei legami sociali e sui condizionamenti che l’attuale sistema capitalista è in grado di esercitare sulle persone, la mercificazione assoluta di ogni spazio e in particolare della sfera sessuale, affettiva e relazionale delle persone. Anche in questo caso però, se l’analisi è valida, la ricetta guarda all’indietro, riproponendo la vecchia e appunto vetero borghese (anche in questo caso, nessuna accezione dispregiativa, stiamo solo analizzando lucidamente le cose) famiglia tradizionale (si avverte sicuramente l’influsso di Hegel nel suo pensiero), come risposta alla disintegrazione dei rapporti sociali, umani, affettivi e relazionali perpetrata dal capitalismo (la nostra “ricetta” è ben altra e l’abbiamo spiegata in centinaia di articoli e non posso ora aprire questo fronte per ragioni di spazio e tempo; lo dico per quelli che immancabilmente ci chiederanno, magari polemicamente , di spiegare quale sia…).

In conclusione, mi pare di poter dire che oggi il Fusaro-pensiero possa di fatto (e al di là, forse, delle sue intenzioni) rappresentare l’ideologia di riferimento (o la falsa coscienza necessaria) delle borghesie nazionali che aspirano a tornare egemoni o comunque a riconquistare uno spazio politico che hanno in parte perduto. Sul piano strettamente politico, come ripeto, il suo messaggio risulta funzionale a forze populiste di destra e neoconservatrici come il FN oppure, in parte, a movimenti come il M5S.

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Fonte foto: Filosofia e nuovi sentieri (da Google)

16 commenti per “Il Fusaro hegeliano e assai poco marxiano

  1. dante
    9 Luglio 2017 at 18:28

    nulla da eccepire sull’analisi strettamente politica però mi chiedo che ne è rimasto della coscienza di classe ,ragioniamo tutti in termini piccolo borghesi ed questa realtà che purtroppo bisogna affrontare per vincere le guerre a volte hai pure bisogno di alleati scomodi. io non credo che ora ci siano i presupposti per una rivoluzione socialista più probabile ed auspicata una rivoluzione civile se poi non abbiamo un Lenin (mi accontenterei di un Chavez)a guidarla non è certo colpa di Fusaro

  2. Chiara Dordoni
    9 Luglio 2017 at 19:59

    Fusaro è un borghese .Punto.
    Adesso poi è un borghese alla fine della sua parabola infatti è ovunque ,non mi stupirei di trovarlo in un programma di cucina tipo Masterchef.
    È un grande affabulatore e la maggioranza dei “meschini” non lo comprende, ma non c’è un gran ch’è da capire ..fa il gico delle tre carte.
    Forse è questo essere filosofi oggi???
    Abbandoniamolo a sé stesso ….

    • Milano
      10 Luglio 2017 at 8:21

      92′ minuti di applausi!

  3. ARMANDO
    9 Luglio 2017 at 20:34

    Sarò un po’ lungo e me ne scuso.
    Lasciamo perdere la persona Fusaro, che non conosco se non per alcuni libri che, devo dire, mi sono piaciuti anche se non originali. Le questioni toccate da Fabrizio n ella critica a Fusaro sono molte, comprese alcune di ordine squisitamente teorico. Cerco di procedere come meglio riesco.
    Capitalismo di produzione versus c. finanziario. Ha certamente ragione Fabrizio quando sostiene che anche la logica del C .d.P è sempre stata quella del profitto. Tuttavia è anche vero che sono esistiti imprenditori per i quali la creazione di posti di lavoro nel rispetto di un’etica è stata una vera mission (come Adriano Olivetti, ad esempio). Sono quei “veri” imprenditori a cui si è richiamato ultimamente anche il Papa, evocando così la “dottrina sociale della Chiesa”. Su questo tema dico che possono (potevano) esistere imprenditori “etici”, ma non può esistere un capitalismo “etico”. C’è un bel romanzo di Eugenio Corti, Il cavallo rosso, che racconta la storia di una famiglia di imprenditori cattolici brianzoli a cavallo della seconda guerra. Gente di ottimi intenti, per i quali la redditività (profitto) non era mai ricercata a scapito dell’etica, della solidarietà fra le persone, del bene del territorio su cui la fabbrica operava (e quindi della creazione di posti di lavoro) e del quale ne costituiva in certo senso il centro motore. Tutto bene? Fino a quando i processi di internazionalizzazione dell’economia, la crescente concorrenza etc, etc, misero in crisi tutto il disegno e costrinsero quegli imprenditori a chiudere, con grande e sincero dolore ma ineluttabilmente. E si era a metà degli anni settanta! Oggi è evidente che non sarebbe più possibile tornare a quei tempi. La logica del capitale (Fusaro direbbe il suo begriff) è arrivata a compimento e nessuna buona volontà può riesumare il passato.
    Questo significa che tutti i capitalismi sono uguali? Niente affatto. Anche la Russia è, dal punto di vista dei rapporti di produzione, un paese capitalista. Tuttavia lì lo Stato intende , se necessario anche con la forza, dirigere strategicamente l’economia secondo un disegno di interesse nazionale che comprende la limitazione di quelle che Preve definiva “le maestose divaricazioni che l’economia spontaneamente produce”, e non limitarsi a gestire , come nei capitalismi occidentali, ciò che l’economia ha deciso.
    Riuscirà, non riuscirà? Non lo so. So che ci provano, dal punto di vista dell’economia ma non solo. Anche dal punto di vista , diciamo così sovrastrutturale (che poi non è tale, per me), la Russia intende appoggiarsi alla cultura tradizionale russa, in primo luogo la Chiesa Ortodossa e i valori nonché i costumi e gli stili di vita da essa propugnati, come cemento sociale e freno al dilagare del nichilismo prodotto dal capitale che imperversa in Occidente. Insomma il tentativo è che la Politica in senso alto riprenda il suo posto di direzione e non di ancella servente dell’economia. Fosse “solo” per questo motivo la differenza è enorme, e non ci sono dubbi, per me, quale capitalismo sia necessario appoggiare. Oltre naturalmente al fatto che mentre l’impero USA è necessariamente imperialista, non così la Russia, che al contrario è schierata 1) Per la legalità internazionale, unica garanzia di convivenza fra popoli diversi, sistematicamente violata dagli USA, 2) per la difesa di ogni Stato o Nazione che intende resistere al disegno egemonico americano, anche quando quello Stato o quella Nazione è ben lontano dalle concezioni culturali proprie della Russia. Scusate se è poco!! La domanda che sorge “spontanea” è, a questo punto, “Ma quale modello di società è sotteso alla politica di Putin? Può quel modello diventare vincente?” Non so neanche questo, dico che mi pare un tentativo interessante e che spero prosegua . D’altra parte, esiste oggi una proposta concreta e con qualche possibilità di essere vincente che davvero possa dichiararsi “comunista”? Io non ne vedo, ed anche le esperienze di alcuni paesi sudamericani sono da leggersi piuttosto come “populismo” di sinistra che non come ispirate alla lotta di classe in senso stretto.
    Dietro a questo ragionamento si staglia, sempre più nitida, la questione del rapporto fra struttura e sovrastruttura, circa il quale mi sembra oggi insufficiente la pur non banale formulazione di Gramsci. Se, come mi sembra sostenga anche Fabrizio, oggi l’accento è spostato sul piano psicologico/culturale che assume sempre più importanza, allora è quello su cui occorre puntare per resistere agli “spiriti animali” del capitalismo, come li definisce Tronti. Ma come? In nome di cosa? Se il genderismo, la “cultura” gay, il femminismo, i diritti civili” (matrimonio omosessuale, uteri in affitto, famiglie con due padri o due madri), sono diventati gli orizzonti culturali mediante i quali il capitale impone la sua visione antropologica, quale tipo di alternativa è proponibile? Se i sogni sessantottini si sono non solo rivelati fallaci rispetto a ciò che si proponevano (società autenticamente libera etc.), ma direttamente funzionali al disegno del capitale di distruzione di ogni forma solida per lasciar vivere solo la “forma merce”, se le “comuni”, l’amore libero, gli asili e la scuola antiautoritaria etc. etc. hanno fallito nel credere di poter quantomeno limitare le differenze di classe (anzi è vero il contrario), da cosa è possibile ripartire?
    Io credo ci siano due posizioni simmetriche, di dx e di sx tanto per definirle, altrettanto sbagliate. A dx, esempio Trump o anche una parte del tradizionalismo cattolico, si illude di credere che i valori tradizionali siano perseguibili nell’ambito del capitalismo attuale che però, abbiamo già detto, non è reversibile. Mai illusione è stata più ingannevole, se non quella simmetrica di sx. La quale appoggia la distruzione di ogni costume, stile di vita, istituzione credenza religiosa o filosofica “tradizionali” e, risibilmente, crede di essere fieramente anticapitalista quando invece è direttamente emanazione e funzione del capitale, nella misura in cui quei valori definiti “borghesi” (ma non è esatto, perché non alla borghesia “rivoluzionaria” risalgono in realtà, ma al mondo premoderno) sono diventati un ostacolo, anzi l’ostacolo per eccellenza al suo dilagare planetario.
    Se questa, a grandi linee, è la realtà, rimane il fatto che non esiste ad oggi alcun progetto compiuto e credibile di fuoriuscita dal capitale in senso comunista classico. Ovvero, stiamo faticosamente navigando a vista, nel tentativo ancora acerbo di individuare alcune coordinate. Credo perciò che alcuni aspetti della cultura premoderna non vadano trascurati, anzi recuperati, magari per esseri messi a servizio di un progetto di fuoriuscita dal mondo del capitale. D’altronde lo stesso Marx (contraddicendo buona parte di se stesso) accennò in una lettera alla populista russa Vera Zasulich, alla possibilità di costruire il comunismo a partire dalle Obscine (le antiche comunità rurali russe, in cui vigeva una forma di proprietà comunitaria, oltre naturalmente a una cultura premoderna), senza passare dalle forche caudine del capitalismo.
    Fabrizio insiste molto sul concetto di classe e di lotta di classe, nonché sul concetto di plusvalore. Quì la questione diventa davvero teorica e di analisi del capitale.
    Le classi: possono oggi essere definiti al classico modo marxiano? Esistono cioè una borghesia e un proletariato come a quel tempo? Borghesia: già Engels aveva previsto un capitalismo senza capitalisti (intesi come borghesi cui era demandata la rappresentanza sociale del capitale e la proprietà dei mezzi di produzione) in forza dei processi di socializzazione della produzione, di sua internazionalizzazione etc. Mi pare che la realtà confermi tutto questo, sia in senso strutturale ( i top manager non sono propriamente i vecchi capitalisti ma supericchi funzionari del capitale) che sovrastrutturale (della coscienza infelice” della borghesia il capitale non sa che farsene anzi distrugge anche quella).
    La classe operaia: posto che i processi di delocalizzazione, la “scomparsa”, qui da noi, delle fabbriche in cui la coscienza di classe si poteva formare, la scomparsa di una cultura specificamente operaia e proletaria in antitesi a quella borghese, fanno propendere per l’affermazione che anch’essa non esiste più, come classe “per sè”, ma anche come classe “in sè”, intendendo per tale la classica classe operaia fordista. Esistono invece strati di popolazione, e interi popoli, che tuttavia non riescono (ancora?) ad esprimere una coscienza anticapitalista in quanto del capitale hanno introiettato la logica profonda e si pongono come soggetti (capitale umano) tesi all’autovalorizzazione. Camatte parla a questo proposito di antropomorfizzazione del capitale e di soggetti che si sentono e agiscono come “particelle di capitale” (torna la questione, anche què di struttura e sovrastruttura).
    Tutto questo, ovviamente non significa affatto che non esiste più lo sfruttamento, che non esistono più mostruose e inaccettabili differenze, ma che la questione va posta in modo diverso rispetto al passato (e qui torna la questione del populismo e dell’alto contro il basso come manifestazione attualizzata del conflitto sociale, qualunque cosa se ne pensi).
    Ma c’è anche di più rispetto alla questione del plusvalore. Al tempo del C.d.P. era estratto dal lavoro vivo degli operai durante le ore che essi prestavano al capitalista, al netto di ciò che serviva loro per campare. Fuori da quel tempo, l’operaio poteva tornare ad essere “persona”, soggetto autonomo (magari illudendosi rispetto alle differenze di fatto che certo sussistevano). Il capitalismo attuale, mentre derubrica la fabbrica tradizionale, estrae plusvalore da tutta la vita delle persone, da tutto il loro “corpo” che è occasione di profitto da prima della nascita alla morte (ingegneria genetica, uteri in affitto, futura clonazione etc., lavori di cura prima devoluti alle famiglie, mercificazione di ogni aspetto della vita). Tutto ciò fa porre la questione in modo diverso e assai più problematico, mi pare. E poi c’è anche la questione dell’automazione a complicare il classico racconto marxiano (non era un profeta e non poteva sapere in anticipo tutte le evoluzioni del capitale, quantunque ne avesse acutamente anticipate alcune). Voglio dire cioè che la tendenza alla sostituzione di lavoro vivo con lavoro morto porta più di un problema. Ipotizzando una totale automazione della produzione, ossia la scomparsa tendenziale del lavoro vivo, come ne verrebbe modificata la teoria? Non verrebbe forse a cadere un caposaldo della teoria marxiana, tanto da far parlare Camatte di “morte potenziale del capitale” che ovviamente non significa affatto un capitale che sopprime se stesso e, quasi magicamente, pone le basi del comunismo come credono gli accelerazionisti alla Negri, che non casualmente vedono nell’espansione planetaria dell’Impero americano (e dei “valori” che veicola) una occasione per il comunismo per il quale basterebbe che le “moltitudini” prendessero il potere? Già, ma a parte la fattibilità, su cosa si fonderebbe quel comunismo se non proprio sull’antropologia del capitale?
    Infine la questione degli stati nazionali. Sono l’ultimo baluardo? Non so, non certamente i piccoli statarelli etnici con nessuna capacità economica e militare. Non certamente Stati che siano “nazionalisti” in senso deteriore. Ma neanche è applicabile un malinteso internazionalismo che affoghi le differenze in nome del “siamo tutti proletari e solo questo conta”. L’ esperienza dell’Urss, dove pure Stalin espresse una posizione teoricamente interessante ma contraddetta nei fatti, dimostra che anche quell’internazionalismo è perdente. Anzi, mi spingo a dire che in certo senso viene applicato con coerenza, naturalmente a suo modo e secondo i suoi obbiettivi, dal capitalismo USA. Forse un fattore di resistenza può essere rappresentato da agglomerati tanto grandi da porsi come soggetti potenzialmente in grado di opporsi all’egemonia USA, ma certamente che siano rigorosamente rispettosi delle culture e delle autonomie dei popoli al loro interno, antixenofobi e ovviamente antirazzisti, mi viene da dire multietnici e multiculturali che però abbiano in sé fattori di coesione sociale, culturale e spirituale che impediscano il loro deflagrare a tutto vantaggio di chi vuole applicare l’antica strategia del “divide et impera”.
    Come spero di aver fatto balenare, i problemi sono tanti ed enormi. Tanto enormi che anche le classiche categorie marxiane (dentro le quali anche il suo materialismo filosofico ma non questa è la sede per discuterne) andrebbero riconsiderate con attenzione alla luce di questa realtà, la quale, se non altro, ci dice una cosa. I tentativi di riferirsi e di far rivivere i “partiti di classe” di un tempo e la loro ideologia, stanno, da tempo, mostrando la corda. A mio parere occorre altro , che non so con precisione cosa sia., quantunque qualche linea di tendenza sia possibile individuarla. Ma “hic rodhus, hic salta”

    • Castorp
      10 Luglio 2017 at 15:25

      “Così sia ,così sia” ne “I fratelli Karamazov” ….dopo aver apprezzato il Suo intervento mi è “saltato” in mente..vado a rileggerlo.Buonasera.

    • Fabrizio Marchi
      10 Luglio 2017 at 20:18

      Armando, come ben sai condivido la gran parte del tuo lunghissimo e articolato commento in cui metti sul piatto tanti temi che, come ben sai, sono gli stessi che affronto anche io e che spesso affrontiamo insieme.
      Il problema è che ogni volta che si affrontano certi argomenti bisognerebbe scrivere un’enciclopedia e ripetere tutto quello che si è già detto in altre occasioni, e ovviamente è impossibile.
      Nel caso specifico il mio intento era semplicemente di abbozzare, sia pure in modo drammaticamente sintetico e con un taglio giornalistico, quello che a mio parere è il pensiero di Fusaro, al netto del giudizio sulla sua persona, sulla sue “scelte mediatiche” ecc. che sono cose che non ci interessano in questa sede (e che comunque hanno la loro importanza…).
      La mia opinione, o quanto meno l’idea che si sta facendo strada in me (ma potrei anche ricredermi nel futuro…) è che Fusaro non sia un pensatore marxiano (si può essere marxiani e avere la capacità di leggere il presente con lucidità e fuori dai dogmi, anzi, forse proprio questa dovrebbe essere la peculiarità di un pensatore marxiano…) ma sia piuttosto quello che potremmo definire un idealista (in senso filosofico, ovviamente), di scuola fichtiana-hegeliana, naturalmente con tutte le modificazioni del caso, anche perché Fusaro è un intellettuale brillante, non è certo un paracarro ed è abile a prendere di qua e di là con molta, anzi, moltissima disinvoltura. Questo suo taglio, questa sua formazione filosofica e anche questa sua grande spregiudicatezza (che può avere un risvolto positivo ma anche negativo…) lo portano o potrebbero portarlo (e secondo me lo stanno già portando) a prestarsi a diverse operazioni. Una di queste potrebbe essere quella che ho già paventato nel mio articolo. E cioè potrebbe diventare (ma per fare questo deve smetterla di andare ovunque, specie alle ridicole trasmissioni alla Chiambretti, per capirci, o quelle per casalinghe) l’ideologo di riferimento di una “vetero” (mi si passi il termine, si fa per capirci) borghesia che è stata messa nell’angolo (sia dal punto di vista in parte economico, che soprattutto politico e ideologico) dal grande capitale multi e transnazionale supportato ovviamente dalla sua ideologia di riferimento, cioè l’ideologia politicamente corretta e in particolare quello che viene definito come cosmopolitismo, proprio in contrapposizione al vecchio nazionalismo della vecchia borghesia di cui sopra. Quella vecchia borghesia che, non a caso, sta rispolverando la vecchia idea dello stato nazione (il vecchio nazionalismo) e sta portando una critica, da un punto di vista neoconservatore, alla nuova ideologia del capitalismo globalizzato “cosmopolitista”, “dirittoumanista”, femminista, eugenetista, relativista ecc. ecc. ecc.
      Una parte di questa borghesia trova oggi una sponda politica in forze neoconservatrici come il FN della Le Pen o l’altro partito gaullista francese, e in Italia in forze come la Lega Nord. Non mi pare di bestemmiare se dico questo. E non è un caso che Fusaro sia molto gettonato a destra, nelle varie destre, da quelle estreme (il prossimo 8 settembre, data simbolica e non credo casuale, per lo meno per i promotori dell’incontro, parteciperà ad un convegno organizzato da un circolo neofascista a Modena http://www.giornalettismo.com/archives/2622205/diego-fusaro-terra-padri ) a quelle più moderate, e non è un caso (questo veramente non può essere un caso) che sia chiamato a presenziare ovunque. Sarà pure bravo, ma insomma…
      Ciò detto, come ripeto, le tue riflessioni e le tue osservazioni sono in larga parte anche le mie. Non potevo affrontarle nell’articolo in oggetto che aveva una finalità ben più limitata.
      Il capitale estrae plusvalore sia dal lavoro vivo che dal lavoro morto e tendenzialmente e teoricamente potrebbe ricavarlo solo da quello morto, dicevi. Bè, ci sono da dire due cose. Innanzitutto questo è vero solo in parte. E’ vero che la vecchia classe operaia è ridotta enormemente di numero, ma è altrettanto vero tutte le altre figure professionali (e comunque subordinate), ivi compreso il lavoro intellettuale, restano comunque all’interno del rapporto di produzione capitalistico, e quindi l’estrazione di plusvalore continua a sussistere. Ma continuerebbe a sussistere anche laddove il lavoro vivo fosse in linea teorica interamente sostituito dal lavoro morto (cosa a mio parere non realisticamente possibile per lo meno fin dove riesco a vedere con la mia testa…), perché in ogni caso avremmo una massa di disoccupati (o di precari) che non percepirebbero reddito (o al limite un obolo di sussistenza) dal momento che non sono certo loro i proprietari dei mezzi di produzione né tanto meno del denaro (se parliamo di capitalismo finanziario). Quindi il problema dell’estrazione di plusvalore resterebbe comunque, perché è strutturale al modo di produzione capitalistico. Il capitalismo senza produzione di plusvalore (sotto qualsiasi forma) non è più tale.
      Non solo. Questo processo vale per la cosiddetta “metropoli” capitalista, cioè per le aree più sviluppate. Ma nel mondo, il numero degli operai è addirittura cresciuto negli ultimi decenni. Il mondo, come sappiamo, va a diversi tempi: c’è il nostro, cioè quello occidentale, che ormai ha delocalizzato gran parte della sua produzione (e quindi si è ridotta la classe operai nostrana ma è aumentata quella all’estero), c’è quello asiatico, ancora in espansione (capitalistica) e infine il terzo mondo, che è quello che fornisce forse la più grande massa di manodopera nel senso più tradizionale (lavoro manuale ecc. ).
      Sul conflitto di classe. Ne abbiamo già discusso tante volte e tante volte ci siamo confrontati. Classe in sé ma non per sé ecc. Non credo neanche sia necessario tornarci. Il fatto che oggi la lotta di classe non sia all’ordine del giorno è proprio la dimostrazione del trionfo del capitale. Come ho sempre detto, le classi dominanti la lotta di classe la fanno sempre, a differenza purtroppo delle classi dominate. E proprio la pace sociale dimostra che la lotta di classe la sta vincendo il capitale (una volta c’era anche uno slogan, come ricorderai, che recitava esattamente questo…). E oggi la vittoria delle classi dominanti è tale che è passata l’idea che non esista più la contraddizione e il conflitto di classe. Quest’ultimo può essere palese o latente, o addirittura occultato, ma potenzialmente è sempre esistito e forse sempre esisterà. Ora, il fatto che non sia all’ordine del giorno, non significa però che si debba aderire al suo occultamento. Sarebbe il più grande regalo che potremmo fare ai padroni del vapore. Esattamente quello che gli fanno sia i cantori del neoliberismo, sia gli intellettuali di “sinistra” tutto diritti civili e tematiche lgbt”, sia quelli di destra (che da sempre negano il conflitto di classe…). Dopo di che sarà tutto da vedere quali potranno essere i soggetti di una classe che non esiste più come esisteva prima, frammentata, frantumata, imborghesita, spappolata psicologicamente e ideologicamente prima ancora che socialmente. Tutto quello che vuoi e quello che sappiamo. Ma ci siamo capiti. E’ lì la questione o comunque una delle questioni centrali, diciamo pure strutturali. Anche tante altre tematiche oggi fondamentali (come ad esempio quella della questione sessuale e tutti i suoi derivati) deve comunque passare da lì, o anche da lì. Non si scappa. E quello secondo me resta un discrimine tra chi vede la realtà in un modo e chi la vede in un altro.
      Ora, capisco perfettamente le perplessità di chi si pone il problema di una risposta non dico immediata ma quanto meno di medio periodo (parlo in generale…). Ma questa purtroppo non può esserci. La mia opinione è che abbiamo davanti a noi tempi non lunghi ma forse lunghissimi, in cui quelli come noi devono gettare dei semi nella direzione della costruzione di una nuova grande soggettività sociale e politica anticapitalista, ma dobbiamo entrare nell’ottica (amara, me ne rendo conto…) che non ci sono risposte nel breve-medio periodo. C’è anche da dire che questo è un giornale che ha come missione quella di riflettere e far riflettere a tutto campo, proprio al fine di favorire quel processo. Non siamo un partito né un organo di partito e quindi non abbiamo il problema di dare risposte politiche immediate e urgenti. Il nostro compito è un altro. Se sia più facile o più difficile, non lo so. Sta di fatto che è così…

  4. Aldo
    10 Luglio 2017 at 12:36

    Non capisco questo attacco a Diego Fusaro con il quale si può pure essere in disaccordo ma ha il merito di avere riaperto un dibattito sui grandi temi del nostro tempo.

    • Fabrizio Marchi
      10 Luglio 2017 at 13:35

      Non c’è nessun attacco fine a se stesso e non mi pare che nell’articolo ci sia nessun tipo di acrimonia sul piano personale.
      Semplicemente su questo giornale ci occupiamo di tutto, dalla politica alla filosofia, dall’economia alla politica estera, dalla sociologia ai fenomeni mediatici e di costume.
      Fusaro è di fatto diventato un fenomeno mediatico-politico e abbiamo ritenuto giusto cercare di analizzarlo e di analizzare il suo pensiero. Qui non facciamo sconti a nessuno, abbiamo sottoposto a critica tutto l’arco politica da destra a “sinistra” passando per il M5S. Abbiamo messo in rete questo giornale proprio per riflettere in modo critico e naturalmente anche sostenere quando è il caso di farlo. Non ho scritto che Fusaro è un reietto, Ho dato la mia interpretazione del suo pensiero e della sua prassi e al momento mi pare di poter dire che Fusaro più che un pensatore marxista sia un intellettuale hegeliano e che le sue posizioni possano tornare utili, o meglio possano costituire il retroterra ideologico di settori borghesi che hanno perso terreno negli ultimi vent’anni in seguito al processo di globalizzazione capitalista che ha visto il prevalere del grande capitale multi e transnazionale. Non vedo dove sia lo scandalo. Dopo di che è un fatto che Fusaro risulti simpatico anche a settori dichiaratamente di destra, a volte di estrema destra. Ecco l’ultimo invito che ha avuto da un circolo dichiaratamente neofascista (all’inaugurazione del circolo c’era addirittura Mario Merlino, fondatore di Avanguardia nazionale..) http://www.giornalettismo.com/archives/2622205/diego-fusaro-terra-padri
      Questa viene dopo una serie di altri scivoloni, dopo essersi avvicinato alla Lega Nord per poi allontanarsene, dopo aver accettato di partecipare ad un dibattito organizzato da Casa Pound per poi desistere. Non sono messaggi positivi che manda. Ma questo è ancora un altro discorso.

  5. Castorp
    10 Luglio 2017 at 13:22

    L’alta finanza come perdita o parodia dell’economia,tecnologia come perdita e parodia della tecnica?.Mah…c è qualche speranza di poter sentire Fusaro,visto che non seguo l accidiosa iperattività ,ammiccante,dei talk show, format questo “dell occhio che strizza “la complessità del mondo,pronunciare “emoticon”tipo “ritorniamo all’agricoltura o ancora peggio alla Natura ?”Chi “nomina o indica ” cosa”?Dove è l’Avanti e dove il Dietro?Esistono?bene chiedo scusa …..anche a Fusaro.Vorrei solo ricordare Lavelle “la riforma spirituale riformerà lo stato “senza averci pensato”.

  6. armando
    11 Luglio 2017 at 12:28

    Eccome, Fabrizio, se l’estrazione di plusvalore sussiste. Di più, ha allargato il campo d’applicazione. Mentre prima si estraeva dal corpo dell’operaio durante le ore di lavoro, ora lo si estrae letteralmente dal corpo totalità delle persone, dsl concepimernto alla morte passando per ogni momento della vita. Per questo dicevo che i problemi si pongono in modo diverso, sia quello dei rapporti fra paesi a struttura economica capitalistica (in pratica tutti) , sia quello della lotta di classe, e abbisognano di soluzioni diverse, che ovviamente non ho. Solo per fae un esempio: cosìè il “reddito di cittadinanza” se non la distribuzione sotto forma di elemosina di plusvalore sociale?
    Certamente non può essere la soluzone strutturale a nulla se non nella visione ingenua pentastellata tutta dentro la logica del capitale. Del resto il tema era già sul tappeto all’inizio degli anni ottanta. La prima proposta della mia tesi di laurea (che poi feci sulla teoria delle classi in Marx e Engels), fu infatti sul Reddito minimo garantito, di cui si discuteva già allora nei paesi anglosassoni. Pensa un po’ che invenzione!!

  7. Eros Barone
    18 Luglio 2017 at 0:37

    Ritengo altamente meritoria la battaglia politico-culturale ingaggiata da alcuni pubblicisti di sinistra, fra cui lo stesso Fabrizio Marchi, per denunciare l’inconsistenza e il ciarlatanismo di figure filosoficamente equivoche come Diego Fusaro. Sennonché a quei due difetti, già di per sé discriminanti sul versante della credibilità, occorre aggiungerne un terzo, che è ancor più discriminante su quello della competenza. Si tratta di alcuni svarioni di una certa gravità, contenuti nell’ultima traduzione dell’“Ideologia tedesca” di Marx ed Engels pubblicata dalla Bompiani proprio a cura di Diego Fusaro. Il che, a mio sommesso avviso, dimostra che è abbastanza problematico definire Fusaro, come fa Marchi, “molto preparato”.
    Vengo al dunque: vi è un passo dell’“Ideologia tedesca”, riguardante la critica delle posizioni di Stirner (“San Max, l’Unico e le sue proprietà: gli antichi”), dove Marx ed Engels confutano l’affermazione stirneriana che l’etica sia la sola scienza degli stoici, mettendo in rilievo i loro studi di fisica e di logica e citando Diogene
    Laerzio. Nell’edizione del 1967 degli Editori Riuniti si trova scritto: «Basta
    questo per vedere quanto poco l’etica sia “l’unica scienza degli stoici”. Si
    aggiunga anche che essi, secondo Aristotele, sono i principali fondatori della
    logica formale e della sistematica». È evidente che qualcosa non quadra: qualcosa che non si trova nel testo originale, ma nella traduzione. Aristotele morì nel 322 a.C., Zenone di Cizio (da non confondere con Zenone di Elea) nacque nel 332 a.C., quindi aveva 10 anni alla morte di Aristotele. Di Cleante non si conosce la data esatta di nascita, comunque collocabile tra il 330 e il 320. Fu discepolo di Zenone dal 282 al 264 (anno di morte di Zenone). Crisippo di Soli nacque nel 277. Zenone e aprì la sua scuola (‘Stoà’) ad Atene intorno al 301-300. In realtà, Marx ed
    Engels affermano che gli Stoici, dopo Aristotele, sono i principali fondatori della logica formale e della sistematica. È vero che “nach Aristoteles”
    può essere tradotto sia come “secondo” sia come “dopo” Aristotele, ma la giusta traduzione si desume dal fatto che il fondatore del Liceo non poteva conoscere opere scritte dopo la sua morte, a meno che…non possedesse la macchina del tempo e potesse dunque viaggiare nel futuro.

    Ma vi è di più: poco più avanti, per schernire il capovolgimento della realtà
    operato dall’idealismo Marx ed Engels riportano una canzone popolare in cui la
    successione cronologica e logica è rovesciata. La prima strofa, nella
    traduzione di Fusaro, è resa così: «Il signore invia Giovanni / e gli dice di
    tagliare la vena / Giovanni non taglia la vena / e non rientra a casa…».
    Orbene, se è vero che sarebbe pedante notare che Jochem più che Giovanni è
    Gioacchino, è però giusto osservare che il signore lo manda a tagliare l’avena (‘Hafer’) e non la vena (‘Ader’).

    In conclusione, è vero che spesso le traduzioni dei testi marx-engelsiani lasciano perplessi. Questo è comprensibile per le prime traduzioni militanti, fatte da compagni che volevano diffondere opere indispensabili per la comprensione dei problemi politici fondamentali, senza avere alle spalle una forte organizzazione o un’importante casa editrice. È assai meno spiegabile (e quindi addebitabile a impreparazione e sciatteria) quando queste condizioni ottimali per la traduzione esistono. Naturalmente, il lavoro del traduttore è difficile, ed è facilissimo sbagliare.ma proprio per questo una volta le case editrici
    aggiungevano l’“errata corrige” (un foglietto in cui venivano riportati gli
    errori riscontrati successivamente alla prima pubblicazione del testo e le
    relative correzioni): una modesta ma utilissima usanza che purtroppo oggi non è
    più seguita e permette ai vari Fusaro in circolazione di seminare spropositi e svarioni a profusione.

  8. Armando
    18 Luglio 2017 at 19:55

    io però credo che i veri bersagli debbano essere altri, non Fusaro, che almeno contribuisce a smascherare questa sx degenerata a sostegno del capitale

    • Fabrizio Marchi
      18 Luglio 2017 at 21:43

      Purtroppo non lo fa nel modo migliore, Armando, anzi, lo fa in modo sbagliato e commette tanti errori, sia di ordine teoretico che politico. Ora, ad esempio, che necessità c’è per l’ennesima volta di andare ad intervenire in un circolo dichiaratamente neofascista? E’ un errore politico enorme, ammettendo la sua buona fede. Ma ripeto, un intellettuale marxiano dovrebbe avere anche un ‘altra prassi, un altro modo di muoversi…Questo sta sempre nei salotti, in tutte, dico tutte le trasmissioni televisive…dico questo al di là ora della mia critica alle sue posizioni filosofiche che pure secondo me, come ho già spiegato nel mio secondo articolo, risultano di fatto funzionali ad un certa borghesia e ad una certa destra…Ma al di là di questo…Fusaro NON va MAI a parlare davanti a una fabbrica, in una situazione di lotta, in un comitato di quartiere, in una periferia…ora, se mescoliamo il tutto purtroppo non ne viene fuori un gran che…Dopo di che, sono d’accordo con te che il problema non è fare il tiro al piccione contro Fusaro, figuriamoci, anzi, se leggi il mio primo articolo https://www.linterferenza.info/editoriali/a-proposito-di-fusaro/ la mia polemica va innanzitutto contro quegli “intellettuali” di “sinistra” durissimi nei suoi confronti, quando questi sono fatti esattamente della sua stessa pasta…e non so chi abbia fatto più danni alla Sinistra, se loro o Fusaro…sicuramente loro, se non altro per ragioni temporali…Fusaro ci sta solo mettendo la sua parte…

  9. Fabrizio Marchi
    19 Luglio 2017 at 10:20

    Mi segnalano questo intervento di Fusaro che non avevo ascoltato e lo pubblico perchè lo condivido in toto. E quando le cose sono condivisibili è giusto e doveroso condividerle e riconoscerle anche se dette da qualcuno che si è criticato e si critica:
    “Alla trasmissione “Matrix”, alcuni mesi fa, Nicola Porro, il conduttore, domanda al professor Diego Fusaro cos’è e cosa rappresenta l’attuale caos dell’immigrazione di massa…

    1. La risposta di Diego Fusaro: «Che cos’è l’immigrazione di massa a cui stiamo assistendo e a cosa servono i migranti? In primo luogo [l’immigrazione, ndr]: giova al potere e ai signori della mondializzazione capitalistica perché garantisce un abbassamento dei costi della manodopera. Se l’immigrato fa a 5 Euro all’ora ciò che l’italiano fa a 10, è evidente che poi costringerà anche l’italiano a fare a 5 quello che prima faceva a 10. Marx direbbe è “l’esercito industriale di riserva nelle mani del capitalismo nella lotta di classe”.

    2. L’immigrazione serve a fare in modo che il conflitto resti proiettato nell’orizzontalità del conflitto tra servi, tra disoccupati immigrati e disoccupati italiani, e non salga mai verso l’alto, cioè verso i signori del mondialismo e della finanza.

    3. La migrazione come deportazione di massa oggi in atto serve esattamente a imporre un nuovo profilo antropologico, quello del dis-occupato. I migranti, proprio come i nostri giovani sono precari, non occupano un posto fisso, sono costretti a essere delocalizzati, spostati secondo i flussi del capitale e dei suoi movimenti sradicanti. Ecco in quale senso possiamo dire che oggi l’immigrazione di massa è una deportazione di massa. E lasciatemi dire: il nemico non è il migrante, che anzi è un nostro amico con cui dobbiamo cercare di stringere rapporti di solidarietà conflittuale contro il potere. Il nemico non è chi fugge, ma chi costringe a fuggire. Il nemico non è chi è disperato, ma chi getta nella disperazione la gente. Il nemico non è chi migra, ma chi costringe i popoli, compresi gli italiani, a migrare, seguendo le logiche sradicanti della mondializzazione.» https://www.youtube.com/watch?v=bGbhudPjvbc
    DIEGO FUSARO Il capitale ci vuole tutti schiavi e migranti [Matrix,…

  10. Carlo
    20 Luglio 2017 at 9:39

    Analisi lucidissima e puntuale che spiega anche il successo mediatico, in larga parte pompato dei media proprio in funzione nazional-popolare, del soggetto in questione.
    Se l’analisi di Lenin sulla espansione capitalistica legata all’imperialismo era corretta, ancora di più lo era quella di Rosa Luxemburg nel suo libro L’accumulazione del Capitale.
    E’ del tutto evidente che la soluzione corporativa lascia intatto sia il meccanismo di accumulazione sia la dinamica imperialista, l’esempio di venti anni di fascismo dovrebbe essere orami acquisito una volta per tutte.
    Senza una reale partecipazione dei lavoratori e delle loro rappresentanze alle dinamiche produttive e alle scelte di mercato, oltre che alla pianificazione degli investimenti e alla ripartizione dei profitti, avremo sempre la stessa identica dinamica dell’accumulazione di plusvalore, indissolubile dalle sue conseguenze speculative. Perché innovazione tecnologica e investimenti, dalla parte di un capitale speculativo, vuol dire solo ottimizzazione dei profitti a scapito del costo del lavoro, automatizzando, licenziando e precarizzando la manodopera, per poi investire i profitti e aggiungerne altri mediante manovre speculative. Il fenomeno Fusato è creato ad arte per depistare il dissenso in un ambito destrutturale, e cioè legandolo a leader che non rappresentano concretamente un programma di coscienza e lotta di classe che sia incisivo nella struttura di una società e nelle sue contraddizioni e ingiustizie e, allo stesso tempo, incanalandolo nell’ambito di una protesta che resta soggettiva e mai allargata ed organizzata. Qualcuno ha mai visto Fusaro nelle piazze o nelle manifestazioni accanto ai lavoratori? Forse è logico…lì non si ha alcun tornaconto economico.

    • armando
      20 Luglio 2017 at 14:35

      scusa Carlo, ma sembra che tu stia proponendo una cogestione alla tedesca. che forse mitiga gli effetti, ma certo non intacca il meccanismo. Di più, ammettendo che tutte le imprese in tutto il mondo fossero cogestite, i conflitti competitivi con relativo imperialismo, sarebbero esattamente gli stessi di ora, perché la proprietà cooperativa allarga il campo dei proprietari ma non rompe il circolo vizioso della concorrenza e del mercato.

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