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Prendiamo Virginia Raggi e Flavio Briatore, quali portatori di opposte verità e studiamoli un attimo. Non entrerò ovviamente nel merito dei loro oggetti – Olimpiadi a Roma e Resort ad Otranto – ma rimarrò al meccanismo delle rispettive verità. Raggi: il M5S, aveva detto in sede programmatica e di campagna elettorale NO alle Olimpiadi – ora in sede di governo conferma il NO. Ergo, emerge, piuttosto intuitivamente, che, in questo caso, la “verita” è sinonimo di “coerenza”. La “teoria coerentista della verità” è uno tra i modi di concepire la verità, diciamo formalistico e in un certo senso idealistico: la misura è il corretto sviluppo del ragionamento (dell’inferenza, se…allora) in questo caso “Se ho promesso (cioè predicai) NO allora è NO (il predicato si è realizzato)”; la garanzia del ragionamento riposa sulla mente di chi lo fa (risvolto idealistico). Questo approccio presenta difficoltà e antinomie: anzitutto è necessario presupporre un garante (la mente che avvia il ragionamento) e che questo sia coerente ancor prima di iniziare a dire NO, cioè ci sia bisogno di un’attestazione morale precedente la dimostrazione, di una coerenza a-priori. Infatti credo che i 5Stelle abbiano coscienza di questa situazione e anzi ne facciano il presupposto (kantiano-giacobino) per “ogni futura politica”. In secondo luogo l’assunzione “forte” di responsabilità porta alla situazione idealistica, al “dover essere contro la realtà olimpica, per un’altra non ancora definita realtà”. Forte significa consapevole “dico No pure se venisse giù il Signore” quindi costitutiva: “sono la sequenza delle mie scelte” (eligo ergo sum). Questa è, infatti, l’impressione popolare di un NO “tosto” e, di contro, la sorpresa dei media per un mancato “trasformismo”. In sintesi, in questo caso, la verità è tutta a carico di chi la enuncia e contro l’ordinaria realtà .
Tutt’altra potenza “epistemica” ha la verità di Briatore, il suo enunciato “io so bene come ragiona chi ha molti soldi: non vuole prati né musei, vuole spendere 10-20 mila euro al giorno”. La sua “teoria corrispondentista della verità” è il perfetto adeguamento del pensiero all’essere, la adaequatio rei et intellectus di Tommaso d’Aquino: “so bene come ragiona” (pensiero) “né prati, né musei, spendere migliaia di euro al giorno” (realtà). Nel corso della storia della filosofia questa “adaequatio” (sinonimo della odierna performance) ha dato luogo a contraddizioni e soluzioni innumerevol. Infatti, qual’è l’intelletto adeguato (quali categorie del pensiero\il problema kantiano)? e cos’è la realtà (storia, natura, ecc.)? Ciò perché qui oltre che su un piano logico (coerenza) la verità ha un’ambizione epistemologica, cioè di conoscere un al di là della mente (in senso comune: la realtà) . Ora Briatore ha un adeguato intelletto per spiegare la realtà, a mio avviso cioè la sua “soggettiva ostentata volgarità” risulta mezzo (adeguato e performante) per “ostentare”, cioè mettere in chiaro “la oggettiva volgarità” della realtà. Insomma il Bilionaire non rappresenta solo un affare per lui ma è un utile strumento per noi per capire lo stato dell’arte della ricchezza. Questo sapere “adeguato” va acquisito, senza preclusioni moralistiche ma in maniera “storico-materialistica”, similmente a come Marx considerò utile il cinismo della economia politica borghese. D’altra parte Briatore rinnova il fondamento morale della società capitalistica: “La favola delle api” di Bernard de Mandeville, ossia come recita, dialetticamente, il sottotitolo “vizi privati pubbliche virtù” il fatto che l’interesse privato preceda e pre(de)formi la virtù repubblicana. Briatore, come Mandeville, è un sincero osservatore, utile anche a chi sostiene un altro verso (la costituzione autonoma dell’etica pubblica e non con le briciole dei viziosi) mentre davvero patetici sono tutti quegli imbrattatori di gazzette o politicanti al servizio di vizi, che cercano la “privata virtù” nei banchettoni, magari proprio tra Comitati simili a quello per i giochi di Roma per incantare e “viziare il pubblico” giudizio. Probabilmente occorrono le due verità per affrontare e “rischiarare” il paese, non di Pinocchio che a suo modo diceva la verità, ma delle sagrestie e dei chierici officianti, in odio tanto a Gramsci quanto a Pasolini.