Bielorussia: quale transizione politica?

La cerimonia di insediamento alla presidenza bielorussa di Aleksander Lukashenko è avvenuta senza essere stata anticipata da alcuna notizia. Un fatto di cui non è facile rintracciare un precedente nella storia europea del passato prossimo: non più facile, del resto, è rintracciare nella storia europea un tentativo di delegittimazione politica proveniente dall’estero analogo a quello che si profila nei confronti di  Aleksander Lukashenko.

Vagliando la storia dei popoli slavi d’Oriente – russi, ucraini, bielorussi – e di  altri popoli che vissero Oltrecortina (Figura 1) non è difficile realizzare che le tendenze liberali presenti siano state in larga misura isolate dal senso comune occidentale, risultando marginali nella cultura politica generale. Tenere a mente la distanza che intercorre tra la democrazia liberale e il mondo slavo  potrebbe aiutare a meglio comprendere l’attualità della Bielorussia e di altre regioni della galassia postsovietica: una galassia distante e in generale poco attratta dalle forme della democrazia liberale.
Pochi giorni fa, in una conferenza stampa tenutasi a Varsavia, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha presentato l’oppositrice bielorussa Svetlana Tikhanovskaya come “presidente della Bielorussia”: appena qualche ora dopo, l’ex presidente del Consiglio Europeo ed ex primo ministro polacco Donald Tusk , ha proposto di conferire alla Tikhanovskaya – ed al marito detenuto in Bielorussia – il premio Nobel per la Pace. In parallelo, a proposito del caso Navalny, il parlamento europeo ha adottato una risoluzione orientata ad imporre nuove sanzioni contro la Federazione Russa – sanzioni che si aggiungeranno a quelle in vigore dal 2014 – ed alla sospensione dei lavori per la costruzione del gasdotto North Stream 2 (Figura 2 e Figura 3).

Contemporaneamente, il parlamento europeo ha adottato una risoluzione orientata ad imporre sanzioni contro la Bielorussia e a far considerare ai paesi membri il “Comitato di coordinamento dell’opposizione bielorussa” come “Organo di rappresentanza ad interim”. Nella sostanza, dal 5 novembre prossimo il parlamento europeo non riconoscerà più Aleksander Lukashenko come presidente legittimo.
Per quanto riguarda l’attuale livello di consenso attribuibile a Lukashenko, al di là dei discutibili dati ufficiali, non esistono dati incontrovertibili. Si possono però proporre delle riflessioni: quella che viene considerata la principale oppositrice di Lukashenko – la Tikhanovskaja – non ha pressoché alcuna esperienza politica. Ammettendo i brogli che l’opposizione denuncia e che nella dinamica elettorale abbia prevalso la logica del voto anti-Lukashenko, è altamente improbabile che Svetlana Tikhanovskaya abbia ottenuto maggiori consensi reali di Lukashenko.
Oltre a questo, nel considerare il rapporto tra Lukashenko e la sua base di consenso si dovrebbe tenere presente che in Bielorussia esiste l’esercito di massa, fattore che implica la necessità di un livello di consenso significativo in seno alle forze armate. Inoltre, l’enorme numero di dipendenti del settore pubblico così come il peso delle “generazioni sovietiche” in seno alla società bielorussa costituisce una fisiologica base di consenso per il potere di Lukashenko.

A differenza di altri ex paesi d’Oltrecortina, nell’odierna Bielorussia la presenza organizzata di movimenti neofascisti è contenuta: un fatto che può certamente spiegarsi con la dura repressione con cui questi gruppi – come la “Legione Bianca” (in russo: Belij Leghion) – hanno dovuto fare i conti tra la fine degli anni novanta e l’inizio degli anni duemila. In questo periodo, la “Legione Bianca” – di fatto un gruppo paramilitare – avrebbe avuto a disposizione campi d’addestramento in Lituania, Polonia ed Ucraina. Nonostante la repressione volta a disarticolare questi gruppi, alcuni nuclei di militanti bielorussi hanno coadiuvato l’attività militare dell’esercito ucraino e delle formazioni paramilitari affiancate a questo nella guerra combattuta dal 2014 contro gli insorti delle regioni orientali dell’Ucraina. In parallelo agli arresti eseguiti tra le fila dei paramilitari che hanno affiancato l’esercito ucraino, negli anni scorsi l’apparato bielorusso ha eseguito arresti anche tra le fila dei bielorussi che hanno combattuto a sostegno degli insorti del Donbass: una scelta che si spiega, oltre che con le questioni di sicurezza interna, con la necessità di Aleksander Lukashenko di mantenere un atteggiamento neutralista in merito al conflitto ucraino, in quanto garante degli accordi firmati a Minsk tra le parti coinvolte.
Certamente la mano dura di Aleksander Lukashenko non ha colpito soltanto l’area neofascista: negli anni scorsi Lukashenko si è sempre mostrato riluttante a concedere spazi politici significativi agli oppositori. Prima della comparsa e dell’arresto della figura di Svetlana Tikhanovskaja, sia in Bielorussia che all’estero Viktor Babariko – banchiere bielorusso molto vicino a Gazprom arrestato alcuni mesi fa con accuse di  appropriazione indebita, peraltro insieme al figlio – veniva considerato il principale avversario di Lukashenko.
Su pressione del Cremlino e di una parte della società bielorussa, domenica 10 ottobre 2020 Lukashenko si è recato nel carcere di Minsk, dove si trovano Babariko ed altri oppositori, con i quali ha discusso per oltre quattro ore. Un fatto che rappresenta un ulteriore segnale di apertura politica, oltre che il prodromo di una verosimile prossima uscita dal carcere di Babariko e di un suo successivo coinvolgimento politico.

Il rimando alla lotta contro la corruzione – definita dallo stesso Lukashenko “umiliazione dell’uomo” – ha accompagnato la carriera di Aleksander Lukashenko sin dalla sua genesi politica. Se  certamente in alcuni casi l’accusa di corruzione si è fatta strumento politico – come nel caso di Viktor Babariko – è pur vero che in Bielorussa la corruzione è contenuta, specie se messa in relazione ad altri paesi ex sovietici. A questo proposito – oltre a dar conto della legge anticorruzione  approvata in Bielorussia nel luglio del 2015 – vale la pena far menzione dei dati forniti dall’ONG Trasparency International (con sede a Berlino e difficilmente tacciabile di simpatie per Lukashenko). Nonostante l’orientamento liberale dell’ONG e la metodologia di ricerca – penalizzante per un paese con un’economia dominata dal settore pubblico – la Bielorussia ha un posizionamento migliore di vari altri vicini ex sovietici (66° su 180 Paesi nel 2019, Figura 4).
Secondo Bloomberg i livelli di efficienza della sanità bielorussa sono sovrapponibili a quelli di Belgio e Olanda (superiori a quelli degli Stati Uniti).  Le Nazioni Unite hanno riconosciuto gli sforzi fatti dalla Bielorussia per una sanità gratuita e di libero accesso a tutta la cittadinanza. Un risultato considerevole, soprattutto tenendo conto delle modeste risorse a disposizione e dell’enorme impatto del disastro di Chernobyl sulla Bielorussia. Importanti anche i risultati che la Bielorussia ha raggiunto nell’ambito dell’istruzione, benché non totalmente gratuita, ma caratterizzata da un livello notevole di qualità, garanzia e di tutela sociale.
La possibilità che gli attuali sviluppi politici vadano ad accelerare il percorso dell’Unione di Stati tra la Federazione Russa e la Bielorussa risulta certamente possibile, ma non scontata. Nell’ultimo ventennio, nonostante dispute e contrasti, Lukashenko ha saputo offrire a Mosca solide garanzie, di cui il rinnovato sostegno del Cremlino testimonia la validità attuale, ma non sine die.

Mosca ha garantito alla Bielorussia di Lukashenko una nuova linea di credito per un valore di un miliardo e mezzo di dollari. “Su richiesta di Lukashenko” Vladimir Putin ha dichiarato di aver organizzato delle forze di polizia riserviste, che in caso di necessità saranno messe a disposizione delle autorità bielorusse. Ma quella bielorussa, non è, sicuramente, da leggersi come una questione di repressione del dissenso o di ordine pubblico. Di questo, e della necessità di una transizione politica, appaiono ben consapevoli sia Vladimir Putin che lo stesso Aleksandr Lukashenko.
Soprattutto tenendo conto di una certa rigidità che ha contraddistinto la sua azione politica,  nelle ultime settimane Lukashenko ha mosso dei passi importanti nei confronti di quella porzione di società insofferente alla sua figura. Benché le aperture di Lukashenko non abbiano goduto di particolare visibilità mediatica, quest’ultimo ha ammesso certi eccessi, arrivando ad affermare pubblicamente“Si, può darsi che sia rimasto un po’ troppo al potere…”. Rispetto alla richiesta di introdurre modifiche alla costituzione bielorussa l’atteggiamento di Aleksandr Lukashenko è apparso dialogante, così come a proposito di nuove elezioni anticipate che possano mettere fine al suo mandato appena inaugurato.
Un altro segnale importante arrivato da Lukashenko è quello relativo alla rimozione dall’incarico del capo dell’apparato di sicurezza Valerij Vakulcik  La scelta è stata motivata ufficialmente con un rimando alle sue responsabilità per l’arresto e la detenzione di alcune decine di paramilitari russi appartenenti alla nota agenzia “Wagner”: oltre l’ambiguità dell’episodio, è ragionevole presumere che la simpatia di Vakulcik – e quella di altri membri della burocrazia bielorussa – per la figura di Lukashenko non fosse massima. Una volta ricucito lo strappo con Mosca, è senz’altro possibile che l’allontanamento di Vakulcik abbia un nesso con la discussa gestione dell’ordine pubblico nel corso delle recenti mobilitazioni dell’opposizione.

Alle sanzioni imposte dall’Unione Europea contro vari funzionari bielorussi, la Bielorussia ha risposto imponendo misure speculari contro l’Unione Europea
A risultare evidente è che chi andrà a beneficiare del tentativo di isolare la Bielorussia e di imporgli nuove sanzioni – siano queste dirette contro l’apparato bielorusso che contro la sua economia – non sarà né l’Italia né il sistema di relazioni continentali. Anziché promuovere il dialogo tra la presidenza e l’opposizione le misure antibielorusse finirebbero infatti per polarizzare la società bielorussa: a venire colpito sarebbe uno dei principali ponti tra la Federazione Russa e l’Europa occidentale, nonché un paese molto importante per l’economia italiana proprio per questa sua caratteristica.
Sullo sfondo del dialogo tra la Bielorussia e il Vaticano – avviato con la visita del segretario dei rapporti con gli stati Paul R, Gallagher a metà settembre 2020 – la possibilità di una visita a Minsk da parte di Papa Francesco viene al momento ostacolata dal “niet” delle autorità bielorusse rispetto al rientro in Bielorussia – dove si trova il Nunzio Apostolico, mons. Antonio Mennini – del vescovo Tadeusz Kondrusiewicz. Un ostacolo su cui ha posto l’accento anche il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin e che la Santa Sede appare propensa a superare con il dialogo.
Mentre si attende il risultato delle presidenziali statunitensi – previste ormai tra poche settimane – risulta evidente come quella che si prospetta per la Bielorussia sia una transizione che si profila lenta e dilatata nel tempo: necessaria, ma non priva di rischi per la sua economia e per la sua società (Figura 5), così come per l’intero spazio continentale.

Fonte articolo: https://www.quadrantefuturo.it/paesi/bielorussia-quale-transizione-politica.html

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