Come (non) ti racconto il mondo. Il caso dei media italiani

SIRIA

Un mese fa, la descrizione della tragedia curda occupava pressoché tutto lo spazio destinato alla politica estera nei media italiani. In uno sfoggio di indignazione sincera e giustificata, anche se praticamente irrilevante ( sino al livello grottesco di prendere sul serio la proposta di non svolgere la finale di Coppa dei Campioni a Istanbul nel prossimo maggio). E tutti i giornali consideravano il ritiro americano come un tradimento capriccioso di Trump, non a caso condannato dal Congresso e dall’opinione pubblica americana. Mentre nessuno sembrava voler prendere in considerazione il fatto, questo sì illuminante, che l’iniziativa, con le immancabili richieste di moderazione, era stata avallata dalla Nato. Un atteggiamento ineccepibile dal punto di vista dell’organizzazione: se questa si muove nell’ottica del “tutti per uno”nel caso non solo di attacco ma di seria minaccia esterna, perché questo principio doveva valere, che so, per l’Estonia e non per la Turchia ? Nessuna discussione seria, poi, sulla natura di questa minaccia: sul fatto, cioè, che Rojava fosse o non fosse base e sostegno esterno per l’azione del Pkk in Turchia; o, più in generale, se la costituzione di uno stato curdo oggi in Siria e magari domani in Turchia, Iraq e Iran fosse “una cosa buona e giusta “e non invece un evento eversivo e intollerabile nel contesto mediorientale.

Un mese fa, ogni analisi dei fatti sui media italiani doveva essere messa da parte; e in base allo schema buoni/cattivi. Erdogan era, e per mille buoni motivi, la quintessenza del cattivo; mentre, invece, i curdi, non arabi e forse nemmeno autentici musulmani e poi sinceri amici dell’occidente, sino ad essere gli unici a combattere l’Isis, erano ideali per il ruolo dei buoni. Un quadro tutto in bianco che forse andrebbe un tantino ombreggiato con qualche piccolo dato di fatto: passi per il disinteresse generale per l’entusiasmo con cui i cristiani del Rojava hanno  accolto con entusiasmo l’arrivo delle truppe di Assad ( si sa che dei cristiani d’Oriente non importa nulla a nessuno); ma dimenticare che la guerra all’Isis l’hanno fatta tutti, dai russi, allo stesso Assad, fino alle milizie sciite telecomandate da Teheran è veramente un po’ forte. E ha una sola spiegazione: la necessità di dimenticare che la nascita del Califfato aveva avuto, come quella di al Qaeda, come primo padrino proprio l’America.

Oggi, dei curdi e di quello che sta accadendo nella zona è improvvisamente calato il più totale silenzio. Brucia evidentemente il fatto che nessuno dei due contendenti abbia svolto sino in fondo il ruolo di carnefice e di vittima che gli era stato assegnato. E forse ancor di più il fatto che a salvare i curdi siano stati non il settimo cavalleggeri o i volontari italiani: ma Putin, il cattivo per definizione.

In quanto al popolo siriano, l’unica totale vittima del conflitto, la stampa italiana ci ha sempre ampiamente informato sulle atrocità della guerra condotta da Assad e dai russi. Mentre è stata un po’ dimentichina nel caso dello Yemen e delle nostre forniture militari all’Arabia saudita. E, caso in sé più grave, non si è mai degnata di dirci che lo stesso popolo siriano sarà, da oggi in poi, vittima del boicottaggio economico dell’occidente: non una lira per la ricostruzione del paese o per il rientro dei profughi fino a tentare di impedire loro l’invio di rimesse; nessun serio impegno per la preparazione di una conferenza di pace. Su tutto questo i media italiani non hanno speso una parola.

SPAGNA

In Spagna esistono sia la destra che la sinistra. E si combattono anche.

Una roba da museo, mi direte. E, anche, come dire, un tantino pericolosa da maneggiare. E sareste in buona compagnia. Perché così pensa l’Europa che conta. E, beninteso, almeno in linea generale, i media italiani dopo alcune sbandate iniziali ( Mentana in Catalogna…).

Sarà anche una roba da museo. Ma è anche una roba vera. Alimentata dalla memoria di una guerra civile che fu non solo una ferocissima guerra di classe ma anche lo scontro frontale tra due visioni della società e della stessa identità nazionale della Spagna.

Tutto questo era stato messo sotto il tappeto all’epoca della “ruptura pactada”, all’insegna del “chi ha avuto ha avuto….scordammoce o’ passato”; salvo a riemergere prepotentemente negli anni recenti e per responsabilità principale di una destra che non aveva mai fatto veramente i conti  con il suo passato franchista.

E su questo si sono giocate le più recenti, e ripetute partite elettorali. Per i nostri opinionisti una serie di esercizi preparatori all’inevitabile “embrassons nous” tra socialisti e popolari in nome dell’Europa e, già che ci siamo, del mercato; per Sanchez un passaggio necessario per la formazione di un governo di sinistra aperto al dialogo con una parte dello schieramento indipendentista.

Un esito assolutamente imprevisto, si dirà. Ma, per un stampa che dovrebbe non solo commentare il passato ma anche anticipare in qualche modo ciò che potrebbe avvenire nel presente, un vero e proprio infortunio.

VENEZUELA

Guaidò ? Guaidò ? Vi dice niente questo nome ? Se aveste cominciato a leggere i giornali o a guardare la televisione nella seconda metà di quest’anno, questo nome non vi direbbe assolutamente niente. Un desaparecido; anche se, per sua fortuna, soltanto nel mondo dei media. Una vicenda triste; ma, dal nostro punto di vista, esemplare. Perché, appena qualche mese prima, il Nostro era apparso ed era stato presentato  come il presidente legittimo del Venezuela e destinato con la sua sola presenza ad abbattere Maduro e la sua dittatura: accolto “come una rockstar” all’università e osannato da folle oceaniche.

Oggi, se ne sta mogio e politicamente irrilevante; senza folle oceaniche e senza neanche riuscire a farsi arrestare. E allora, meglio non parlare più né di lui né, soprattutto, del Venezuela.

Attenzione: qui non è in discussione il diritto-dovere di ogni giornalista di pensare e dire quello che vuole su  Guaidò, Maduro e quant’altro. E’ in discussione invece l’occultamento premeditato dei fatti: nello specifico l’esistenza in Venezuela di una parte sicuramente maggioritaria della popolazione non solo e non tanto a sostegno di Maduro quanto favorevole ad una soluzione negoziata della crisi. E nascondere i fatti, per un giornalista, è un peccato mortale.

BOLIVIA

Dopo l’avvento di  Morales la povertà è scesa dal 35% al 15%; e la speranza di vita salita da 57 a 71 anni; mentre il debito sta al 53% del Pil ( un livello tedesco…) e la crescita economica si è mantenuta robusta, toccando anche quest’anno il 4.1%. Si può dunque affermare che il presidente ha fatto molto per il suo paese. Questo non lo dice Il Manifesto ma il seriosissimo e insospettabile Istituto di politica internazionale; e nessun altro. Non è una semplice dimenticanza: è una esplicita volontà di cancellare i fatti, funzionale alla tesi che la “deposizione”del presidente sia stata il frutto non di un golpe della destra ma di una legittima protesta popolare.

HONG KONG

Da mesi, la città è l’epicentro di scontri di una violenza estrema, raccontati dalla stampa mondiale e, quindi, anche italiana ma nello sola chiave della inaudita brutalità poliziesca. I fatti raccontano invece una storia un po’ diversa. Parlano di parlamento invaso, di edifici dati alle fiamme, di un presidente cui è stato impedito di parlare, di un deputato pugnalato,  di un cittadino filo cinese arso vivo e di una devastazione continua e prolungata. A fronte di tutto questo un morto caduto da un’impalcatura; e un altro ferito gravemente da un poliziotto. Meno di quanto è successo in Francia con la rivolta dei gilet gialli; molto meno rispetto alle vittime della protesta cilena; infinitamente meno rispetto alle centinaia di caduti in pochi giorni in Iraq. Anche qui l’opinione fa premio sui fatti: la rivolta di Hong Kong è esaltata perché è rivolta contro la Cina; le altre sono destinate a finire ben presto in cavalleria. Una spiegazione di parte ? Sarà anche così; ma non ne vedo altre.

MORALE DELLA FAVOLA

Piuttosto una riflessione sul pensiero unico . Che diventa automaticamente tale non perché imposto. In modo palese o occulto; o per la vocazione innata del giornalista a servire il potere. Ma semplicemente perché è il rifugio naturale per la stragrande maggioranza delle persone- giornalisti in prima fila- che hanno rinunciato da tempo a cercare e a capire il mondo che le circonda.

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Fonte foto: www.igiornielenotti.it (da Google)

 

 

 

 

 

 

 

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