Il ruolo dei Paesi scandinavi nella colonia europea

Il recente caso della Danimarca, che prolunga la durata del servizio militare obbligatorio e lo estende anche alle donne, mostra bene dove vadano a parare le “pari opportunità” messe al servizio della propaganda di normalizzazione della guerra. E può mostrare anche, in aggiunta, come si sia ottenuta una decisa stretta ideologica dell’Europa, nella quale i paesi scandinavi svolgono un ruolo preciso. Per paesi culturalmente scandinavi, con caratteri piuttosto omogenei, bisogna intendere la Danimarca, la Svezia e la Norvegia, mentre la Finlandia, che rientra geograficamente nella penisola scandinava, presenta dal punto di vista culturale alcuni tratti autonomi, che diventano molto marcati e distintivi sul piano linguistico. Anche la Finlandia, comunque, gioca un ruolo chiave nella partita dell’allineamento dell’Europa alla pessima versione dell’atlantismo in voga. Da questo punto di vista, la Scandinavia si rivela una efficace cinghia di trasmissione e rinforzo dell’atlantismo nella colonia Europa, al punto che l’entrata della Finlandia e della Svezia nella Nato deve essere considerata l’esito finale di un più lungo processo di avvicinamento e compattamento ideologico.

Nella decisione di rendere il servizio militare obbligatorio anche per le donne, a partire dal 2026, la Danimarca è seguita alla Svezia e alla Norvegia. La leva obbligatoria passa da 4 a 11 mesi e inoltre la coscrizione riguarderà ora anche le donne.

Storicamente la guerra combattuta è sempre stata quasi esclusivamente appannaggio degli uomini. Ovviamente ogni tentativo di sostenere che la spiegazione di ciò dovrebbe essere ricercata nella maggior aggressività dei “maschi” è ridicolo e sessista; e trova, per altro, immediata smentita nella lunga schiera di donne di potere o guerrafondaie del passato come del presente. Chiunque sia non sessista in tutte le direzioni, comprende bene che il militarismo e la sete di potere, esattamente come l’intelligenza, sono caratteristiche individuali, non del sesso. Il motivo dell’esclusiva maschile della guerra combattuta costituisce, piuttosto, un aspetto della divisione sociale del lavoro fondato in senso storico originario sulla sproporzione della forza fisica tra i due sessi. Non è un caso se, nell’attuale cornice ideologica che ha i suoi architravi nel femminismo neoliberale e da ultimo nel transumanesimo, si pretende di ignorare la diversità nella forza fisica, cioè un dato di natura oggettivo perché biologico, in nome dell’equiparazione astratta tra i sessi al centro dell’ideologia neoliberale. Proseguendo su questa logica, del resto, il transumanesimo predica appunto il superamento della corporeità. Nell’auspicata fusione tra l’uomo e la macchina, la corporeità e l’identità sessuale sono un ostacolo del quale ci si può e ci si deve sbarazzare. Tant’è vero che anche alcune femministe accorte si sono rese conto delle conseguenze dis-umanizzanti che si nascondono dietro alla de-sessualizzazione perseguita dal trans-umanesimo.

Così, invece di ragionare sulle vie per raggiungere la pace, invece di investire sulla difficile strada della cooperazione nel mondo multipolare in via di definizione, l’Europa preferisce creare le premesse per ingrossare il reclutamento di massa. Le pari opportunità si legano strettamente alla militarizzazione in corso, di cui rappresentano un valido ombrello ideologico. Da anni le spese militari occupano una quota crescente del bilancio dei principali Stati europei, che allo stesso tempo disinvestono nella scuola e nella sanità, colonizzate da quelle stesse logiche che spingono alla guerra.  Come se non bastasse, l’UE sta compiendo passi significativi verso l’unificazione della difesa e in particolare, in prima battuta, della produzione militare. Mentre la colonia Europa è impantanata in un conflitto contro la Federazione russa voluto soprattutto dagli Stati Uniti; e mentre sono stati profusi sforzi propagandistici enormi per presentare il razzismo occidentale (prima islamofobo, poi russofobo, sempre anti-palestinese) come difesa della democrazia liberale e dei suoi valori, tra i quali spiccano appunto il femminismo neoliberale e la parità di genere, vuoi che le donne non debbano entrare direttamente in una partita nella cui costruzione mediatica sono state usate come pedine essenziali? Con il Partito democratico che, in vista di una probabile sconfitta contro Trump nelle elezioni presidenziali del prossimo novembre, non sa bene che pesci prendere sulla guerra in Ucraina, gli Stati Uniti mettono in conto di scaricare in misura crescente gli oneri di una intensificazione del conflitto su una colonia europea gonfia di russofobia e armata fino ai denti.

Vengo ora brevemente al secondo punto evocato in partenza: il modello scandinavo come cinghia di trasmissione nella colonia europea dell’ultra-atlantismo e del neoliberalismo. Tale ruolo si rende utile perché proprio i paesi dell’Europa mediterranea presentano delle sacche di resistenza che hanno radici storiche, culturali e geopolitiche. Si vedano in proposito i buoni rapporti che proprio l’Italia ha saputo in passato coltivare sia con il mondo arabo che con la Russia.

Sono legato ai paesi scandinavi, e in modo particolare alla Danimarca, da ragioni personali e di formazione. Ho trascorso a Roskilde, la più antica capitale danese, situata a poche decine di chilometri da Copenaghen, due semestri di studio a cavallo della laurea; un’esperienza che mi ha lasciato un segno profondo, al punto da spingermi prima ad avviare lo studio della lingua danese, poi ad approfondirla fino a diventare traduttore di una lingua non comunemente studiata in Italia. Mi restano molti ricordi straordinari che difficilmente potrei racchiudere in breve. Posso solo provare ad andare in ordine sparso. L’ottimo clima relazionale sul lavoro. La splendida biblioteca reale di Copenaghen. L’eleganza che profuma di partenze del quartiere di Nyhavn. La luce arancione sempre obliqua, quasi soffusa. La simbiosi viscerale dei danesi con il bosco. Le lunghe e tranquille passeggiate in bicicletta.

Di sicuro i paesi scandinavi hanno sempre subito l’influenza del modello culturale degli Stati Uniti, percepibile anche nei sistemi di istruzione. Forse negli ultimi tre decenni il ferreo individualismo, agli antipodi della solidarietà e della centralità della famiglia dei paesi mediterranei (che da noi svolge funzioni di supplenza dello Stato nel campo della solidarietà sociale), e da sempre al centro dell’etica nordica, si è prestato alla deriva individualista orizzontale nel senso deteriore del neoliberalismo. Non penso si trattasse di un esito inevitabile. La difesa dell’individuo, nelle sue versioni migliori, ha prodotto alti risultati, quali si riflettono da una parte nella grande filosofia della singolarità di Kierkegaard, (una reazione contro l’invadenza del “sistema” hegeliano che rendeva gli individui subalterni), dall’altra nella conquista dei diritti al centro dell’azione politica delle socialdemocrazie (quando erano ancora degne di questo nome), possibile quando l’invalicabilità della dignità individuale trova radicamento nell’idea di collettività.

Penso, invece, che l’egemonia atlantista e politicamente corretta abbia reso tutto peggiore, esaltando gli elementi ad essa più compatibili nell’individualismo nordico. I Paesi scandinavi hanno cifre da record sulla disforia di genere (percepire come proprio un genere diverso dal sesso biologico) tra i ragazzi nella fascia compresa tra i 13 e i 17 anni. Le diagnosi sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi quindici anni. Il fenomeno è stato agevolato, tra l’altro, da una legislazione favorevole ad anticipare l’età del consenso per accedere ai trattamenti chirurgici per la transizione di genere. Si tratta, come si vede, di uno sviluppo verso il quale l’individualismo nordico in certo modo poteva orientarsi o comunque essere ricettivo. Ma l’impatto dirompente è avvenuto al punto di incontro con l’ideologia mercantile, globalista, neoliberale e politicamente corretta che è penetrata in profondità proprio nelle società europee economicamente più avanzate. Proprio la socialdemocrazia, ormai sinistra di sistema, ha offerto ampia e utile sponda.

Insomma non mancano i segnali che testimoniano come la via imboccata non costituisca affatto un mondo perfetto.

Eppure, Il modello scandinavo esercita una indubbia attrattiva sui semi-colti italiani, dai quali è visto come somma virtuosa di tutti quelli elementi che mancherebbero alla sempre disgraziata Italia: educazione, rispetto delle regole, standard di vita elevati come diretta e meritata conseguenza ecc.. Questo schema si basa su una grossa semplificazione e difatti si accompagna alla mancanza di conoscenza della realtà scandinava, della sua storia e dei contesti specifici, ma pazienza: il modello tiene lo stesso, alimentato tra l’altro dalla diffusa propensione nazionale all’autorazzismo esterofilo, per cui gli altri non possono che essere migliori. Si aggiunga, ovviamente, proprio la “parità di genere”, altro tassello immancabile e risultato continuamente esibito della superiore civiltà scandinava. E quindi?

E quindi tutti alla guerra per procura. Uomini e donne finalmente parificati in armi!

Da qualche giorno circola in rete il meme che abbiamo scelto come immagine per corredare questo articolo. Contiene alcuni elementi di verità: la Scandinavia come mezzo per… meglio cetriolizzare l’Europa.

 

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3 commenti per “Il ruolo dei Paesi scandinavi nella colonia europea

  1. Giacomo
    18 Marzo 2024 at 22:48

    Conosco abbastanza anch’io il modello nordico perché ho lavorato in Danimarca e Svezia diverse volte dall’epoca del dottorato e tutt’ora ho amici che vivono in quei paesi. Diciamo che in linea di massima concordo sull’affermazione che il virtuoso modello nordico sia del tutto diverso da quello che viene osannato nelle leggende metropolitane. Vi è un diffuso nazionalismo e sciovinismo, persino all’interno degli stessi paesi esistono differenze di condizione (lo Jutland per i danesi è come il mezzogiorno d’Italia). Ma a parte questo l’individualismo non ha portato ad una parità di genere reale, in media gli uomini fanno mestieri da uomini e le donne mestieri da donne, questa è insieme con l’elevata violenza che esiste in questi paesi, una delle contraddizioni del modello nordico.
    Una mia amica italiana che vive a Goteborg mi raccontava che agli anziani viene dato un bastone, perché il sistema sanitario pubblico non spende soldi per uno che a breve dovrebbe finire nella tomba; la stessa amica mi raccontava che “guai a farti vedere sul lavoro se hai appena avuto un figlio” saresti considerata una “cattiva madre”, persino lei che era una ricercatrice e non aveva orari fissi, doveva frequentare l’istituto solo per poche ore al giorno da quando aveva avuto una bambina, e questo per un intero anno (tanto dura la maternità in Svezia).
    Al tempo in cui ho frequentato i paesi nordici uno dei problemi fondamentali era l’alcolismo che è una vera emergenza sociale; di notte passeggiano puoi incontrare anche qualcuno non abbastanza brillo da farsi i fatti suoi, e non è piacevole (esperienza personale).

    Riguardo più specificamente alla questione delle esercito solo due considerazioni:
    1) le donne coscritte possono stare tranquille che non faranno mai parte delle unità di assalto per ovvie ragioni fisiche (neanche le tanto celebrate israeliane lo sono), ma non solo, anche nessuna pilota donna sarà mandata in combattimento per quanto brava possa essere, il rischio di finire come donna dietro le linee nemiche non è ammissibile per nessun comandante (e non perché i ‘selvaggi’ farebbero la festa alla bella, ma per mere ragioni fisiche un uomo se la cava certamente meglio a livello di fratture, resistenza, etc.). La coscrizione femminile ‘fa tanta’ parità di genere, ma è uno specchietto per allodole;
    2) il discorso su esercito di leva o esercito di professionisti è un problema annoso, naturalmente è orrido che un esercito popolare sia messo negli ingranaggi di una coalizione a guida esterna (leggi US o in futuro UE), ma un ‘vero’ esercito resta sempre un esercito popolare perché solo quello può avere l’interesse a difendere la propria gente, mentre i professionisti possono solo prendere ordini dalla catena di comando essendo del tutto scollegati dal popolo. La scelta della Danimarca, rispetto a Norvegia e Svezia, per quello che ne so, prima di quest’ultima riforma, era una via di mezzo, semi-professionale, in cui solo uomini/donne selezionati venivano arruolati e ben pagati (si parlava di 1500 €/mese).

  2. armando
    20 Marzo 2024 at 19:18

    una sola osservazione: il fatto che le donne siano chiamate al servizio militare significa che avranno uguali stipendi e opportunità di carriera degli uomini, non certo che saranno mandate in prima linea o impiegare in missioni pericolose. Viva la parità di genere!!!!!

    • Fabrizio Marchi
      20 Marzo 2024 at 20:33

      Infatti. Non solo. Le prove di selezione vengono effettaute con standard inferiori a quelli maschili…

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