La Lega Nord 3.0

Dal dialogo fra Matteo Salvini e Alain de Benoist all’evoluzione lepenista dell’Alberto da Giussano

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Superando il 6%, la Lega Nord di Matteo Salvini si posiziona al quarto posto nella graduatoria dei partiti più votati dagli italiani alle elezioni europee 2014. E dire che il Carroccio che gli era stato lasciato era traballante, piagato da un lascito tutt’altro che nobile: le diatribe di potere dell’ultima gestione del senatur Bossi nel “cerchio magico”, capace di svendere gli obiettivi del partito per il piatto di lenticchie berlusconiano, le vergognose figure mediatiche dell’illetterato figlio Trota e soprattutto i fatti di malaffare che hanno coinvolto un partito esploso nel 1992 per archiviare le ruberie pentapartitiche, e le collusioni a livello locale con la ‘ndrangheta calabrese. Neanche il partito 2.0 del governatore della Lombardia Roberto Maroni era riuscito a risalire la china in così poco tempo. Il trionfo salviniano e della sua nuova Lega è avvenuto grazie ad un forte spostamento a destra dell’asse ideologico del partito. La campagna “no euro” è stata importata attorno ad una piattaforma nazionalpopulista simile a quella di soggetti populisti di destra come il Fpö di Heinz-Christian Strache, l’erede del “fascista yuppie” Jörg Haider, di Marine Le Pen e del suo Front national, del Pvv di Geert Wilders e dei localisti fiamminghi del Vlaams Belang, con cui la Lega ha rapporti, opzione che ha senz’altro pagato in termini di voti. Appena confermato il boom leghista, Salvini ha subito incontrato la leader populista francese per un faccia a faccia per discutere sulle mosse da coordinare assieme a Strasburgo. «Il nostro e’ un clamoroso risultato, ci davano per morti – sono le prime parole del segretario leghista –. Ci dicevano che eravamo estremisti e invece abbiamo fatto una campagna elettorale moderata, basata sui contenuti e siamo stati premiati. Grillo invece ha ‘sbroccato’ e i risultati si sono visti?». «Voglio parlare col 40% degli italiani che è rimasto a casa che a Bruxelles saremo alleati con Marine Le Pen», toccando così pure il nodo scoperto dell’astensionismo, sottovalutato da una stampa asservita all’altro Matteo, Renzi, il premier rottamatore. L’apparentamento con il Die Freiheitlichen, partitino nazionalpopulista sudtirolese che si ispira al Fpö, conferma ulteriormente tale svolta in senso lepenista: ma da dove parte? Per capirlo bene dobbiamo fare un salto indietro di qualche mese, durante le primarie del Carroccio, quando il rampante Salvini sfida l’anziano Bossi. È lì che il giovane candidato, con l’aiuto di alcuni circoli culturali di area «fascio-leghista», costruisce l’immagine della Lega Nord come di un partito vicino alle posizioni anti-euro di Marine Le Pen.

Siamo a Milano, ed è la sera del 2 dicembre 2013. Il convegno inizialmente si sarebbe dovuto svolgere nella Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi. Ma non era abbastanza capiente, e il pubblico milanese, circa duemila persone fra quelli seduti e quelli in piedi, composto principalmente da militanti della Lega Nord e di Fratelli d’Italia e qualche esponente della destra radicale meneghina (come Marco Mantovani, segretario milanese di Forza nuova), è stato fatto convergere nella più capiente Sala del Consiglio Provinciale. Motivo dell’incontro? Il circolo culturale “Il Talebano”, diretto dal giovane moderatore Vincenzo Sofo, consigliere nella zona 6–Milano per la Lega Nord, ha indetto il terzo di una serie di incontri coi vertici del Carroccio alla presenza del candidato alla segreteria del partito ed eurodeputato Matteo Salvini, lo studioso di economia Marco Della Luna e il filosofo di punta della Nouvelle droite francese Alain de Benoist (il cui intervento si fondava sul libro Sull’orlo del baratro, edito nel 2012 dall’Arianna Editrice di Eduardo Zarelli, casa editrice bolognese “non conforme” che da voce non solo alla Nuova destra, ma che si occupa di localismo, bioregionalismo, “ecologismo profondo”, decrescita, critica all’economia finanziaria, signoraggio bancario e antimodernità). Incontro, quindi, successivo a quelli col giornalista Massimo Fini – fondatore del Movimento zero, il cui Manifesto dell’antimodernità è firmato anche da de Benoist – e con Pietrangelo Buttafuoco, giornalista e scrittore siciliano un tempo di area nazional-alleata, avvicinatosi poi alla Fiamma tricolore di Luca Romagnoli e “infatuatosi” infine di CasaPound e del movimentismo dei «fascisti del III millennio».

Il tema del convegno – attualissimo – era «La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli». Fra il pubblico – ma era presente solo per salutare il filosofo e scappare subito dopo a Bruxelles a una seduta del Parlamento europeo – il plenipotenziario e tramite fra il Carroccio e le destre radicali europee, Mario Borghezio. Una serata interessantissima. Non solo per le critiche e le analisi fatte sul sistema economico liberista impostoci da Bruxelles – condivisibili da chiunque non sia un banchiere o il titolare di una multinazionale – esposte da Della Luna e da de Benoist, ma per l’intervento conclusivo di Matteo Salvini, in corsa alle primarie del Carroccio e, a metà dicembre 2013, incoronato segretario di un partito populista in piena evoluzione, e risalito sulla cresta dell’onda alle ultime elezioni europee.

L’economista Marco Della Luna – che per i tipi di Arianna Editrice ha pubblicato diversi libri contro l’Ue e la dittatura delle banche (come Euroschiavi e Cimiteuro) – e il filosofo Alain de Benoist – cofondatore del Grece, il Groupement de recherches et d’études pour la civilisation européenne, principale think tank della Nouvelle droite, fautore dell’”Europa dei popoli” regionalista – dopo aver ricordato assieme al moderatore Sofo un «anticonformista» scomparso di recente, il filosofo marxiano Costanzo Preve, hanno iniziato il loro interessante intervento descrivendo gli elementi storici che hanno contribuito a creare le odierne condizioni del Turbocapitalismo, un capitalismo dai tratti disumani, sconnesso dall’economia reale e disciplinato esclusivamente da logiche antinazionali e guidato da speculatori di borsa il cui obiettivo è quello di annichilire i popoli attraverso la morsa usuraia del debito pubblico. Questo “nuovo” liberismo, soggiogato ad una nuova classe di imprenditori senza più radici né legami di tipo territoriale, scaturirebbe quale inevitabile risultato di scelte politiche che negli anni passati, dagli anni ’80, hanno introdotto la progressiva deregolamentazione e la successiva delocalizzazione. Gli interessi del debito pubblico, che crescono esponenzialmente e che costituiscono un peso sia per gli Stati che per le future generazioni, sono il mezzo che i vertici dell’Unione europea – vertici che nessuno ha mai eletto, e che si ergono a tecnocrazia sui popoli d’Europa – hanno per assoggettare un’Europa in crisi economica, a cui si aggiunge l’immigrazione dal Terzo Mondo, con le multinazionali che, in crisi di profitto, affamano quei paesi determinando le cause per una migrazione di popolamento deleteria per loro e per i popoli autoctoni.1 La Nouvelle droite, dalla metà degli anni ’80, in un’opera di restyling ideologico, ha smussato i toni apertamente reazionari degli inizi al punto di perdere settori non indifferenti del Grece, capaci di accusare il filosofo di esser diventato «comunista». De Benoist iniziò a rompere, almeno ufficialmente, col neofascismo europeo nonostante la sua militanza nell’Oas, esperienza che si fondava sulla nostalgia della grandeur francese in Algeria e sul razzismo biologico, che presupponeva la superiorità dell’uomo bianco.2 Come spiegavo in un’altro mio scritto, Alain de Benoist

«abbandonò questo approccio per il cosiddetto differenzialismo etnopluralista “culto della differenza”, sposando l’antimondialismo/antiglobalizzazione, fenomeno che impoverirebbe il Terzo Mondo, innescando sia l’immigrazione che il melting-pot imposto, cioè l’Occidentalismo e American way of life. Il Grece abbandonò anche il culto acritico verso la scienza e verso il progresso illimitato (positivista e progressista, senza però tornare ad un bieco reazionarismo) e l’idea secondo cui il nemico principale era il comunismo, ormai in crisi. Il nemico, da quel momento, erano gli Stati Uniti, che esportavano la loro democrazia col commercio, con la globalizzazione e con le armi, dando all’Europa l’aspetto di una Disneyland senza identità. Tutte critiche simili a quelle della sinistra radicale neomarxista. De Benoist, pur di rinnovare il Grece, iniziò ad interessarsi a dottrine nate a sinistra, come l’ecologismo, la decrescita e il comunistarismo, sintetizzandole con suggestioni identitarie di destra. Il filosofo arrivò a queste teorie dopo aver intavolato un dialogo proficuo con diversi intellettuali della “nuova sinistra”, come Alain Caillé e Serge Latouche, animatori del Mauss (Movimento antiutilitarista nelle scienze sociali) e ideologi della “decrescita felice”. De Benoist, inoltre, iniziò a vedere con un certo interesse la nascita dei Verdi, precedentemente snobbati, a collaborare con «Telos», rivista della “sinistra critica” statunitense di Noam Chomsky, e ad animare da 1988 «Krisis», periodico aperto a personalità di sinistra».3

Certi articoli del “maestro” e del “guru” della Nouvelle droite – come Alain de Benoist è stato definito da Salvini all’inizio del suo intervento – che si trovano su riviste di area grecista come «Éléments», «Nouvelle École», «Krisis» utilizzano la stessa identica sintassi antiliberista che potremmo ritrovare sulle pagine del quotidiano comunista «il manifesto» o su «Le Monde diplomatique», il mensile francese della «sinistra colta». Ma un’analisi accurata dell’intervento debenoistiano rivela che il pensiero del filosofo è tutt’altro che “progressista”. De Benoist attacca senz’altro il Turbocapitalismo alla pari di molti filosofi marxisti, ma lo fa arrivando a dire che è fenomeno «sconnesso dall’economia reale» e che per superarlo suggerisce di tornare alle comunità locali – suscitando il plauso del pubblico leghista, in astinenza di secessionismo dai tempi dell’alleanza con la Casa delle libertà – e ridare potere alle comunità interclassiste di «produttori» (perchè è questa, in centoni, la soluzione auspicata dalla Nouvelle droite e dai circoli vicini al Grece). Soluzione che non può che interessare il pubblico leghista, composto da moltissimi piccoli imprenditori spaventati per gli squilibri creati dalla globalizzazione, e che rivela la natura esplicitamente classista del suo pensiero che in teoria, col desiderio di creare una «terza via» tramite “nuove sintesi” fra valori di destra e di sinistra, supera idealmente le due categorie, ma nel concreto si sposta a destra dal momento che fa altresì leva su un pubblico radicato in una zona d’Italia (il Nord-Est) composto da un forte tessuto economico-sociale formato da piccole e medie imprese che, con l’appoggio alla Lega, inizia a percepire la regione come una sorta di «comunità d’interesse dei produttori padani» (in senso propriamente interclassista) e al contempo come una «comunità etno-culturale» (una «comunità di lavoro etnicamente coesa»).4

L’analisi che de Benoist fa sulla crisi economica, è condivisibile solo a metà. Perché se è vero che il problema da una parte sono le banche, l’euro o il capitalismo finanziario apolide, l’analisi di de Benoist “dimentica” che il sistema produttivo vigente tout court è fondato sul libero mercato e sul sistema capitalista e, quindi, sul profitto. È superando tale modello che si uscirà dalla crisi, non replicando in forma ridotta all’interno degli steccati di una mitica “piccola patria” regionale o in una Europa dei popoli e dei produttori, autarchica verso l’esterno ma altrettanto liberista e produttivista verso l’interno in una realtà localista in cui comunque si perpetra lo sfruttamento del lavoratore. La soluzione euro-federalista auspicata da Alain de Benoist inoltre, si appella a valori ancestrali e tradizionali, cioè il Mito dell’Impero che affonda le sue radici in quello carolingio e ghibellino. Nel libro L’Impero interiore,che raccoglie alcuni saggi sul mito, l’autorità e il potere in Europa, la riflessione del filosofo normanno parte dalle primissime forme storiche di consenso e di autorità politica – riprendendo temi dal libro Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola, la “bibbia” del tradizionalismo antimoderno, anch’egli alfiere di un’Europa imperiale e federale –,5 per approdare alla visione di un nuovo autoritarismo imperiale capace di garantire tutte le differenze comunitarie ma anche una capacità superiore di sintesi. La polemica anti-illuministica della Nouvelle droite è fondamentale: la scomparsa del mito in nome della razionalità e dell’approccio materialista è una perdita per l’Europa, mentre il mito invece è un patrimonio fondamentale ed è sempre spendibile – anche a livello politico – per vivificare il sistema di relazione tra individui e comunità etniche che animano il Vecchio continente. Il riferimento al mito è presente da sempre nella Nuova destra, come spiegava Marco Tarchi nel 1981 al convegno «Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale». L’esponente neodestrista sottolineava l’urgenza del «saper creare miti fondatori, quindi di aver capacità mitopoietica, e di saper esprimere una liturgia, una sorta di rito comunitario».6 Così il mito irrazionale dell’Impero, nella lettura fatta da de Benoist, è la risposta alla crisi di rappresentanza e di investitura che costituiscono il punto debole dell’Europa liberale nata a Maastricht: «L’Europa può realizzarsi esclusivamente sulla base di un modello federale, ma un modello federale portatore di un’idea, di un progetto, di un principio, cioè in ultima analisi secondo un modello imperiale».7

Ma è l’intervento di Matteo Salvini a interessarci maggiormente. Perché è questa la tappa fondamentale – assieme ai precedenti convegni indetti dal circolo “Il Talebano” – della citata svolta lepenista del Carroccio. Nel suo intervento – e nelle interviste rilasciate fuori da Palazzo Isimbardi – egli traccia le alleanze europee della “sua” personale Lega Nord partendo dall’alleato più forte, il Front national di Marine Le Pen (il politico non fa riferimenti, però, al piccolo Bloc Identitaire, che si ispira esplicitamente al Carroccio, per ovvie ragioni di convenienza. Fra il “nano” regionalista e un “gigante” nazionalista, Salvini, che pragmaticamente vuole rilanciare un partito in crisi, opta per chi è vincente, ovvero il Front national, che in Francia avanza, arrivando al 26% sottraendo voti al politicamente corretto Françoise Hollande e mietendo consensi fra i lavoratori) e gli altri partiti populisti, alcuni dei quali, come il Vlaams Belang o il Fpö intrattengono da tempo rapporti col neodestrismo: si pensi all’europarlamentare austriaco Andreas Mölzer, ex consigliere politico ed ideologo di Haider, amico di Borghezio e teorico della «Neue Rechte», colonna del mensile neodestrista schmittiano «Zur Zeit» e curatore, assieme a Jürgen Hatzenbichler, del saggio Europa der Regionen, che comprende scritti del leader del partito e di Bossi.8 Questa alleanza escluderebbe sia gli ungheresi di Jobbik che i greci di Alba Dorata, liquidati da de Benoist in quanto «impresentabili» perché filonazisti. Un’unità composita di elementi politici destrorsi così diversi fra loro, che va dai localisti etnoregionalisti della Lega, del Vlaams Belang e del Fpö, ai nazionalisti del Front fino ai “libertari” del Pvv, antislamici perché nel mondo musulmano le donne non hanno diritti, aperti sostenitori delle battaglie abortiste, ha come minimo comun denominatore la creazione di un’“Eurodestra” al Parlamento europeo, e non il localismo o il regionalismo. Per queste battaglie – e lì si che il Bloc Identitaire di Fabrice Robert servirà un domani – c’è sempre tempo. Ora il nemico comune è l’Unione europea. Poi si vedrà. Perché «Se per portare avanti certi temi a cui tengo – ha detto Salvini – come un’idea diversa di Europa, devo ragionare con la destra, ci ragiono volentieri».9

Salvini inizia indossando virtualmente il berretto rosso dei bretoni, evocativo delle rivolte fiscali nella Francia del XVII secolo e che hanno infiammato la Bretagna per alcune settimane nell’ottobre-novembre 2013, modello per le manifestazioni del Movimento dei forconi in Italia, scoppiate qualche giorno dopo il convegno, che hanno visto, come in Francia col sostegno diretto della Le Pen, la presenza dell’estrema destra. Quella dei berretti rossi, si noti bene, è stata definita da de Benoist in un’intervista rilasciata al periodico online Barbadillo.it come una legittima e inevitabile rivolta contro il Turbocapitalismo. E Salvini il berretto rosso lo “indossa” proprio a suggello dell’alleanza ideologica con il teorico del Grece, dato che è tempo «di iniziare a fare sul serio» e le proteste antifiscali contro Hollande sembrerebbero offrire un ottimo pretesto al leghista rampante. Salvini, infatti, annuncia per il prossimo futuro azioni dimostrative contro Roma e contro l’eurodittatura di Bruxelles: «Dobbiamo prendere esempio dai berretti rossi bretoni che sono scesi in piazza in massa contro l’ennesima imposizione fiscale, loro non si limitano ad urlare ma bloccare le autostrade e immobilizzano la Francia. E alla fine il governo Hollande ha dovuto cedere». Dopo pochi giorni sono scoppiati in Italia, a livello nazionale, i Forconi. È de Benoist a fornire il la per interessanti riflessioni ideologiche che condizioneranno l’intervento salviniano, il che conferma l’esistenza di una sinergia culturale fra il Carroccio, i movimenti indipendentisti europei schierati a destra e la Nouvelle droite. Ovvero di quei contatti che in Italia risalgono ai primi mesi del 1993, poco dopo la firma del Trattato di Maastricht.

Oltre all’aperto elogio del Front national e di altre formazioni populiste di destra, Salvini elogia anche la Russia di Vladimir Putin, dicendo che forse è il caso che l’Italia inizi a guardare a Mosca, dove regna «la legge e l’ordine». Dimenticando che in nome della legge e dell’ordine, Mosca non è senz’altro un baluardo di democrazia rappresentativa, e i giornalisti che non si piegano ai voleri dell’autorità vengono uccisi sull’uscio di casa … Ok! In un futuro, nell’ottica di Salvini per la nostra incolumità scriveremmo tutti per «La Padania»! Al congresso leghista del Lingotto, a incoronare Salvini segretario, vi erano infatti come ospiti d’onore – oltre alle delegazioni populiste di mezza Europa – rappresentanze della Russia putiniana, ovvero Viktor Zubarew, responsabile delle relazioni internazionali del governo, e l’ambasciatore russo all’Onu Alexey Komov, due che non sembrerebbero né campioni di democrazia né campioni di diritti civili.

«Il Vescovo di Como Maggiolini», ricorda inoltre Salvini, «mi aveva rimproverato per l’atteggiamento troppo moderato della Lega [verso gli immigrati]». «Dobbiamo alzare il tiro e iniziare a far capire a Bruxelles e ai suoi gabellieri di Roma che la pazienza è finita». La Lega Nord che ha in mente il rampante Matteo Salvini non è più la Lega dell’anziano leader Umberto Bossi, che predicava il fuoco alle polveri contro «Roma ladrona», capace di intrallazzare con la destra radicale e coi fondamentalisti cattolici, come avveniva nella sua fase di isolamento negli anni ’90, ma poi, stretti i contatti col centro-destra, pronta ad archiviare tutto, secessione, baracche e burattini, per entrare nel governo del Cavaliere e predicare all’unisono una più blanda «devolution». No. La Lega Nord di Salvini non è quella 2.0 di Maroni, ma è una formazione 3.0 che ha per programma l’«indipendenza e [la] disobbedienza», una politica – concetto oggi molto di moda – fatta con «un occhio di riguardo per la nostra gente», capace di andare contro ai poteri forti di Roma e di Bruxelles, che spremono il Nord fino all’ultima goccia, una Lega «indipendentista a casa propria, […] con l’obiettivo di salvare il lavoro rottamando l’euro a Bruxelles». Salvini si scaglia contro la dittatura degli “eurocrati”, che col neoliberismo si presenta come un “totalitarismo dal volto umano”: «Se ci muoviamo in questa direzione dobbiamo aspettarci una dura repressione da parte di chi non accetta il dissenso», continua Salvini. «C’è chi è convinto, come gli europirla in Ucraina, che la libertà di espressione sia tutto, per poi ritrovarsi schiavi nell’Europa delle agenzie di rating e delle banche. Hanno distrutto il ceto medio, riducendoci tutti da cittadini a consumatori se non addirittura debitori». Questo Matteo Salvini “di lotta e di governo”, antiborghese al punto giusto, è però rispettoso dell’ordine naturale, un rispetto che si tramuta, all’occasione, in sana omofobia padana, plaudendo al referendum che in Croazia ha bocciato il matrimonio gay, visto che «preferisco fare il cattivo che inginocchiarmi al politicamente corretto», chiosa Salvini.10

Quella che abbiamo di fronte, visto che il moderatore del convegno, il neoleghista Vincenzo Sofo, definisce il suo partito come desideroso di andare «al di là della destra e della sinistra» e desideroso di dar vita a “nuove sintesi” per costruire un’Europa dei popoli, è una Lega diversissima da quella che conoscevamo. Approfittando della crisi economico-finanziaria, la “nuova” Lega Nord sta cercando di riempire il vuoto lasciato a destra dopo la scomparsa di Alleanza nazionale e di fronte all’esistenza di una galassia composta da tantissimi neo e postfascisti, così multivariegata che raccapezzarsi è veramente un’impresa. La destra postfascista, inoltre, che sta cercando di ricostruire il partito nato a Fiuggi che qualche anno fa ha ucciso sacrificandolo sull’altare dell’interesse berlusconiano,11 non riuscirà a ricalcare il percorso finiano: Fratelli d’Italia di La Russa e Meloni è troppo autoreferenziale, e il fatto che si autodefinisca sempre e comunque «centrodestra nazionale», non fa che accentuare il “disgusto” di un certo elettorato neofascista, stufo di tuffi carpiati e di rinnegamenti storico-ideologici e di nuove alleanze nazionali 2.0. Per i fascisti, in sintesi, il male assoluto è Fiuggi, come testimoniano molti forum neofascisti su Internet, nei quali i vari ex camerati Fini, Gasparri, La Russa, Alemanno, Urso e compagnia cantante vengono dipinti come traditori e «badogliani». Giorgia Meloni ad esempio, che su quotidiani come «il Giornale» è stata dipinta come la “Le Pen italiana”, si dimostra agli occhi del popolo “nero” una “bufala”. La Le Pen originale – come Salvini – vuole l’uscita immediata dall’eurozona, mentre l’ex presidente della Camera ed ex leader di Azione giovani, dato che milita in un partito che non ha il coraggio di definirsi più “di destra”, predica tutt’al più riforme di struttura per dare più sovranità all’Italia senza rompere definitivamente né con Forza Italia (nel Ppe con la Merkel) né con l’Unione europea. La guerra all’euro, se si escludono sigle velleitarie che non si sono presentate alle elezioni europee è portata avanti solo dalla Lega Nord, che, da maestra di vero populismo, cavalca la crisi economica parlando alla pancia della gente, che non vuol sentir più parlare di sacrifici, di austerity e di riforme, proposte, per di più, dall’immancabile “casta” dei politici “scrocconi” e corrotti.

La Lega, politicamente scorretta, appoggia la rivolta dei forconi, ed è, per così dire, dalla parte della gente (intesa in senso interclassista). Questo vuoto viene riempito con l’adesione di fette della “fascisteria” italiana al Carroccio, le quali, indipendentemente dall’origine dei suoi aderenti, vedono nella Lega Nord un mezzo per far valere le proprie battaglie identitarie senza per questo apparire apertamente fascisti. Questo è evidente dalle dichiarazioni del prof. Roberto Chiarini, docente di storia dei partiti politici alla Statale di Milano, il quale, nel suo intervento durante il ciclo di conferenze organizzato all’Università di Pavia dal gruppo di studi europeisti TRAM:E relativo alla riemersione delle destre radicali e populiste in Europa tenutosi il 25 e 26 novembre 2013, ha evidenziato che soltanto all’estero i politologi classificano il Carroccio come un partito populista di destra. L’opportunismo politico italiano, invece, caratterizzato da alleanze che sarebbero ritenute inaccettabili dai reciproci elettorati qualora la verità ideologica fosse rivelata, ha tutto l’interesse di non dire che il Carroccio è un partito di estrema destra, visto che i fasci littori e le svastiche non ci sono. L’adesione di importanti fette del neofascismo alla Lega Nord è evidente dalla presenza di personalità come Mario Borghezio, con un passato in Jeune Europe dell’ex SS Jean Thiriart, a figure di Ordine nuovo come Salvatore Francia e alla “Legione”, l’acronimo della «Lega giovanile nazionale europea», collegata al Fronte nazionale del golpista Junio Valerio Borghese, leader della X MAS e, negli anni ’80, collaboratore di «Orion», il mensile della destra radicale antimondialista filoislamica e antiebraica, noto per esser stato il più noto laboratorio del «nazionalcomunismo» italiano.12 Fu lo stesso Maurizio Murelli, fondatore del periodico ed editore di area (dirigeva la Società Editrice Barbarossa e oggi l’AGA Edizioni), a consigliare all’avvocato torinese e ad altri giovani vicini al suo primissimo gruppo, il Centro culturale Barbarossa di Saluzzo, di aderire nel 1987 a Piemont Autonomista (e poi nella Lega Nord nel 1991), visto l’interesse dell’estrema destra nazional-rivoluzionaria – da sempre vicina alla causa islamica in chiave antisionista/antisemita – per il regionalismo (proprio come la Nouvelle droite, da cui prese alcuni spunti riflessivi), anche se successivamente, dopo l’11 settembre 2001, di fronte alla conversione antislamica, filoccidentalista dell’esponente leghista, questi definì Borghezio «personaggio stomachevole»:

«Un personaggio stomachevole che riempie sempre più spesso il video è l’onorevole padano Mario Borghezio, che oggi fa della guerra al terrorismo e all’Islam la sua bandiera di lotta. Un altro che ha fatto presto a cambiare cavallo. Il lettore deve sapere che tra il 1985 e il 1990 l’onorevole Borghezio era ospite a casa mia praticamente tutte le settimane. Fu l’ideatore di «Orion-finanza», supplemento a «Orion». Anch’io passavo per terrorista e più di me passava per terrorista Claudio Mutti che amorevolmente Borghezio soprannominava “Muttim” e della cui amicizia, fin dai tempi di Giovane Europa, menava vanto. Dunque, oltre a frequentare amabilmente me, Salvatore Francia (più volte accusato di essere il terrorista numero uno di Ordine nuovo), Adriana Pontecorvo (sempre di Ordine nuovo) e Oggero di Carmagnola (che stampava una rivista intitolata, ma guarda caso, «Jihad»); oltre ad accompagnarsi a sedicenti “colonnelli” del fantomatico Stato del Sahara Occidentale Spagnolo; oltre ad essere accusato lui stesso di atti terroristici (e, mi pare di ricordare, processato) per una lettera anonima della “Falange armata” inviata all’allora giudice di Torino Violante; ebbene, a parte queste “pericolose” ed “equivoche” frequentazioni ciò che lo [a Borghezio. Ndr] contraddistingueva era la sua ideologia ferocemente antiamericana e antigiudaica. Oggi, e cito lui perché è il più insopportabile nei suoi atteggiamenti provocatori e mistificatori di “bassa lega”, è diventato come molti altri campione dell’intransigenza anti-islamica».13

Borghezio, era stato espulso dal gruppo parlamentare euroscettico Europa per le Libertà e la Democrazia (ma non dal Carroccio) per un’intervista rilasciata nel maggio 2013 a «Panorama» contro il meticciato. «Io – sostiene Borghezio – esalto la razza indoeuropea. Anzi, diciamo etnia. Il termine razza è meglio non usarlo». L’eurodeputato si vantava inoltre – con fare alquanto neocolonialista – di esser stato in Zaire negli anni ’70 al servizio del dittatore Mobutu e di aver provato il «prodotto locale», cioè le bellissime donne del posto, «profili europei», «nulla a che vedere con la Kyenge», ovviamente usando le «dovute precauzioni» per non sentirsi in colpa, per non prendere malattie e non dover far nascere dei «bastardi meticci». Criticando l’ex ministro dell’integrazione Kyenge, sposata con un italiano e con prole, e quindi “colpevole” di quel meticciato «che inquina la differenza fra le razze» e che «è peggio di una bestemmia», Borghezio si è definito fieramente «differenzialista», concetto coniato negli anni ’70 dal Grece e usato dalla Nouvelle droite in sostituzione dell’ormai impopolare «razzismo», aggiungendo: «Io sono un tradizionalista monarchico. L’ultimo degli indipendentisti. E penso che solo un paese di merda come l’Italia può dimenticare un genio come Gianfranco Miglio. Detto questo, i regimi totalitari hanno fatto cose terribili ma anche cose molto buone e positive. Per esempio i nazisti furono i precursori dell’ecologismo. Ma mi considero più a destra di Dio. Come Julius Evola, più a destra di noi non c’è nessuno. Addirittura». Sul golpista Junio Valerio Borghese, responsabile dei rastrellamenti di partigiani, di civili ed ebrei durante la guerra, Borghezio sostiene che «era un uomo straordinario. Oggi se ne sente il bisogno. Voleva mettere a posto l’Italia che era nelle mani dei comunisti»14et voilà, la Lega Nord di Matteo Salvini, un partito di lotta, di governo e di neoapartheid.

Riflettiamo: sono anni che molti intellettuali progressisti accusano de Benoist e il Grece di essere collegato più o meno con la destra radicale o il Front. Questi si è sempre difeso sostenendo che per lui la differenza è l’esaltazione delle identità «di tutti», e di non volere l’espulsione degli immigrati come vuole il Front, ma la creazione di tante comunità in Europa dove questi possano decantare la loro identità etnoculturale.15 Ma allora, che ci fa seduto al fianco di Salvini, che si vantava di ispirarsi al Front national e che non espelle dal suo partito un’esponente come Borghezio, che invece viene candidato nelle circoscrizioni del Centro Italia per intercettare il voto dei fascisti orfani di una formazione esplicitamente neofascista? Heinz-Christian Strache, invece, di fronte a un Mölzer che ha definito l’UE un “Negerkonglomerat”, ha consigliato all’eurodeputato di farsi da parte!16 Come mai in Francia de Benoist intrattiene rapporti col Bloc Identitaire (quelli delle zuppe identitarie a base di carne di maiale da distribuire ai poveri autoctoni, discriminando così quelli di origine islamica… tanto non sono francesi!), tutti contatti documentati dagli stessi interessati e dalla stampa dell’Esagono?17 Non sono controproducenti per la legittimità intellettuale della Nuova destra tout court, che, in base ai libri scritti da de Benoist, non sembrerebbe ridursi al mero populismo razzista e all’insulto ai danni dell’avversario straniero?

Per capire bene il rapporto fra destra radicale e leghismo, senza addentrarci nel groviglio di contatti fra destra radicale – missina, postmissina e non –, e il Carroccio e le sue associazioni collaterali, su cui nessuno ha ancora scritto veramente nulla, basta fare l’identikit del circolo “Il Talebano”, quello che ha organizzato il convegno fra Salvini e de Benoist. Il direttore è il giovane dott. Vincenzo Sofo, di origini calabresi, che aderisce al Carroccio dopo un lungo «tirocinio» nella destra radicale meneghina. Perché la famiglia, scrive Sofo sul suo blog, gli ha trasmesso un «forte senso di appartenenza». Che ci fa un calabrese, esaltatore di soppressata e di piccantissima ‘nduja, nel partito più antimeridionalista che la storia ricordi, quello che contro l’Islam coniò il motto «Si alla polenta, no al cous cous»? La Lega Nord, secondo Sofo, è «il solo movimento presente in Italia che si batte per la salvaguardia delle identità e delle tradizioni locali».18 Dopo essersi avvicinato a 14 anni al gruppo Alleanza studentesca – successivamente Giovane Europa –, gruppo che gli permette di coltivare contatti umani utili per la sua successiva carriera politica nel Carroccio e dove conosce «i valori della comunità, dell’altruismo, del rispetto e della fedeltà alle proprie idee e ai propri valori… rifiutando il concetto di politica come semplice amministrazione del potere», Sofo, dopo una parentesi ne La Destra di Francesco Storace, dove diventa responsabile del movimento giovanile cittadino nel 2007, Gioventù Italiana, abbandona – come diversi fascisti tra l’altro – il partito dell’ex leader della «Destra sociale» laziale perché «romanocentrico, reazionario e non costruttivo». Nel 2009, dopo la costruzione del comitato Viviamo Milano, Sofo crea il circolo culturale “Il Talebano”, laboratorio culturale di estrema destra – nonostante Sofo sottolinei che all’interno della destra radicale cittadina egli si è sempre fatto notare per la sua «posizione originale ed estremamente critica nei confronti del neofascismo» – che auspica alla nascita di un’Europa dei popoli federale che preservi le molteplici identità locali… cose già sentite in Francia da de Benoist e dalla sua scuola di pensiero, la Nouvelle droite:

«Siamo Talebani. Per lo spirito antisistema e radicale. Per la libertà dei popoli dell’Europa. Per uno Stato sovrano federato ad una Nazione Europa. Contro il modello occidentale globalizzato e esasperatamente modernizzato, che annichilisce ogni identità, tradizione e cultura umana e comunitaria. Contro l’Europa della finanza, alla quale opporre un Europa dei popoli, unita dal minimo comune denominatore che attraversa le varie e variopinte patrie del vecchio continente… la solidarietà tra comunità sia il nuovo punto di partenza. Contro la deriva materialista della nostra società, preservando i valori spirituali dell’uomo e della famiglia. Contro l’attuale sistema Italia – centralista, lobbista e corrotto – rivendicando il diritto di ogni piccola patria esistente in Italia di essere riconosciuta nella propria specificità… perché solo tutelando e valorizzando le diversità delle singole comunità si potrà ottenere una coscienza unitaria. Né a destra né a sinistra – schemi ampiamente superati – perché il conflitto odierno e tra chi vuole la mondializzazione e chi difende le specificità locali».19

Possiamo sommare, oltre all’appoggio de “Il Talebano”, quello dell’Associazione Patriae, l’invito di Gianluca Iannone, leader di CasaPound, a votare per il Carroccio, sottolineando di dare la preferenza a Borghezio,20 o l’appoggio del «socialista nazionale» Ugo Gaudenzi, ex leader di Lotta di popolo, che sulle pagine di «Rinascita – Quotidiano di Sinistra Nazionale», a poco più di un mese dal voto europeo scriveva che «Lo sbarramento al 4% […] è il trucco su cui la partitocrazia “nazionale” ha impostato la sua strategia di regime» per rafforzare il suo dominio. Quindi, vista l’inesistenza di serie alternative «nazionali», «Si tratta […] di andare al voto, di scegliere chi sfida a viso aperto l’eurocrazia, il mostro di Bruxelles che taglieggia e priva del futuro la nostra comunità nazionale. […] l’Italia voti per la Lega, al nord, al centro, al sud, nelle sue isole. Si premierà così un movimento nuovo che, oltre ad essere da sempre contrario all’eurocrazia, ha in questi giorni proposto 5 fondamentali referendum, per far riacquistare il diritto alla libertà di opinione (abrogazione della legge Mancino), per regolamentare la prostituzione (sanità, fisco), per abrogare la legge Fornero tagliapensioni, per cancellare l’inutile costosissimo sistema delle 100 e più “prefetture” provinciali italiane, per fermare l’immigrazione, togliendo ai nuovi arrivati i privilegi lavorativi anti-italiani».21

Sono tutte tappe che confermano un’evoluzione politica non solo della Lega Nord, ma dei vari soggetti populisti europei che attraggono frange consistenti della fascisteria, la quale, piuttosto che sostenere sigle politiche ormai velleitarie, opta pragmaticamente per formazioni politiche mainstream capaci di sdoganare temi un tempo poco appetibili al grande pubblico, permettendogli comunque di mantenere la propria sottocultura. La Lega Nord è diventata il Front national italiano? La presenza di un’estrema destra smembrata in decine di sigle ininfluenti e di una destra nazionalconservatrice e postfascista in aperta crisi e incapace di cavalcare il successo di Marine Le Pen perché troppo «perbenista», «politicamente corretta» e di «centrodestra» – e quindi legata alla tanto disprezzata svolta di Fiuggi – e l’evoluzione di una Lega Nord e capace di attrarre frange deluse e agguerrite delle destre sopra elencate, di flirtare coi populisti neofascisti di mezza Europa, coi teorici delle Nuove destre culturali, con le proteste antifiscali dei forconi e presentandosi vicinissima al popolo, alla gente, prendendo anche il voto di un elettorato operaio che un tempo avrebbe votato per la sinistra, dovrebbe essere, per l’informazione, una questione all’ordine del giorno, tanto quanto lo è l’ascesa dell’altro Matteo, il rottamatore rampante. Come mai, invece, sull’argomento regna il silenzio più assoluto?


1. Cfr. A. de Benoist, Sull’orlo del baratro. Il fallimento annunciato del sistema denaro, con una prefazione di M. Fini, Casalecchio di Reno (Bo), Arianna Editrice, 2012.
2. In un’intervista Pino Rauti sostenne: «Stringevamo [i dirigenti di Ordine nuovo. Ndr] contatti con l’Oas e aiutavamo Soustelle nascosto in Alto Adige. Incontravamo Alain de Benoist clandestino perché condannato per un attentato dinamitardo». C. Valentini, Una volta che mi stavano fucilando, in «L’Espresso», 10 febbraio 1995, cit. in U. M. Tassinari, Fascisteria. Storia, mitografia e personaggi della destra radicale in Italia, Milano, Sperling & Kupfer, 2008, p. 53. Inoltre, uno dei primi referenti italiani di Alain de Benoist è stato il catanese Antonio Lombardo, responsabile per la Sicilia di Ordine nuovo. Lombardo – che abbandonerà poi l’ambiente neofascista per diventare consigliere politico del leader democristiano Amintore Fanfani e collaborando a «Il Settimanale», emanazione editoriale della loggia massonica atlantista P2 – è corrispondente in Italia per il mensile «Europe-Action», da cui si sviluppa il Grece, e collabora a «Défence de l’Occident» del fascista francese Maurice Bardèche. Lombardo è a Parigi il 30 aprile e il 1º maggio 1966 in occasione del congresso costitutivo del Mouvement nationaliste du progress (Mnp), lista “nazionaleuropeista” nata dalle ceneri del Ressemblement européenne de la liberté (Rel), da cui in seguito nasce il gruppo neodestrista parigino. Assieme al romano Giorgio Locchi (corrispondente a Parigi per «Il Tempo» e legatissimo agli ambienti di On negli anni ’50-’60), l’ordinovista Lombardo è l’unico italiano presente nel gruppo fondatore del Grece. Cfr. «Nouvelle École», n. 4, agosto-settembre 1968, P.-A. Taguieff, Sulla Nuova Destra. Itinerario di un intellettuale atipico<, Firenze, Vallecchi, 2004, p. 172, nt. 100 e U. M. Tassinari, Fascisteria<, cit., p. 587, nt. 69.
3. M. L. Andriola, Il Mouvement Identitaire francese: dal “gramscismo di destra” a Terre et Peuple, in «Paginauno», a. VII, n. 35, dicembre 2013/gennaio 2014, p. 46. Cfr. AA. VV., Le Défi de Disneyland (XX convegno nazionale del Grece, 16 marzo 1986), Paris, Sepp/Le Labyrinthe, marzo 1987, 95 pp.
4. Cfr. P. P. Poggio, in «Liberazione», 22 luglio 1997. Cfr. Id., Il naturalismo sociale e l’ideologia della Lega Nord, in G. De Luca (a cura di), La Lega. Figli di un benessere minore, Firenze, La Nuova Italia, 1994.
5. Cfr. J. Evola, Il federalismo imperiale. Scritti sull’idea di Impero. 1926-1963, a cura di G. Perez, Fondazione Julius Evola, in «Quaderni di testi evoliani», n. 39, Napoli, Controcorrente, 2012.
6. M. Tarchi, Dalla politica al “politico”: il problema di una nuova antropologia, in A più mani, Al di là della destra e della sinistra, Atti del convegno «Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale», Roma, LEdE, 1982,p. 22.
7. A. de Benoist, L’impero interiore. Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996 (ed. francese 1995), p. 173.
8. J. Hatzenbichler – A. Mölzer (a cura di), Europa der Regionen, Stocker, Graz, 1993.
9. Salvini si prepara a guidare la lega: “Alleanze con la destra estrema? Ci ragiono volentieri”, in «il Fatto Quotidiano», 3 dicembre 2013.
10. M. Brusini, Lega, Salvini incontra il teorico dell’antiglobalizzazione. L’idea di un cartello con la Le Pen alle Europee, in «L’Huffington Post», 3 dicembre 2013.
12. Secondo Valerio Marchi, «Nuova Azione [realtà politica animata da «Orion». Ndr], a livello internazionale, si muove […] sotto la sigla [del] Fronte Europeo di Liberazione. Ricco di una vasta rete di contatti sia in Italia che all’estero, il gruppo di «Orion» esprime una linea nazional-rivoluzionaria o, meglio ancora, «nazional-comunista», con forti richiami ai temi della Nuova Destra di Alain de Benoist, con cui è in stretti rapporti. I temi fondamentali del gruppo sono infatti la lotta al «mondialismo», inteso come dominio della finanza internazionale dominata dalla consueta cricca giudaico-massonica, a cui contrapporre non il modello dell’Europa «bianca e cristiana», ma un’unione di intenti con le forze nazional-comuniste, tradizionaliste ed integraliste dell’ex impero sovietico e della sfera islamica [per creare l’Eurasia. Ndr]. I rapporti internazionali più significativi di Nuova Azione si rispecchiano nei partecipanti alla tavola rotonda sulle «Prospettive geopolitiche eurasiatiche» (Mosca, ottobre 1992). Nella redazione di «Den», ex quindicinale dell’unione degli scrittori sovietici, divenuto dopo la svolta una delle più importanti testate dell’area del Fronte di Salvezza Nazionale [coalizione antieltsiniana che comprendeva l’estrema destra e i comunisti di Ghennadij Zjuganov. Ndr], schierato su posizioni tradizionaliste e filoislamiche, si riuniscono Samil Sultanov di «Den», Sergej Baburin (capogruppo al Parlamento del gruppo Rossija e fondatore del partito ultra-patriottico Rinascita), Aleksandr Dughin (presidente della associazione storico-religiosa Arktogaia, traduttore russo di Guénon ed Evola), Nikolaj Klokotov (generale dell’esercito) e Alain de Benoist, leader storico della Nuova Destra, direttore di «Krisis» e di «Nouvelle École». In altre parole, Nuova destra franco-belga in Europa occidentale, nazional-comunisti russi e filoislamici ad Oriente». V. Marchi, Blood and Honour. Rapporto internazionale sulla destra skinheads, Roma, Koinè Edizioni, 1993, pp. 140, 141.
13. Occidente: fronte infame, in «Orion», nuova serie, a. V, n. 10, ottobre 2001, p. 3.
14. M. Borghezio, Borghezio: “Il meticciato inquina le razze”, intervista rilasciata a Giuseppe Cruciali, in «Panorama», 30 maggio 2013.
15. Cfr. Intervista ad Alain de Benoist, in «Diorama letterario», n. 206, agosto-settembre 1997, pp. 21-33.
17. http://www.bloc-identitaire.com/actualite/1336/decroissance-rupture-fondamentale-avec-esprit-temps. Il link documenta un dibattito avvenuto il 29 maggio 2010 dal tema La décroissance? Une rupture fondamentale avec l’esprit du temps, dove a parlare di decrescita, non sono stati invitati né Serge Latouche né Alain Caillé, provenienti dalla sinistra radicale, ma l’ideologo della Nouvelle droite, invitato da Jeune Bretagne. I giornalisti di «Le Monde» hanno documentato poi un successivo incontro durante l’Université d’été del Bloc Identitaire, organizzato alla “Domus Europa”, una struttura in Provenza di proprietà del Grece animata da Maurice Rollet, che dal 9-11 settembre 2011 ha ospitato una serie di dibattiti, uno dei quali dal tema Europe, le combat identitaire fra i vertici del partitino populista e quelli del Grece. Cfr. http://droites-extremes.blog.lemonde.fr/2011/08/18/bloc-identitaire-une-rentree-a-lombre-de-leuro-et-du-grece/
18. http://vincenzosofo.com/, al link “Chi sono”.
19. Da http://iltalebano.com/chi-siamo/. Il corsivo è mio.
20. «CasaPound non è abituata a rimanere alla finestra. Ho scelto e vi invito per questa volta a votare Lega con preferenza a Borghezio nella circoscrizione centrale, anzitutto per l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen, per le posizioni antieuro, per le posizioni contro l’immigrazione, per i referendum contro la Fornero e la legge Mancino […] Io, come molti di voi avranno capito, per il tricolore e l’unità della nazione sono pronto a farmi ammazzare. E so bene che questa scelta di voto per la Lega (che riguarda solo ed esclusivamente queste elezioni) porterà critiche da un mondo di “destra” che ricorderà le passate posizioni anti-italiane della Lega». http://www.barbadillo.it/24028-europee-casapound-si-schiera-con-la-lega-di-salvini-per-noeuro-e-marine-le-pen/
21. U. Gaudenzi, Con la Lega, per abbattere l’euro-miseria, in «Rinascita – Quotidiano di Sinistra Nazionale», 17 aprile 2014.

27 commenti per “La Lega Nord 3.0

  1. Roberto
    9 giugno 2014 at 18:31

    “Dimenticando che in nome della legge e dell’ordine, Mosca non è senz’altro un baluardo di democrazia rappresentativa, e i giornalisti che non si piegano ai voleri dell’autorità vengono uccisi sull’uscio di casa” (M. L. Andriola)

    Chiedo all’autore: ha elementi per sostenere la responsabilità governativa nel caso Politkovskaya o sono solo parole in libertà?

  2. voltaire1964
    10 giugno 2014 at 18:07

    Visti anche i precedenti, la Lega Nord 3.0 si puo’ riassumere con un bon mot dialettale proveniente proprio da “la’ dove Cristo tutto di’ Cristo si merca”. Vale a dire,
    “Viva la Francia, Viva la Spagna, purche’ se magna”.

  3. Alessandro
    10 giugno 2014 at 22:17

    Ottima disamina della “nuova Lega”. Salvini è un furbacchione, cavalca tutti gli estremisti: secessionismo, anti-euro d’accatto, anti-immigrazione, e li sa dosare con attenzione in base alla località geografica in cui si trova. Le sue felpe con il nome delle città che visita sono lo specchio della sua vocazione camaleontica. Il nuovo corso “populista” vuole andare “oltre la Padania”, ma in verità rimane sempre un leghista nell’anima, con la sua vocazione egoista, ipocrita, “piccolo borghese”, rozzamente territoriale.

  4. Roberto
    11 giugno 2014 at 0:19

    Non vorrei essere frainteso, è un ottimo articolo ricco di informazioni, ma il passaggio sulla Russia sa di cremlinologia del New York Times, dove l’assenza di prove è una prova contro Putin.

  5. Matteo Luca Andriola
    11 giugno 2014 at 0:25

    Chiedo scusa a Roberto… ho ecceduto. E’ meglio dire “presunto coinvolgimento del governo”. Il che non vuol dire (leggi le mie analisi sull’Ucraina) che io sia filoccidentale o filoyankee. Sono solidale con la causa del Dunbass, su posizioni del tutto simili al Giulietto Chiesa, senza, però, essere un apologeta del presidente.

    • Alessandro
      11 giugno 2014 at 9:17

      Invece hai scritto bene. Una mia conoscente della Crimea a mia precisa domanda su skype “Sei contenta del passaggio della Crimea alla Russia?” non ha risposto e quando le ho fatto capire che comprendevo le ragioni della sua mancata risposta non ha resistito e mi ha detto: ” io amo l’Ucraina”. Banalissimo esempio del clima che si respira talvolta in Russia, dove esporre una posizione in dissonanza con quanto il regime sostiene significa correre rischi anche per la propria incolumità personale e ribadisco che, sotto tanti altri aspetti, sono un grande ammiratore di questo straordinario Paese e sono cresciuto in una famiglia dove le simpatie per l’ex Urss non si nascondevano, che le pussy riott mi fanno venire il voltastomaco, ma questo non vuol dire che si debba tacere su questi aspetti, così come sull’informazione russa, pura e semplice propaganda, al cui cospetto perfino la nostra informazione appare libera e attendibile. Sull’approccio, a mio parere, assai errato con cui la sinistra antagonista si è avvicinata alla crisi ucraina, curiosamente molto simile a quello dell’estrema destra, posto questo ottimo articolo di Andrea Ferrario
      https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&cad=rja&uact=8&ved=0CDAQFjAC&url=http%3A%2F%2Fantoniomoscato.altervista.org%2Findex.php%3Foption%3Dcom_content%26view%3Darticle%26id%3D1766%3Ala-deriva-di-una-parte-della-sinistra-riguardo-allucraina%26catid%3D57%3Aimperialismi%26Itemid%3D73&ei=YQKYU-nGNomc0AXX7IHQAg&usg=AFQjCNGrr-MWLY46XEIegcI4lW_8XwjimA&sig2=Hzwy-lT28tBVN29BmvcXqw&bvm=bv.68693194,d.bGQ

      • Fabrizio Marchi
        11 giugno 2014 at 10:46

        Per quanto mi riguarda condivido l’analisi di Andrera Ferrario, in particolare della natura reale del regime russo sul quale peraltro mi sono già pronunciato nel primo articolo che scrissi nel merito (https://www.linterferenza.info/esteri/un-primissimo-sguardo-sulla-crisi-russo-ucraina/ ) e in un successivo commento ad un post di Alessandro che riporto integralmente:
        “Caro Alessandro, il tuo commento mi offre la possibilità di ribadire la mia posizione sulla questione russo ucraina che credo di poter dire sia un po’ quella di tutta la redazione dell’Interferenza ma è ovvio che ciascuno potrà esprimersi personalmente nel merito.
        Non ho nessun dubbio sulla natura dell’attuale regime russo, e a tal proposito, rimando al mio articolo https://www.linterferenza.info/esteri/un-primissimo-sguardo-sulla-crisi-russo-ucraina/ Quello guidato da Putin è un regime oligarchico, nazionalista, “borghese” (cioè vetero capitalista, diciamo così, anche se impropriamente) e neotradizionalista, non è certo un modello di democrazia né tanto meno di socialismo. Se è per questo non lo è neanche quello di Assad in Siria né tanto meno lo erano quelli di Saddam in Iraq e dei Talebani in Afghanistan; lo stesso discorso da un certo punto di vista vale anche per gli ex regimi di Milosevic in Serbia e di Gheddafi in Libia che però non mi sento di accomunare ai primi per tante e diverse ragioni che non sto ora ad approfondire ma che li rendono senz’altro più accettabili rispetto a quegli altri.
        Il giudizio su tutti quei regimi (senza volerli accomunare in un unico calderone, come ho già detto, perché le differenze sono enormi, al di là della propaganda mediatica occidentale che tende a considerare tutti alla stessa stregua) non ci ha impedito e non ci impedisce però di prendere posizione contro le politiche imperialistiche degli USA e della NATO che dal crollo del muro di Berlino in poi hanno aperto ufficiosamente (ormai si può dire dal momento che è sotto gli occhi di tutti…) quella che può essere definita come una sorta di “quarta guerra mondiale” permanente finalizzata al predominio dell’impero americano sull’intero pianeta già completamente dominato dal capitalismo, sia pure in forme e modalità diverse a seconda dei differenti contesti.
        Per cui sono senz’altro d’accordo che non si tratta di mettersi a fare il tifo per gli uni contro gli altri come se fosse un derby calcistico fra due squadre della stessa città. Questo è quello che sta facendo alcune forze della destra che sulla base delle loro concezioni nazionalistiche si schierano con uno o con l’altro contendente.
        E’ ovvio che la nostra posizione è tutt’altra e ben più complessa. Purtroppo, caro Alessandro, il compito di quelli come noi è proprio quello di cercare di operare una sintesi fra quelli che sono i nostri orizzonti ideali e valoriali con le esigenze della “realpolitick”, anche se mi rendo conto che non è facile. E’ ovvio che trenta o quaranta anni fa quando da una parte c’era l’imperialismo USA e il vetero colonialismo europeo e dall’altra i movimenti di liberazione e di indipendenza del terzo mondo dal Vietnam all’Angola, dal Mozambico alla Palestina, da Cuba alla Guinea Bissau, dall’Algeria al Nicaragua) tutti guidati da forze che si ispiravano al socialismo e alla Sinistra, era molto più facile schierarsi. Oggi non è più così, l’intero pianeta è dominato dal capitalismo che attecchisce sia pure in forme diverse a seconda del contesto socioculturale (sono paesi ultracapitalisti la Cina come l’Arabia Saudita, l’India come il Sudafrica e via discorrendo), con la sola eccezione di Cuba e del Venezuela, che sono le uniche due realtà dove l’antimperialismo coesiste anche con forme di socialismo.
        E’ ovvio quindi che la posizione di quelli come noi, antimperialisti ma anche socialisti, cioè di coloro che si pongono in un’ottica di critica al sistema capitalistico e nell’orizzonte ideale e politico di un suo superamento (in senso socialista), è assai difficile e delicata.
        Non c’è dubbio che nella questione russo-ucraina le contraddizioni siano enormi e bene hai fatto a rilevare che da parte dei filorussi ci siano ingenti forze neofasciste, in taluni casi anche egemoni (come correttamente fatto rilevare dall’articolo che hai postato) che del resto stanno anche e soprattutto dalla parte degli Euromaidan filooccidentali. E’ pur vero che a difendere le regioni russofone dall’attacco di questi ultimi (e anche questo è provato, e soprattutto i morti di Odessa, fra gli altri, lo confermano) ci sono tantissimi russi democratici, antifascisti e anche molti comunisti. Cosa che non è sul versante opposto dove gli antifascisti e i comunisti vengono trucidati. E’ altresì vero che il Partito Comunista della Federazione Russa (l’erede del PCUS) guidato da Ziuganov, è schierato anch’esso a difesa dei russi dell’Ucraina. Il che non cancella le contraddizioni di cui sopra, sia chiaro, che restano e resteranno. Del resto anche la posizione del PC russo (che resta il secondo partito in Russia dopo quello di Putin) deve essere considerata e analizzata all’interno di quella che è la Russia oggi nella sua complessità. Il PC russo è un partito anch’esso fortemente caratterizzato dall’elemento nazionale e nazionalistico che oggi in Russia costituisce l’elemento che accomuna un po’ tutte o quasi le forze politiche e culturali (ad eccezione degli ultraliberisti filo occidentali) . Non è un caso che la stessa destra tradizionalista e lo stesso Dugin riconoscano il PC stesso come parte integrante della storia russa. La Russia putiniana è appunto quella che ho sia pur sommariamente cercato di spiegare nel’articolo che ho linkato sopra. Una Russia cioè che riesce a risollevarsi dall’abisso in cui era caduta subito dopo il crollo dell’URSS, proprio facendo leva sulla sua tradizione, le sue radici storiche e spirituali e recuperando ciò che non poteva essere gettato alle ortiche come se nulla fosse, ivi compresa l’esperienza comunista e sovietica. Anche per questo, dopo la sbornia liberista filooccidentale che aveva trasformato il paese in un gigantesco postribolo e in una centrale operativa della “variante criminale” del capitalismo, Putin è riuscito a rimettere in piedi il paese e riportarlo al rango di una potenza capace di condizionare in qualche modo gli equilibri geopolitici. Non c’è alcun dubbio che il veto russo sia stato comunque determinante nell’impedire l’intervento della NATO in Siria, paese storicamente legato all’URSS prima e alla Russia poi. Certo, l’esistenza della Russia non è riuscita ad impedire l’aggressione alla Libia, tanto meno quello alla Serbia, all’Iraq ecc.
        In conclusione, saremmo tutti più felici che la realtà fosse un’altra, che la Russia fosse un paese autenticamente socialista e democratico (non lo era neanche l’URSS…), e che tutti i movimenti che si oppongono all’imperialismo globale lo fossero, ma così non è e non possiamo far finta che la realtà sia diversa da quella che è. Allo stesso tempo non si può però neanche assumere una posizione da “anime belle”, come si suol dire, perché purtroppo la politica implica delle scelte. Obtorto collo, la realtà ci impone di prendere posizione. Torno ad uno degli esempi che ho portato poc’anzi. Non ho mai pensato che il regime di Assad (figlio e padre) fosse un regime socialista e democratico (così come non ho mai pensato che lo fosse il partito Baath, anche se ogni cosa va contestualizzata e storicizzata e non c’è dubbio che il nazionalismo socialistoide arabo abbia avuto un ruolo anche positivo e progressista..), tuttavia in questa fase ritengo corretto schierarsi contro il tentativo di destabilizzazione della Siria portato avanti dagli USA attraverso i suoi alleati e satelliti (Turchia, Arabia Saudita e Israele) e la bande jihadiste e qaediste armate e finanziate dagli USA stessi e dai loro alleati.
        Spero di aver sufficientemente chiarito la mia posizione”.

        Ora, mi pare però evidente, anche in relazione all’articolo di Ferrario, pur condivisibile nella sostanza, che la situazione sia estremamente complessa, e tuttavia, in questa complessità, la politica richiede delle scelte, anche quando preferiremmo non farle. Ma questa è la differenza tra chi sta nelle cose, cioè nella realtà vera e chi vive invece negli iperurani o nei salotti dove i bei principi hanno sempre la meglio sulla realtà concreta delle cose (non ce l’ho con l’autore dell’articolo, sia chiaro, parlo in generale). Chi fa politica non può permettersi di stare a metà del guado. Riprendendo l’esempio nel mio commento, credo che nessuno di quelli che si è schierato attivamente contro la guerra imperialista in Iraq strizzasse l’occhiolino a Saddam, il quale, per chi non lo sapesse, fra le sue “chicche”, annovera quella di aver massacrato migliaia di comunisti all’epoca in cui prese il potere e instaurò la dittatura del suo partito e anche la sua personale.
        Questo non ci ha impedito di fare una scelta e di schierarci, sulla base di un ragionamento politico, contro la guerra imperialista degli USA e prima ancora contro un embargo criminale che ha portato alla morte per fame, stenti e malattie centinaia di migliaia di civili iracheni.
        Ora, anche dall’articolo di Ferrario, che invece a mio parere è forse speculare alle posizioni di quegli amici e compagni che invece si sono schierati in modo forse troppo netto e/o ideologico in favore del fronte russo o filorusso, emerge a mio parere con chiarezza il quadro della Russia di oggi che è quello che, sia pur molto sommariamente e sinteticamente, ho cercato di spiegare nell’articolo che ho postato (“Un primissimo sguardo sulla crisi russo-ucraina”).
        E’ evidente come lo schieramento filo russo sia composto sia da fascisti o ex fascisti sia da comunisti o stalinisti ex sovietici, se preferite. E’ evidente quindi come ci sia un forte elemento nazionalistico che è ciò che accomuna i due schieramenti ma in particolare quello russo. Piaccia o no, questa è una componente che fa parte del storia russa. La stessa guerra contro il nazifascismo fu vinta proprio ricorrendo a questa fortissima componente nazionalista che strinse tutto il popolo sovietico (ivi compresa la chiesa ortodossa che appoggiò il partito, lo stato e l’esercito). L’era sovietica, ovviamente, tacitò tutte le componenti culturali e politiche (ma non la chiesa ortodossa il cui clero strinse un patto con il potere sovietico e staliniano che durò fino al crollo dell’URSS; patto che contribuì anche alla stabilità sociale e politica dell’URSS stessa e fu fondamentale, ripeto, per sconfiggere il nazifascismo) che però continuarono sotto traccia ad operare. Non è un mistero che anche fra elementi dichiaratamente di destra ci siano molti nostagici dell’URSS, perché comunque da un certo punto di vista, la Russia, durante l’era sovietica, era anche una grande potenza imperiale. Ora, ovviamente, sarebbe necessario aprire una riflessione sulla vera natura dell’URSS ma non lo faccio perché altrimenti non la finiremmo più (magari in un altro articolo o commento).
        Ciò che voglio dire è che anche in questo frangente, quell’elemnto nazionalistico è riemerso nella sua potenza, tanto da mettere d’accordo forze che per lo meno sul piano teorico dovrebbero essere completamente diverse fra loro (fascisti e comunisti stalinisti o ex brezneviani).
        Come ho cercato di spiegare sempre in quel mio articolo, l’abilità di Putin è stata proprio quella di far leva sullo spirito nazionalistico russo per riportare il paese, ridotto ad una colonia dell’occidente, al rango, diciamo così, che storicamente compete ad un paese come la Russia.
        Non solo, questo elemento nazionalistico è presente molto di più sul versante dei filorussi che non in quello degli ucraini filo occidentali. Il fronte ucraino è sostanzialmente un fronte filo occidentale; ciò che muove le forze filo occidentali (parlo anche dell’appoggio popolare) è in buona sostanza l’adesione al modello e al sistema capitalista occidentale, all’Europa. Quindi sbaglia anche chi dice che è in atto uno scontro fra nazionalismi. Se dobbiamo essere analitici (ed è giusto esserlo) fino in fondo dobbiamo allora essere più precisi e dire che è in atto uno scontro tra forze che si sono prestate ad una operazione di penetrazione imperialista occidentale e forze nazionaliste filo russe (appoggiate dalla Russia) che comunque (questo è un fatto) stanno reagendo ad un’offensiva che è stata scatenata dalle prime. Perché non mi pare che sia stata la Russia o Putin a dare fuoco alle polveri, anche perchè non ne aveva alcun interesse. Putin e il sistema di potere che rappresenta (cioè l’oligarchia economica e politica costituita da nuovi ricchi e da ex burocratici sovietici riciclati) non aveva nessun interesse a scatenare il casino che è stato scatenato.
        Ora, ripeto, noi dobbiamo avere la lucidità di capire che ciò che sta avvenendo in Ucraina è un soltanto un tassello di quel più grande mosaico che è la cosiddetta “quarta guerra mondiale” attualmente in corso, diciamo così, con una metafora,aperta ufficiosamente dagli USA subito dopo il crollo del Muro di Berlino.
        E’ contro questo grande progetto imperialista planetario che il sottoscritto si sta ponendo, non in favore delle oligarchie di questo o quel paese aggredito da quello stesso imperialismo.
        In conclusione, se è vero che alcuni amici e compagni si sono schierati un po’ troppo ideologicamente in favore dei filorussi (e questo è un errore analitico e interpretativo), è altrettanto vero, mi pare, che Ferrario commetta l’errore opposto, e cioè per prendere le distanze da una Russia che non gli piace (e ha ragione perché non piace neanche a me), rischia di non cogliere il vero nodo della questione e finisca in buona sostanza ad assumere una posizione “ponziopilatesca” se non addirittura con un pizzichino di simpatie in più per gli euroimaidan.
        Il quesito che pongo e che secondo me meriterebbe l’apertura di una riflessione (che possiamo fare anche qui) è il seguente: perché ci si schiera senza se e senza ma quando l’America bombarda e invade l’Iraq o l’Afghanistan (nonostante la presenza a dir poco ingombrante per persone di sinistra, come quella di Saddam o dei Talebani) e invece si storce il naso quando di mezzo c’è la Russia di Putin?
        Voglio ricordare che lo stesso atteggiamento, guarda caso, cioè di puzza sotto al naso da parte della “sinistra” occidentale, ci fu in occasione della guerra imperialista (la prima dopo il crollo dell’URSS) scatenata contro la Serbia, guidata dal comunista e filorusso Milosevic. Non ricordo manifestazioni oceaniche in quel frangente, anzi, non ne ricordo proprio nessuna, grande o piccola. Non solo, ricordo bene che tutta o quasi, diciamo la grandissima parte, della sinistra occidentale, compresa gran parte di quella cosiddetta “radicale”, non mosse un dito e anzi contribuì ad alimentare l’immagine di Milosevic come di un tiranno sanguinario… E fu così che la Serbia, cioè il cuore, l’asse centrale, della ex Jugoslavia, cioè quel paese e quello stato che rifiutava di diventare una colona occidentale, fu aggredito brutalmente e piegato agli interessi occidentali (e tedeschi in particolare). Anche in Serbia, guarda caso, erano presenti forti elementi di tipo nazionalistico e panslavo. In Serbia fascisti non ce n’erano (la Serbia era il cuore dalla Jugoslavia comunista) e lo stato serbo era fondamentalmente guidato da comunisti o post comunisti della Lega dei Comunisti Jugoslava.
        La Serbia fu aggredita e brutalmente bombardata e in buona sostanza nessuno fece nulla. Neanche e soprattutto a sinistra.
        La domanda è: perché?
        Io delle idee nel merito, le ho…Però mi fermo e ne parleremo eventualmente nel corso del dibattito…
        P.S. mi scuso per la lunghezza, però purtroppo è impossibile, per lo meno per me, affrontare determinati argomenti, in poche parole…

      • Roberto
        11 giugno 2014 at 16:23

        Che c’entra l’opinione di una tua conoscente con l’accusa senza prove rivolta a un governo, di uccidere giornalisti non allineati?

    • Roberto
      11 giugno 2014 at 17:13

      Ok.

  6. Alessandro
    11 giugno 2014 at 11:46

    Fabrizio, non ti preoccupare per la lunghezza dei tuoi post, che sono sempre molto pregni di contenuti e di interessanti riflessioni. Riguardo all’interrogativo che sollevi, posso rispondere a livello personale e ribadire la mia totale condanna per la politica imperialista USA in Iraq e in Afghanistan. Certamente c’è da parte di una fetta dell’opinione pubblica la propensione a dipingere Putin in chiave totalmente negativa, mentre le porcate USA passano come “battaglie progressiste”. L’orientamento dell’informazione mainstream italiana è sostanzialmente filo-Usa, perchè abbagliata da un “progressismo di facciata”, politicamnete corretto, che invece non è altro che un coacervo di interessi economico-sociali di lobby liberiste-femministe che sono in buona parte in contrasto con gli interessi della maggioranza degli individui. Da qui gli sconti se non la celebrazione delle vergognose iniziative USA . Putin non gode certamente di questo trattamento di favore.
    Ritornando all’Ucraina, anche io critico Maidan, non perchè critico la sollevazione popolare di un popolo sostanzialmente alla fame, ma perchè è stato pilotato dagli USA, lestissimi, come è loro consuetudine, ad approfittare della situazione, intercettandone anche la “carica rivoluzionaria”. Sono dell’avviso che si debba mettere il naso negli affari interni di altri Stati solo se vi sono situazioni particolarmente gravi. Per questo critico gli USA, l’UE e la Russia, fermo restando che le responsabilità delle prime due sono quelle di aver creato le condizioni perchè la destabilizzazione dell’Ucraina partisse. Solo in un secondo tempo sono intervenute, come da me sempre sostenuto e come da te giustamente sottolineato, le responsabilità russe, attualmente ancora in atto nel non favorire una “distensione” in quell’area, piena zeppa di militari russi, i veri “resistenti”, che sostanzialmente si configurano come un “esercito di invasione”. Purtroppo l’imperialismo oggi si presenta con il vessillo dei diritti civili, ma, dietro la retorica, è sempre lo stesso, brutale e assassino.

  7. Roberto
    11 giugno 2014 at 16:31

    Continuo a leggere di repressione della libertà di espressione in Russia, ma continuo a non trovare riferimenti validi. In alcuni casi sono state attaccate organizzazioni politiche. La logica putiniana è “dimmi chi ti finanzia e ti dirò chi sei”. Loro considerano le organizzazioni non governative finanziate dall’estero come un pericolo per la sicurezza nazionale e fanno secondo me benissimo se non vogliono fare la fine di Kiev.
    La sovrapposizione di idee politiche sui rapporti di forza intra-sociali con l’equidistanza geopolitica è secondo me sbagliata, perché sovverte l’ordine di priorità degli eventi. La crisi ucraina è iniziata con un colpo di stato ordito dall’Occidente, non dai nazisti o dai fascisti, bensì dalle segreterie governative. E questo, contrariamente alle strumentali “cremlinologie” del mainstream, è un fatto accertato, essendo stata intercettata la Nuland che decideva al telefono il nuovo governo dell’Ucraina, quando Yanukovich era ancora insediato.

  8. Roberto
    11 giugno 2014 at 16:36

    Andrea Ferrario, alla fine di un articolo incentrato sull’ortodossia di sinistra scrive: “Adagiarsi nel ripetere meccanicamente schemi del passato, lasciarsi andare a interpretazioni cospirative che spiegano tutto ma in realtà non spiegano niente, vuole dire esporsi al rischio di staccarsi sempre più dalla realtà e quindi di risultare sempre meno efficaci nell’agire”.
    Non mi convince per niente. Cospirativo? Cioè fatemi capire: se denunci l’allargamento a est della Nato sei un cospirazionista?

  9. Roberto
    11 giugno 2014 at 16:50

    Dell’articolo di Ferrario poi non mi è chiaro l’attacco a Scaroni e alle politiche energetiche Italia-Russia, che oggi vanno congelandosi. Preferisce lo shale-gas al south-stream? Bell’ambientalismo da strapazzo. Veramente una logica di sinistra. Complimenti. La stessa cosa la fa Greenpeace, che disturba i russi nell’artico che fanno esplorazione tradizionale ma non si vede mai negli USA, dove con l’estrazione di scisto esce il metano dai rubinetti di casa della gente.
    E secondo voi, in un simile quadro in cui lotte cruciali come quelle per i diritti, l’ecologismo e l’egualitarismo, sono state cooptate dai servizi che le strumentalizzano in chiave mondialista, mi dovrei pure sentir dare del cospirazionista, o magari del “forza nuova”, per non aver mantenuto una civile (ipocrita) equidistanza? E sia. Tanto per come è ridotta oggi la sinistra, capace di organizzare cene vegane parlando di antispecismo come farebbe George Soros e incapace di difendere il potere d’acquisto dei salari, non è che sia poi così importante. Odio l’ortodossia di ogni tipo.

  10. Matteo Luca Andriola
    11 luglio 2014 at 0:00

    Il brutto – e la tesi di Marchi è quella che più condivido (scherzando, amo dire che al Cremlino preferirei non tanto Stalin, ma almeno Vladimir Ilic Lenin :D) – è che il mio articolo, più che su Putin, citato di sfuggita, era sull’evoluzione del Carroccio e sul ruolo culturale del Grece (rimando al mio https://www.linterferenza.info/attpol/identite-inegualite-communaute-la-rivoluzione-conservatrice-e-postmoderna-della-nouvelle-droite/). Che Putin piaccia all’estrema destra è assodato: “L’Europa è un corpo malato” e “la Russia oggi è la principale alternativa per contrastare l’egemonia americana” teorizza del resto il filosofo Alain de Benoist, fondatore della Nouvelle Droite
    “La Russia è diventata la speranza del mondo contro un nuovo totalitarismo” dichiarava iAymeric Chauprade – consigliere di politica estera del Front National e candidato(eletto) nella regione di Parigi – nel corso di un evento pre-elettorale dove si sosteneva la necessità di spezzare la “sottomissione” agli Stati Uniti e guardare alla Russia “come forza di pace e baluardo contro la decadenza morale”.
    Il Front imputa all’ UE un’ incapacità di farsi player globale indipendentemente dall’America e si spinge ad auspicare un’alleanza strategica col Cremlino in vista di una “unione pan-Eropea” che includa la Russia. Marion Le Pen, parlamentare francese e nipote di Marine arriva a dire che l’Ue è “il barboncino degli Usa”.
    Anche il sostegno che Putin da ad Aleksandr Dughin, teorico dell’eurasismo e di una supremazia imperiale Euroasiatica cui la Russia dovrebbe mirare per contrastare gli interessi nordatlantici, è strumentale, dato che il caro Putin è un uomo terra terra, e non un ideologo (http://www.searchlightmagazine.com/news/featured-news/russia’s-english-language-tv-promotes-tin-pot-nazis-but-ignores-the-real-danger).

    • Roberto
      11 luglio 2014 at 11:58

      Dal tuo link leggo:

      “… Recently a young RT presenter in the USA resigned on screen in protest against RT’s coverage of events in Ukraine …”

      E cosa gli dava fastidio di come RT presenta i fatti ucraini?

      “… It came as no surprise as for some years journalists covering stories that might be embarrassing to President Vladimir Putin have wound up dead or injured …”

      Sta forse insinuando che il governo russo sia il mandante dell’omicidio Politkovskaja, su quale base? Come mai non dice nulla su come vengono invece trattati i giornalisti russi a Kiev?

  11. Roberto
    11 luglio 2014 at 11:43

    “… Anche il sostegno che Putin da ad Aleksandr Dughin, teorico dell’eurasismo e di una supremazia imperiale Euroasiatica cui la Russia dovrebbe mirare per contrastare gli interessi nordatlantici, è strumentale, dato che il caro Putin è un uomo terra terra, e non un ideologo” (M. L. Andriola)

    Totalmente in disaccordo. Solo nelle ultime settimane: 1) ha evitato l’escalation militare e lo scontro con la Nato, sapendo che la campagna del Donbass mira a provocare l’intervento militare russo; 2) ha cancellato il 90% del debito a Cuba; 3) ha chiesto il cessate il fuoco a Israele; 4) ha supportato la resistenza dello stato iracheno all’offensiva ISIS; 5) ha dichiarato, congiuntamente con la Cina, di non voler formare un’alleanza militare sino-russa giustificandolo col fatto che il blocco eurasiatico non ha intenzione di costituire una forza di offesa (imperialismo militare); 6) ha chiesto agli Stati Uniti di cessare la trasformazione del mondo in una “caserma globale”; 7) ha portato avanti il progetto di abbandono del petrodollaro, più tante altre cose dal mio punto di vista totalmente condivisibili; In confronto a lui i guerrafondai neo-machiavelliani d’occidente sono moralmente molto piccoli.

  12. Fabrizio Marchi
    11 luglio 2014 at 17:39

    La discussione (interessante…) andrebbe spostata in u altro spazio, ma fa lo stesso. Intervengo qui perché è qui che avete iniziato il dibattito.
    Posto più sotto due interessanti articoli (in particolare il secondo link) che spiegano in modo abbastanza chiaro la posizione delle varie formazioni di sinistra russe e in particolare dei partiti comunisti russi post sovietici.
    Condivido in linea di massima (parlo del secondo link) l’analisi dell’autore, che mi sembra molto lucida, tuttavia credo che le cose debbano sempre essere contestualizzate, per cui, pur condividendo l’analisi, mi sento di essere un pochino meno duro nel giudizio nei confronti del Partito Comunista della Federazione Russa, guidato da Ziuganov che è comunque l’erede del vecchio PCUS e ne eredita anche tutte le sue contraddizioni. Sono giunto ormai da tempo alla conclusione (sempre pronto a ricredermi) che è pressoché impossibile decontestualizzare le cose. Ogni ideologia, ogni filosofia, ogni movimento politico nasce in un contesto spazio-temporale, storico, sociale, culturale e assume la sua forma peculiare. Quella stessa ideologia, filosofia o movimento politico, se “esportata” o applicata in altro contesto spaziale, temporale. sociale, culturale e storico, assumerà forme e modalità diverse, peculiari a quel contesto.
    Mi sembra importante sottolinearlo perché c’è sempre stata, in particolar modo a sinistra, e più specificamente nell’universo marxista e comunista, la tendenza a sottolineare che si sia più o meno fedele alla “purezza”, diciamo così, dell’ Idea originaria, e per chi se ne discosta c’è sempre dietro l’angolo l’accusa di revisionismo, tradimento, ecc.
    Tutto ciò a me sembra oggi abbastanza sterile. La critica al partito di Ziuganov e alla sua posizione eccessivamente morbida nei confronti Putin è senz’altro fondata e corretta, così come alcune critiche di merito contenute nell’articolo circa gli aspetti ideologici del PC russo, tuttavia, come dicevo, sarebbe ingeneroso e anche politicamente sbagliato, bollarlo o dipingerlo come un partito che ha ormai dismesso la sua storica mission. Trovo anche esagerato il modo un po’ dispregiativo con cui quello stesso partito definito “socialdemocratico”. Magari ce ne fossero oggi di partiti autenticamente socialdemocratici (e una cosa è certa: non lo sono i partiti sedicenti socialisti del mondo occidentale…) in grado quanto meno di contenere l’onda d’urto capitalista liberista. Il PC di Ziuganov si attesta intorno al 20% ed è arrivato a raggiungere il 40 ed è di fatto il secondo partito! Non mi sembrano risultati da niente per un partito che tutti davano per morto, dopo il crollo dell’URSS, e che invece è ancora vivo e vegeto. E lo è per tante ragioni, ma fra queste c’è sicuramente proprio quella di essere un partito molto legato alla realtà russa, con tutto ciò che ne consegue. In altre parole sono proprio le ragioni che lo rendono un partito robusto e radicato nel tessuto sociale e culturale russo, ad essere sottoposte a dura critica (da un punto di vista teorico, anche condivisibile, sia chiaro) dall’autore dell’articolo.
    Io credo che questa strategia sia stata anche pensata dai vertici di quel partito, che hanno capito che dopo il crollo dell’URSS si stava aprendo un’altra fase, all’interno della quale l’ ex PCUS avrebbe potuto giocare un ruolo, in particolare una volta finita la sbornia incarnatasi nella fase eltsiniana che stava portando al disastro il paese. Come ho già avuto modo di spiegare in altro articolo https://www.linterferenza.info/esteri/un-primissimo-sguardo-sulla-crisi-russo-ucraina/ e in successivi commenti, la Russia attuale è un paese capitalista nazionalista con un fortissimo richiamo alla sua storia, alla sua cultura e alle sue tradizioni, ivi compresa la storia sovietica che non è stata rigettata, come avvenuto nel primissimo momento dell’ubriacatura post crollo dell’URSS, ma rielaborata e ricompresa all’interno di una visione storica complessiva. Né poteva essere altrimenti. Un grande paese come la Russia non poteva cancellare come se nulla fosse 70 anni della propria storia che avevano comunque visto il coinvolgimento di diverse generazioni e di decine e decine di milioni di persone. Anzi, era proprio questa rimozione che stava indirettamente portando al collasso il paese, riducendolo ad una colonia occidentale e a un lupanare per turisti.
    Quindi anche la posizione del PC russo va inserita, a mio parere, all’interno di questo processo storico e culturale e io credo che tutto sommato quella del gruppo dirigente del PC e di Ziuganov sia stata una scelta oculata. Certo, se potesse decidere il sottoscritto con un colpo di bacchetta magica, il PC russo sarebbe tutt’altro, però la storia non si fa a colpi di bacchette magiche inesistenti ma con i la realtà e con i fatti. E con tutte le sue enormi contraddizioni e limiti, personalmente sono tutto sommato contento che esista il Partito Comunista della Federazione Russa che comunque è oggi l’unica forza che può concretamente agire per difendere le grandi masse di lavoratori russi, garantire uno stato sociale adeguato ma anche in qualche modo condizionare il governo e Putin anche dal punto di vista internazionale.
    Oggi questa Russia, capitalista e nazionalista (ma non ancora imperialista, perché non ne ha la forza, il massimo che può fare è essere egemone nel suo giardino di casa, quello che gli stanno appunto minando, se consideriamo che le tre repubbliche baltiche sono già tre basi NATO) si pone in una posizione di competizione con il capitalismo imperialista e “mondialista” (ci capiamo…) a trazione americana, che invece affonda le sue radici ideologiche in tutt’altri “luoghi” (conosciamo bene qual è la neo ideologia capitalista occidentale dominante..) ed è il portatore per eccellenza di quella globalizzazione capitalista che oltre a riconfermare il dominio di classe capitalistico, ha necessità di distruggere anche le identità culturali e, per dirla con una battuta, di trasformare il mondo in un gigantesco Mc Donald.
    Certo, se la leggiamo da un certo punto di vista, si tratta di due produzioni di “falsa coscienza”, e in effetti è in larga parte così. Il capitalismo “mondialista” USA si afferma attraverso la distruzione di tutte le identità culturali e storiche, mentre la Russia,cioè un paese capitalista, sia chiaro, ma non assimilabile al supercapitalismo mondiale e mondialista (appunto per le sue specificità e peculiarità) si difende proprio rivendicando la sua identità. Ed è, come dicevo prima, proprio grazie a quella rivendicazione identitaria che il paese si è risollevato e non è diventato una colonia occidentale, come ai tempi dell’ubriacone Eltsin, un fantoccio al servizio degli USA.
    Tutto ciò, voglio essere chiaro, non mi fa diventare Putin un amico. Putin è il rappresentate di una oligarchia (quindi di una classe sociale e di un dominio di classe) al potere oggi in Russia. Il dominio di classe in Russia ha assunto quelle forme storiche, così come in Cina ne ha assunte altre (addirittura lo stesso PCC è il veicolo della ormai avvenuta trasformazione capitalistica del paese), e ovviamente in Occidente altre ancora.
    Quindi, per quanto mi riguarda, non si tratta di schierarsi ideologicamente con Putin, errore che oggi molti commettono, ma di posizionarsi da un punto di vista politico internazionale di volta in volta nel modo più oculato ed equilibrato per quello che è il nostro fine, cioè la ripresa di un processo critico nei confronti del sistema capitalistico dominante a livello planetario. Mi rendo conto che per quelli come noi, oggi la situazione è molto difficile. E’ più facile per quelli come noi (per lo meno per quelli come me) schierarsi con Cuba o con il Venezuela, o una volta con il Vietnam o l’Angola,mentre mi rendo perfettamente conto che schierarsi con Putin è un boccone assai amaro da digerire. E infatti io non mi ci schiero, tuttavia mi rendo conto che se ragioniamo politicamente siamo obbligati a fare i conti con la realtà. E la realtà ci dice che oggi (ho detto oggi, un domani non lo so…) una forza politico-militare (ma in fondo anche culturale, come abbiamo visto…) che si opponga allo strapotere dell’Impero USA (anche se per ragioni completamente diverse dalle nostre) può essere utile, quanto meno costituire un contrappeso, per lo meno in questa fase. Senza naturalmente attribuirgli, come fanno in molti (anche molti comunisti) , un significato salvifico.
    Come non era l’URSS il Paradiso del Socialismo, non è la Russia il Sol dell’Avvenir che purtroppo è ancora tutto da costruire…
    http://www.eastjournal.net/comunisti-di-tutte-le-russie-unitevi-a-zimmerwald-si-incontrano-la-sinistra-russa-ucraina-e-bielorussa/45385
    http://www.eastjournal.net/russia-il-partito-comunista-opposizione-o-stampella-di-putin/42800

    • Roberto
      12 luglio 2014 at 9:51

      Sono solo parzialmente d’accordo. Secondo me i diritti dei lavoratori sono stati dismessi insieme all’idea di stato-nazione. I lavoratori sono stati messi in competizione globale, con la tendenza al livellamento verso il basso dei salari.
      Vedo due soluzioni: il ritorno a politiche economiche nazionali (o regionali) autonome, oppure un governo globale totalitario. La Russia di Putin è pro Westfalia, schierata contro la distopia unipolare.
      E questo per ora mi basta, perché la sinistra può parlare quanto vuole ma finché non prende posizione su questo tema, che è secondo me il più importante tema politico di oggi, continuerà a lavorare a favore delle elite del capitalismo-finanziario. Come fa ormai da decenni (e mi sembra che i risultati siano evidenti).
      Ma la sinistra è terrorizzata dall’idea di identità nazionale, che associa subito al fascismo, e di conseguenza siamo in un vicolo cieco.
      Per ora quindi, realisticamente, quello che ha capito tutto è Putin. Mi dispiace per chi lo odia.

      • Fabrizio Marchi
        12 luglio 2014 at 13:11

        Secondo me invece i diritti dei lavoratori sono stati dismessi dalla vittoria del capitalismo su scala planetaria e dalla sconfitta epocale del movimento operaio e delle ideologie da esso scaturite, non dalla fine o dalla crisi dello stano nazione.
        La crisi dello stato-nazione è solo una conseguenza della vittoria planetaria del capitalismo che non ha più bisogno, appunto, dello stato nazione che prima, in un’altra fase storica, gli era utile e funzionale.
        Lo stato nazione era solo un espressione del capitalismo prima che si ultra-globalizzasse, diciamo così, e rappresentava gli interessi delle classi sociali borghesi (e capitaliste) autoctone con cui lo stato si identificava. Non esiste e non è mai esistito uno stato politicamente neutrale; lo stato è sempre la rappresentazione politica dei ceti dominanti. Non c’è bisogno di essere dei marxisti per pensarlo. L’idea di uno stato che rappresenti veramente il cosiddetto “interesse generale” è una delle finzioni del pensiero liberale classico che si estrinseca nella famosa frase scolpita su tutte la aule dei nostri tribunali, “La legge è uguale per tutti”.
        E’ una finzione e lo sappiamo bene tutti, e non c’è necessità della critica marxista per saperlo, bastano il buon senso e l’esperienza empirica di ciascuno.
        Questo, in estrema sintesi, me ne rendo conto, per spiegare cosa fosse lo stato-nazione.
        Lo stato nazione entra in crisi perché il capitalismo entra gradualmente in un’altra fase, non ha più necessità delle politiche mercantiliste e protezioniste, le borghesie nazionali (cioè i ceti borghesi dominanti), una volta, diciamo fino a una cinquantina di anni fa, legate al proprio territorio e al proprio stato (per i propri interessi, non per “amor di patria”, ricordiamolo sempre…) non hanno più necessità di vincoli di nessun genere perché il mercato deve essere appunto globalizzato e loro stesse si globalizzano e globalizzano il loro dominio. La fine dell’URSS ha finito il lavoro, per dirla con una battuta. Da quel momento in poi non esiste più nessun ostacolo, nessuna barriera politica all’espansione illimitata dal capitalismo che tende appunto a globalizzarsi e ha necessità di un mercato mondiale completamente “libero”, cioè una massa di lavoratori ultraprecari e ultraflessibili (e ultrasfruttati). Per queste ragioni entra in crisi il cosiddetto stato nazione, non per motivi ideologici. Il supercapitalismo dominante non ha più necessità di vincoli di nessun genere e i vecchi stati nazione, che prima invece lo garantivano (cioè garantivano e difendevano il dominio delle classi borghesi nazionali) diventano zavorra di ostacolo alla libera e illimitata circolazione delle merci e del capitale. Guarda caso, però, solo alcuni stati nazione entrano in crisi, non tutti. Gli USA e la Germania sono sempre lì. E guarda caso, la NATO che era nata in opposizione al Patto di Varsavia, è sempre lì, più viva e vegeta che mai. Questo svela anche un’altra finzione, quella cioè che voleva la NATO come organizzazione sorta in funzione antisovietica. Non è così. La NATO ( e i fatti lo stanno dimostrando e lo hanno già dimostrato) è la struttura militare e organizzativa della guerra imperialista che è la conseguenza inevitabile del dominio capitalista. Sia chiaro, la guerra imperialista, c’era anche prima e proprio gli stati nazione ne erano protagonisti, perché le borghesie nazionali dei paesi e degli stati dominanti erano in competizione, anche armata, fra loro, per accaparrarsi territori e risorse. La prima guerra mondiale (con il macello che ne è derivato) è l’apogeo dal punto vista storico della guerra imperialista fra stati nazione in competizione fra loro.
        Oggi siamo in un’altra fase storica dove il capitalismo è appunto dominante a livello planetario ma, come giustamente hai rilevato anche tu, siamo in presenza di un solo impero, nel senso proprio del termine,cioè in grado di agire e imporre il proprio dominio a livello mondiale, che è quello americano. La Cina è un paese anch’esso capitalista, anzi, ultracapitalista, ma non ha ancora la forza e le condizioni per sviluppare una politica imperialista, anche se la sua capacità di penetrazione economica e commerciale diventa sempre più forte. A mio parere, sul lungo periodo, è con la Cina che l’Impero americano dovrà fare i conti. E ha già cominciato a farli perché quello che ancora non ha capito molta gente (perché è scientemente disinformata) è che ciò che sta accadendo oggi nel mondo, ivi comprese le varie guerre e i vari interventi militari della NATO, è il preludio dello scontro globale tra i due grandi capitalismi, quello americano e quello cinese. Ci raccontano che abbiamo occupato l’ Afghanistan per portare diritti e democrazia e combattere i talebani e Al Qaeda, ma queste sono chiacchiere per i gonzi. Agli americani dei talebani, dei jihadisti e dei qaedisti non gliene può fregare di meno. Anzi, li utilizzano quando gli conviene, come è accaduto in Libia per destituire (e uccidere barbaramente fra le risate e in brindisi della Hillary Clinton, diciamolo…) Gheddafi, e come sta accadendo in Siria dove la peraltro ferocissima marmaglia jihadista e qaedesta, sta seminando il terrore, finanziata e armata dalla CIA e dalla NATO. L’occupazione dell’Afghanistan e l’aggressione alla Libia sono stati fatti in funzione anticinese. Nel primo caso c’è un problema sia di controllo di risorse che di controllo di un’area strategica dal punto di vista geopolitico, uno snodo collocato proprio fra Cina e India. Nel secondo caso, Gheddafi aveva favorito la penetrazione commerciale cinese in Africa ed era diventato il primo partner dei cinesi, voleva creare una moneta africana che avrebbe potuto entrare in competizione con l’euro e con il dollaro e voleva creare una unione dei paesi africani. La Cina stava commerciando con i paesi africani, con forti agevolazioni, quelle che gli USA non hanno mai fatto e mai avrebbero fatto. Ecco perché Gheddafi è stato fatto fuori e da “amico” è diventato nemico, e naturalmente è stato criminalizzato, come sempre avviene (tutti i nemici dell’Impero diventano degli Hitler in miniatura, anche quando sono stati dei combattenti, come nel caso di Gheddafi, per la libertà e l’indipendenza del proprio popolo dal dominio colonialista).
        In tutto ciò resta la Russia. Anche la Russia è un paese capitalista, con le caratteristiche peculiari della sua storia e del suo contesto, e in parte rappresenta proprio quel vecchio stato nazione di cui parlavo prima. Dal mio punto di vista sarebbe impossibile considerarlo come un alleato strategico e per ovvie ragioni: da anticapitalista e da marxista, sia pure eretico, non ortodosso, democratico e libertario, non posso considerare come un alleato uno stato e una società fondata sul dominio di classe (proprio ciò che io voglio superare, anche se per ora è solo un orizzonte ideale), sarebbe una contraddizione in termini. Posso , questo sì, pensare che uno stato possa svolgere in determinate fasi storiche e politiche una funzione positiva e progressiva per quelli che sono i miei fini e i miei orizzonti politici e ideali. Come ho detto più volte non ho avuto esitazione a difendere l’Iraq di Saddam dall’aggressione dell’Impero, così come è stato giusto difendere e sostenere a suo tempo l’Egitto di Nasser che pur non essendo un paese socialista (e non proprio un campione di democrazia) ha comunque svolto a suo tempo una funzione anticolonialista e antimperialista e che nel contesto arabo (e lo stesso discorso vale anche per Saddam, sia chiaro) ha svolto comunque una funzione progressiva e progressista, anche con delle politiche di riforme in senso socialistoide. Non erano certo i miei modelli (ricordo, così forse sono più chiaro, che Saddam è andato al potere massacrando tutte le opposizioni, ivi compresi i comunisti), però era giusto nonostante tutto sostenerli. Non voglio mettere tutti nello stesso calderone. Nasser era secondo me un leader di notevole spessore che superava di gran lunga tutti quelli che abbiamo nominato, però ora mi interessa intenderci sul punto in questione.
        Per cui, tornando a noi e al tema in oggetto, fermo restando che non devo convincere nessuno, che ciascuno è libero di avere le proprie opinioni e che L’Interferenza è un giornale libero e non un foglio di regime (per cui il dibattito è assolutamente libero ed è giusto e bello che sia così…), a mio modesto avviso, caro Roberto, stai commettendo un errore strutturale e interpretativo nel momento in cui ritieni che la soluzione di tutti i mali (si fa per dire…) sia il ritorno al vecchio stato nazione.
        Diverso è pensare (e questa è la mia posizione ma anche di molti altri) che in questa fase storica, dominata appunto dal capitalismo globalizzato, il recupero di una sovranità nazionale possa rappresentare un elemento di rottura rispetto all’ordine capitalista mondiale e transnazionale, dominato dalle elite capitaliste e in particolare dalle elite finanziarie (che, non dimentichiamolo, sono sempre le ex borghesie nazionali trasformatesi in gruppi trans e multinazionali). Inteso in questo senso, il recupero di una dimensione statuale nazionale, potrebbe rappresentare la possibilità di ricostruire un tessuto sociale che si è andato spappolando nel corso del tempo, potrebbe anche favorire la ricostruzione di legami sociali (cioè di classe) che sono andati perduti sotto i colpi della globalizzazione capitalista, e in ultima analisi potrebbe ricostruire il luogo e il terreno per la ripresa di una conflittualità sociale consapevole. In parole ancora più povere, in questa fase storica il ritorno allo stato nazione, da un punto di vista tattico (tattico, è bene ribadirlo) potrebbe rappresentare un elemento di rottura rispetto all’ordine capitalista mondiale dominante. Anche perché, per come stanno oggi le cose, un passaggio di questo tipo sarebbe necessariamente in controtendenza rispetto all’ordine dominante. A quel punto però si aprono altri interrogativi. Quali saranno le forze egemoni all’interno di quell’ipotetico ripristinato stato-nazione? I ceti popolari subalterni? Permettetemi di nutrire dei dubbi in proposito. Allo stato delle cose, con le classi popolari subordinate, completamente spappolate e prive di una coscienza e di una identità politica e culturale, assai difficilmente queste ultime di sviluppare un ruolo dirigente. Per cui non facciamoci illusioni. La possibilità di un cambiamento reale in senso democratico e socialista potrà avvenire solo nel momento in cui ci sarà una nuova consapevolezza di classe politica e culturale, non certo perché si passerà da una forma di dominio ad un’altra.
        In questo senso, cioè come passaggio tattico in relazione alla fase storica che stiamo vivendo, sono personalmente d’accordo nel ritorno allo stato-nazione (l’esempio concreto è l’uscire dalla cosiddetta Europa). Ma, ripeto, solo come passaggio politico tattico e di fase, non certo attribuendo un valore e un significato ideologico allo stato-nazione di per se che ha storicamente rappresentato quello che ho cercato di spiegare prima. Che lo pensi la destra storica (vedi il Front National in Francia e la Lega Nord in Italia) lo posso capire, anzi, sono coerenti con la loro concezione. Ma loro non si pongono il problema del superamento della società divisa in classi, al contrario, loro la sostengono. Il problema è che il capitalismo mondializzato, oltre gettare ancora di più in una condizione di prostrazione le classi popolari che ha sempre sfruttato, ha tolto potere e ha messo nell’angolo quelle vecchie classi sociali borghesi che le destre storiche hanno sempre rappresentato. Da qui il loro apparente anticapitalismo. I “lepenisti” sognano il ritorno alla “grandeur”, ai “gloriosi” (si fa per dire…) fasti della Francia grande potenza colonialista e imperialista, più, ovviamente, qualche necessaria iniezione di politiche sociali (seppur in una chiave necessariamente interclassissta) , di inserimento di alcuni concetti tradizionalmente appartenenti alla sinistra, e a un certo rinnovamento complessivo, non solo di classe dirigente, m anche appunto parzialmente di contenuti (le analisi della “nuova destra” contenute negli articoli di Andriola sono per quanto mi riguarda puntuali e condivisibili).
        In conclusione, ciò che voglio ribadire è questo. Sono un critico feroce dell’attuale “sinistra” e di ciò che rappresenta (non entro ora nel merito anche perché l’ho fatto in un altro articolo e credo di essere stato esaustivo https://www.linterferenza.info/editoriali/destra-e-sinistra/ ), ma questo non deve farci perdere la bussola e farci scambiare lucciole per lanterne.
        La destra storica, che oggi si ripresenta sotto spoglie rinnovate, è un avversario, non è un alleato, per lo meno per quanto mi riguarda. E sono altrettanto convinto che la critica strutturale a questa “sinistra” e all’ideologia “politicamente corretta” (che è la nuova ideologia del capitalismo) potrà essere efficace solo se sarà in grado di mantenere la lucidità politica dell’approccio interpretativo marxista, inteso ovviamente non in senso dogmatico (ho tanti difetti ma non penso proprio di essere un dogmatico…) ma appunto nella capacità di osservare e interpretare la realtà con lucidità e senza sbandamenti. La “nuova destra”, come la “sinistra”, è una truffa, è una finta opposizione al sistema capitalistico, è solo uno dei suoi versanti politici e culturali.
        Mi rendo conto che è difficilissimo per tutti non avere una “casa propria” , sentirsi orfani o privi di un porto, ho visto tanti e tanti amici e compagni rifugiarsi in tante e diverse situazioni (politiche, intendo) pur di sentirsi protetti o in qualche modo di sentirsi parte di una comunità. Ma a volte, molto spesso, la storia ci mette di fronte alla necessità di camminare da soli, con le nostre sole gambe.
        Verranno tempi migliori. Lo dice la Storia, non il sottoscritto. Oggi bisogna stringere i denti, anche se a volte fanno troppo male, e lavorare per ricostruire un punto di vista critico, autenticamente democratico e socialista, nei confronti dell’attuale sistema dominante. E non è la destra, vecchia o nuova che sia, la risposta (né tanto meno l’attuale “sinsitra”).

        • Roberto
          15 luglio 2014 at 15:06

          Fabrizio pur condividendo buona parte delle obiezioni sollevate, devo sottolineare che gli stati non esistono solo per volere delle classi dominanti bensì anche come espressione di omogeneità culturali storiche. Altrimenti dovremmo pensare che per esempio le lingue le abbia inventate la borghesia, e cadremmo nel ridicolo.
          Personalmente ritengo che governare in maniera centralizzata popolazioni disomogenee culturalmente sia possibile solo per vie autoritarie e dittatoriali. Ed è secondo me questo il vero significato di imperialismo.
          Del resto, non è del tutto esatto che il capitalismo moderno implichi necessariamente il superamento del concetto di stato e in generale di localismo, visto che Russia e CIna sono per il mantenimento delle sovranità nazionali nel mondo e per il proseguimento del dialogo che storicamente consegue al Trattato di Vestfalia. Per l’Occidente (Blair: “Vestfalia è morta”) la stessa ONU va rivisitata come una sorta di governo sovranazionale e non come un luogo di dialogo tra nazioni.

          • Fabrizio Marchi
            16 luglio 2014 at 14:08

            No, un momento, Roberto, non farmi dire cose che non ho mai detto o pensato.
            Andiamo per ordine. Intanto non è affatto detto che stato e nazione (quindi usi, costumi, lingua, cultura, religione ecc.) coincidano. In India ci sono circa 25 etnie diverse con 25 lingue diverse, assolutamente incomprensibili fra loro. In Cina non è proprio come in India ma quasi (potrei portare moltissimi altri esempi..).
            Quindi la nascita e la formazione degli stati può coincidere con l’identità di un popolo ma può anche non coincidere. Le ragioni che possono determinare la creazione di uno stato possono essere di altro genere, politiche, economiche, militari, storiche ecc.
            Ciò detto, è bene non confondere i piani. Quando io dico che lo stato è sempre l’espressione degli interessi e della volontà delle classi dominanti , né potrebbe essere altrimenti (sarebbe una contraddizione in termini uno stato dove fossero in posizione di comando le classi dominate, perché nel momento in cui fossero queste seconde a dominare, non sarebbero più tali ma dominanti…), non intendo dire che non esistano altri fattori che caratterizzano quello stesso stato. E’ ovvio che la realtà è complessa ed entrano in gioco tanti altri elementi, fra cui appunto la cultura, i costumi, ecc. E qui rientra però prepotentemente in ballo la famosa marxiana relazione fra struttura e sovrastruttura (in questo caso concepita nel modo più classico). Io sono convinto, da questo punto di vista (diverso in parte è il discorso se parliamo di altre questioni, e guarda caso, ho toccato questo argomento proprio nell’ambito dell’articolo di Rita Chiavoni, come sicuramente hai già letto), che lo stato, concettualmente parlando, sia comunque l’espressione politica degli interessi e della volontà delle classi dominanti. Che poi contestualmente alla formazione di questo o quello specifico stato, contribuiscano anche fattori di ordine culturale o religioso, non c’è assolutamente dubbio. Ma questo è un altro discorso. Come ripeto, può accadere che ci sia coincidenza fra uno stato e una nazione (cultura, religione, lingua, usi e costumi), ma ciò non toglie che quello stesso stato sia comunque la rappresentazione politica, e in ultima analisi, lo strumento delle classi dominanti all’interno di quello stesso contesto e/o nazione.
            Mettendo un attimo da parte la finzione dell’attuale “destra” e dell’attuale “sinistra” (sulle quali mi pare che siamo tutti d’accordo nel considerarle solo due facce dello stesso sistema capitalistico dominante) e rimanendo in ambito concettuale (facendo cioè finta che Destra e Sinistra siano quelle che storicamente erano una volta), ecco che abbiamo trovato uno dei punti fondamentali che marca la differenza fra la Destra e la Sinistra (anche se qui bisognerebbe aprire una parentesi interminabile, perché ci sono state diverse destre e diverse sinistre, ma insomma, ci capiamo, non possiamo ogni volta scrivere un’enciclopedia…).
            La Destra è interclassista, nel senso che non vuole affatto superare la contraddizione di classe (altrimenti non sarebbe Destra…) che è nel suo DNA, perché la Destra, in quanto tale, non crede nell’eguaglianza e nel conseguente superamento della divisione in classi (il che significa, caro Roberto, che se trionfasse, e sta trionfando, questo modo di vedere le cose, tu ed io resteremmo degli sfigati malriusciti che devono accettare la loro condizione di subalternità). Di conseguenza (la Destra) il problema della natura di classe dello stato non se lo pone proprio, per la semplice ragione che lo da per scontato.
            La Sinistra parte invece dal punto di vista esattamente opposto e contrario. Per superare la divisione in classi e costruire una società fondata sull’eguaglianza è necessario abbattere lo strumento politico del dominio di classe, cioè lo stato (borghese, avremmo detto una volta, ora le cose sono in larga parte mutate, come sappiamo, e sarebbe improprio da un punto di vista concettuale e linguistico considerare l’attuale forma statuale capitalista e imperialista come stato “borghese”, ma questo è un altro discorso ancora…) e ovviamente impossessarsi della macchina statale, con l’obiettivo, o forse sarebbe meglio definirlo come orizzonte ideale, di eliminarlo completamente, appunto perché l’esistenza dello stato comporta contestualmente l’esistenza di un dominio di classe.
            E’ ovvio che stiamo ragionando da un punto di vista concettuale, non contingente. Però era importante chiarire il punto.
            Una volta chiaritolo, ribadisco che io non ho nulla contro la salvaguardia e la rivendicazione delle identità culturali, anzi. Tutti i popoli (lo dice la storia, non il sottoscritto) che hanno combattuto nelle varie epoche contro il colonialismo e l’imperialismo lo hanno fatto rivendicando e difendendo la loro cultura, la loro tradizione e la loro storia dall’aggressione colonialista e imperialista che pretendeva di modificare anche i loro costumi, le loro usanze, la loro cultura, e di imporre quella della potenza imperialista occupante. E’ valso per gli indiani d’America e per gli aborigeni australiani nel XIX secolo, così come per le lotte dei popoli africani, asiatici e sudamericani, per liberarsi dal dominio coloniale, dall’Angola al Mozambico, dall’Algeria alla Palestina, dal Vietnam alla Guinea Bissau e tanti altri ancora.
            Quindi esiste ed è esistito un “identitarismo” democratico, progressivo, progressista (nell’accezione storica e positiva del termine, non quella ce il “politically correct” ha stravolto) e anche socialista e comunista. La lotta di liberazione del popolo vietnamita dal dominio coloniale e imperialista giapponese, francese e americano è un esempio di come una guerra di liberazione di classe si sovrappone e si identifica completamente con la lotta per l’indipendenza nazionale e la difesa e la rivendicazione della propria identità di popolo. Ma si potrebbero portare tantissimi altri esempi, penso appunto a quasi tutti i movimenti di liberazione nazionale e anticoloniali dell’Africa subsahariana dove l’elemento nazionale era del tutto sovrapposto a quello di classe, cioè ad una visione socialista e comunista della realtà. Ma potrei portare tantissimi altri esempi.
            Esiste però anche un’altra forma di “identitarismo”, che invece non ha nulla a che vedere con la prima che è quella, guarda caso molto diffusa nell’occidente capitalistico (o anche in alcuni paesi dell’est europeo, pensa all’Ungheria ad esempio, ma anche ad altri), che pur partendo dalla stessa rivendicazione identitaria (cultura, storia, religione, usi e costumi) è caratterizzata da istanze fondamentalmente antidemocratiche, esclusiviste e razziste e addirittura, in molti casi, con ambizioni e nostalgie neocolonialiste e neoimperialiste, come ad esempio il caso del FN francese che non fa mistero della nostalgia per la “Grandeur” di De Gaulle, cioè della Francia grande potenza mondiale colonialista e imperialista.
            In Italia non abbiamo un fenomeno di questo tipo perché l’Italia ha una storia diversa da quella della Francia (o dell’Inghilterra o della Germania) e nonostante le scellerate (e criminali) avventure coloniali di cui si è resa protagonista, non ha una tradizione di grande potenza colonialista e imperialista.
            La Lega Nord è l’espressione più tipica di quell’identitarismo esclusivista e razzista (anche se riveduto e corretto, per rendersi più presentabile e riuscire ad ampliare i propri consensi) e credo che non ci sia necessità di scendere in dettagli. La “pancia” del militante medio della Lega dice che da Verona in giù non ce n’è per nessuno…
            Se vogliamo invece are un passo indietro nella storia, portando un esempio certamente iperbolico ma forse efficace , un altro esempio di “identitarismo” reazionario e razzista è stato quello degli stati schiavisti e razzisti del sud degli Stati Uniti, che hanno combattuto contro l’espansionismo del capitalismo imperialista yankee accusato (non a torto) di coprire la sua politica imperialista dietro le bandiere dei diritti, dela democrazia e della liberazione degli schiavi neri (in fondo un primissimo esempio di ideologia politicamente corretta applicata). Questo però non ci fa certo diventare simpatici gli schiavisti che dietro le bandiere della difesa delle tradizioni e dei valori del “vecchio sud” (come vediamo, ciascuno produce la sua “falsa coscienza”…) volevano perpetrare un abominevole sistema sociale fondato sulla schiavitù e sulla segregazione razziale.
            Anche in Russia siamo di fronte alla rinascita di un identitarismo nazionalistico che però, data la complessità di quel paese e della sua storia, presenta tante sfaccettature. Come abbiamo visto l’”identitarismo russo vede la compartecipazione di forze molto diverse fra loro; addirittura anche il Partito Comunista (l’attuale secondo partito) sostiene questo processo insieme a forze nazionaliste e tradizionaliste di destra. E non c’è dubbio che proprio questo “identitarismo” è oggi la bandiera della Russia che non vuole essere fagocitata o ridotta, come ha rischiato di essere, a una colonia dell’Occidente. La qual cosa, come ho avuto già modo di dire in un altro articolo, è senz’altro positiva, però non deve farci perdere la bussola. La Russia è un paese capitalista dove il potere è nelle mani di un’oligarchia di capitalisti (in parte ex burocrati riciclati e in parte nuovi ricchi) di cui Putin è il rappresentante politico. Non altro. Come ripeto, per una serie di ragioni, può anche far comodo oggi una Russia siffatta, se non altro è un ostacolo al totale dominio del mondo da parte del capitalismo USA, però, resta comunque strategicamente un avversario, per le ragioni sopra esposte. Voglio dire, da un punto di vista sostanziale, a me non è che cambia molto essere sfruttato da un oligarca locale piuttosto che da un trust multinazionale.
            Il problema, e soprattutto la soluzione del problema, non è quindi nella questione nazionale, che può essere tutt’al più una necessità tattica, anche importante, ma tale rimane. In parole ancora più povere, non si risolve il problema dello sfruttamento, delle diseguaglianze sociali, della divisione in classi, ponendo la questione nazionale. Si risolve mettendo in discussione il dominio capitalistico che è strutturalmente (né potrebbe essere altrimenti) un dominio di classe. A Putin e all’oligarchia al potere che egli rappresenta non gliene importa un bel nulla di mettere in discussione tutto ciò, anzi. Ne deriva che lo scontro in atto fra USA e Russia è un confronto fra due potenze capitaliste, una imperialista, gli USA, e l’altra non ancora imperialista, non per ragioni ideologiche ma solamente perchè non ha la forza per esserlo. Poi è ovvio che in questa fase, la Russia si trovi a sostenere posizioni condivisibili, è normale, vedi il sostegno alla Siria, ai ribelli del Donbass, e addirittura l’appoggio sia pure indiretto a paesi come il Venezuela o Cuba. Ma questo, ripeto, è inevitabile, nel momento in cui si trova a giocare un ruolo in competizione con gli USA.
            Oggi moltissime persone, in buona fede, anche a sinistra, tendono ad attribuire a Putin e alla Russia un ruolo quasi salvifico. Molti altri, sempre a sinistra (ne conosco moltissimi, e comunisti dichiarati), addirittura alla Cina che è un paese ipercapitalista, anzi la seconda potenza capitalista destinata, forse, a diventare la prima (anche se è molto difficile prevedere i tempi) e quindi anche imperialista. A mio parere questi sono gravi errori interpretativi e analitici, per lo meno se si leggono le cose da un certo punto di vista, cioè dal punto di vista di chi si muove nell’orizzonte ideale del superamento del dominio di classe e della costruzione di una società realmente socialista e democratica, senza divisione in classi e senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Poi che questo cammino abbia tempi lunghissimi e non sia affatto scontato (la storia potrebbe prendere, purtroppo, tutt’altre direzioni di marcia e ad oggi è lecito essere pessimisti…) è un altro discorso. Lungo questo cammino si possono e si debbono stringere delle alleanze (anche qui potrei portare decine di esempi, uno dei più calzanti può essere forse l’alleanza in funzione antiimperialista giapponese stipulata fra i comunisti di Mao Tse Tung e i nazionalisti di destra di Ciang Kai Shek) ma, appunto, non si devono confondere la tattica con la strategia, e le esigenze imposte dalla contingenza politica con l’obiettivo strategico e l’orizzonte ideale e culturale di cui si è portatori.
            Ammesso, ovviamente, che si faccia riferimento a quell’orizzonte. Per me è così.

          • Roberto
            16 luglio 2014 at 15:01

            Io tendo a essere pragmatico. Prima si difende quello straccio di democrazia rappresentativa che abbiamo conquistato anche in regime di capitalismo e poi si lotta contro l’interclassismo, altrimenti viene tutto strumentalizzato, com’è già avvenuto, e con la scusa di cambiare la struttura si butta il bambino con l’acqua sporca, e gli stati-nazione diventano l’unica cosa da abolire, e con loro ogni identità (eventuale), e con l’identità ogni capacità reattiva e di autodeterminazione dei popoli. Quindi per ora sposo la visione geopolitica multipolare sino-russa, perché senza quella credo che non ci sarà nessuna lotta di classe possibile.
            Ci sarebbe anche da chiedersi cosa abbia fatto la sinistra per appropriarsi della difesa identitaria, nel senso sano del termine, togliendo acqua al mulino della destra. Niente. La sinistra si è data al più sfrenato mondialismo ed ha lasciato questi argomenti nelle mani dei suoi oppositori. In Italia questo si caratterizza anche con una fortissima tendenza all’esterofilia nelle forme di espressione artistica. Rifiuto categorico di riconoscersi nelle proprie radici culturali. Questo ha fatto il gioco del moderno capitalismo finanziario transnazionale, del colonialismo anglosassone passato oltremodo per la via dell’inculturazione, malgrado un debito morale che l’Italia deve per quanto accaduto col fascismo. Ed è questo secondo me il primo allarme, solo dopo viene il resto.

  13. Fabrizio Marchi
    16 luglio 2014 at 15:27

    Questo è un altro discorso sul quale posso essere sicuramente d’accordo. Ma appunto perché chiarisce alcuni aspetti di prospettiva che però è sempre bene ribadire. Perché ricordo sempre che l’umanità ha progredito perché c’è sempre stato qualcuno che ha gettato il sasso oltre la siepe. Non dobbiamo aver timore di lanciarlo. Anzi, questo giornale è nato proprio per questo, per contribuire ad alimentare e su taluni argomenti addirittura a creare dal nulla un dibattito a 360°, senza timore di essere presi per dei visionari o degli utopisti. Questa è una critica sterile e priva di fondamento che guarda caso fanno sempre gli ultrapragmatisti (che sono sempre quelli schierati o proni al potere) a chi lavora e si impegna per cercare di trasformare la realtà.
    Relativamente alla “sinistra” attuale e alle sue responsabilità storiche e politiche sono perfettamente d’accordo con te, non c’è neanche bisogno di ribadirlo ogni volta. Do la cosa per scontata.

    • Roberto
      17 luglio 2014 at 0:12

      Figurati Fabrizio, io faccio parte del gruppo del “gombloddo” e sono abituato a ricevere critiche per osare analisi poco ortodosse. Solo credo che in questo momento nel mondo si stanno ridefinendo i rapporti di forza (tra capitalismi) e che sia un momento critico, al punto da sentire il bisogno di schierarmi e di darmi delle priorità. Non ho alcun desiderio di “ingabbiare” le tue analisi, anzi. Le leggo con interesse e in gran parte le condivido.

  14. Roberto
    27 luglio 2014 at 3:07

    C’è una cosa da evidenziare: la Lega è stato l’unico partito che si è schierato contro la guerra in Jugoslavia e l’infame no-flyzone-trasformata-in-guerra in Libia. Come mai? Merito loro o demerito di altri?
    Il mancato veto sulla no-fly-zone libica da parte di Russia e Cina ha rappresentato un punto di svolta geopolitico di fondamentale importanza.
    Li hanno trattati come pezze da piedi e da quel momento è finita la fiducia tra est e ovest. Quello che stiamo vivendo, la nuova guerra fredda, parte da lì.
    Dov’era la sinistra? Stava giocando al mondialismo insieme ai poteri capitalistico-finanziari globali?
    La sinistra deve gettare la maschera.
    La sinistra è come Schettino: ha abbandonato la nave. Ci sono i morti, i suicidi, gli sfruttati, i sottopagati, e si fa finta di non averli visti.
    C’è una crisi economica strumentale, e la sinistra invece di denunciarne la strumentalità, preferisce dare del complottista a chi la denuncia.

  15. Fabrizio Marchi
    18 novembre 2014 at 19:01

    Un’ottima analisi di Leonardo Mazzei sulla Lega Nord. E’ ora di fare chiarezza sulla vera natura di questa formazione politica e devo dire che Mazzei offre un contributo lucido e puntuale in tal senso:
    http://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/4299-leonardo-mazzei-unaltra-lega-nord-non-e-possibile.html

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