Rossana Rossanda: Un secolo di vita comunista

Rossana Rossanda è stata fino al suo ultimo giorno una comunista del ‘900, un intellettuale che non ha mai rinunciato alla politica. Mi è stata maestra nella seconda metà degli ‘70, insieme al resto di quel formidabile gruppo di intellettuali, giornalisti e dirigenti politici che fu “il manifesto”. Di loro  rappresentava un po’ la chioccia e per  noi giovani studenti un’autorità che fu soprattutto culturale. Era stata, infatti, responsabile culturale del PCI dal 1964, nominata da Palmiro Togliatti. Un incarico prestigiosissimo, da dove cercò di avviare un radicale rinnovamento che non ebbe alcun successo dentro il PCI. La sua formazione filosofica milanese, allieva di Antonio Banfi, l’aveva portata a conoscere e dialogare con la cultura francese radicale ed egemone nell’Europa degli anni e 50 e 60. Fu buon amica di Jean Paul Sartre e di Louis Althusser, cosi come conobbe più tardi  Michel Foucault: esistenzialismo, cioè neo umanesimo, strutturalismo, cioè neo spinozismo e ricerca del radici “disciplinari” della modernità. Approcci che avrebbero aiutato ad affrontare il “neocapitalismo”, che anche in Italia si andava affermando con il boom economico, ma che non scalfirono il grosso del PCI. Dopo la sconfitta della linea ingraiana all’XI congresso nel 1966, arrivò la radiazione nel 1969. Sarà, da allora, soprattutto la direttrice e l’animatrice principale de il giornale Manifesto. Da quel clima francese, aveva mutuato quel certo approccio illuministico, ritenendo la chiarificazione culturale e teorica preliminare all’azione e al compromesso politico. In ciò era molto distante dal realismo di Lucio Magri all’altro polo di quel gruppo, benché manterrà con lui un rapporto umano profondissimo, fino alla fine. Entrambi sono però, figli della seconda generazione di comunisti del 900 e vivono vita e militanza come una cosa sola, come “progetto” secondo il concetto di Sartre, l “engageé”. Due i passaggi più significativi della sua iniziativa politica: nel 1968 con L’anno degli studenti individua nel soggetto giovanile un possibile elemento di rinnovamento del movimento operaio; rispetto ad altri gruppi, operaisti e spontaneisti, è però convinta che occorra una mediazione per depurare la ribellione giovanile dall’origine borghese; anche qui gioca un ruolo importante la cultura. L’altro passaggio è la lunga e profetica riflessione sulla crisi del socialismo reale; partita dal maoismo del 66-68 (la rivoluzione culturale), si conclude con due convegni su Potere e opposizione nelle società post-rivoluzionarie, dove cercò nel 1978 la creazione di un fronte di dissidenti di sinistra per superare il burocratismo dei sistemi del est Europa. Dialogò ma soprattutto litigò con il femminismo, ritenendo da marxista che fosse determinante la condizione sociale e la scelta comunista per rivoluzionarla. L’ultima battaglia dove ci incontrammo e tutto il gruppo de il manifesto si riunì fu quella, del biennio 1989-91, contro lo scioglimento del PCI, in fondo lei come tutti noi avevamo fatto del tutto per poter modificare un destino segnato per il partito di Togliatti.

È morta Rossana Rossanda - IlGiornale.it

16 commenti per “Rossana Rossanda: Un secolo di vita comunista

  1. Gian Marco Martignoni
    20 settembre 2020 at 22:00

    Leggendo Il manifesto dal 1974, naturalmente non ho perso un articolo o un libro di Rossana Rossanda, che è stata più che fondamentale per la mia formazione politica e culturale. Ricordo un suo memorabile articolo nell’estate del 1977, dove tra i libri da leggere, che aveva indicato ai giovani lettori, c’era lo straordinario ” Storia e coscienza di classe ” del filosofo ungherese Giorgy Lukacs. Allo stesso modo, finchè ne ha avuto le forze, ricordo la sua proverbiale presenza ai congressi nazionali della Cgil, ove voleva verificare dal vivo lo stato e la materialità della contraddizione capitale-lavoro. Grazie Rossana, sei stata la nostra indimenticabile maestra.

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  2. Roberto Donini
    20 settembre 2020 at 23:24

    Aveva una cultura sterminata, quella generazione di intellettuali organici so slanciata verso la realtà. Come dici bene partecipava anche a congressi sindacali e assemblee studentesche. In ballo c’era ancora un partito di massa come il PCI,che doveva essere salvato. Non ci riuscimmo, perché come disse poi e credo a ragione, il PCI finì con Togliatti. Magri non era d’accordo, ma la Storia ha dato ragione a Rossanda.

  3. Mario Galati
    21 settembre 2020 at 17:18

    Mi dispiace per la morte di Rossana Rossanda e per i meriti che, indubbiamente, ha avuto, ma mi sento in dovere di discostarmi dal generale tono di elogio acritico della sua storia.
    Tutti la celebrano, anche i liberali, i quali, però, accanto all’aggettivo “comunista”, non mancano di aggiungere la sottolineatura “libertaria”. Non credo di dover spiegare il senso di ciò, anzi, il sottinteso.
    Ma assumiamo, insieme a questo, un altro fatto: ella si era schierata contro l’intervento sovietico in Cecoslovacchia, nel 1968; successivamente si schierò sostanzialmente a favore dell’aggressione della NATO in Libia, insieme a Susanna Camusso.
    Credo che questi due fatti (non questa parabola, perché non so quanto le due posizioni indichino davvero un’incoerenza) dovrebbero dirci qualcosa (è qualcosa che, tra l’altro, riguarda tutto il giornale Il manifesto e il suo ruolo).
    Non aggiungo altro.

    • Luciano Pietropaolo
      22 settembre 2020 at 15:31

      Diciamo di piú, aveva invocato la formazione di “brigate internazionali” come durante la guerra di Spagna, per dare man forte ai “rivoluzionari” di Bengasi in guerra contro il “tiranno” Gheddafi. E fu presto accontentata, dai piloti di cinque paesi della Nato. Ricordo pure in quel tragico frangente, le parole di Pietro Ingrao davanti alle telecamere: “Quello (Gheddafi) è un mascalzone!”. Cosí crollano i miti, istantaneamente e irrimediabilmente (almeno per me): infatti questi numi del comunismo novecentesco non hanno mai fatto un’autocritica dopo di allora, anzi hanno proseguito dalla Libia alla Siria a testa bassa contro Assad e oggi certamente contro Lukashenko. La loro capacità e profondità di analisi si è spenta difronte agli scenari odierni (a partire dal crollo sovietico) e la loro eredità è alquanto sterile. Gli anni 50, 60,70 del novecento sono stati la loro grande stagione, ma il rivisitarli secondo la loro ottica è pura operazione di “nostalgia canaglia” per coloro che allora c’erano e oggi hanno i capelli bianchi.

  4. armando
    22 settembre 2020 at 13:58

    Non so quanto la Rossanda abbia dialogato e quanto litigato colle femministe. So però che è stata parte integrante del gruppo dirigente del Manifesto, un giornale a)ultrafemminista, b) favorevole alla GPA, ai matrimoni gay ed a tutte quelle “innovazioni” libertarie sponsorizzate dalle grandi corporations, e provenienti dal progressismo liberal, di cui tutto si può dire fuorchè sia anticapitalistico.c)in politica estera è filoatlantico , condividendo le peggiori avventure della Nato & co. La Rossanda ha mai preso seriamente e chiaramente le distanze da tutto questo? Se non le ha prese, per quanto mi riguarda non è il caso, ferme le condoglianze come per qualsiasi altra persona, di lasciarsi andare ad elogi.

    • Fabrizio Marchi
      22 settembre 2020 at 15:31

      Sono d’accordo con te, naturalmente. C’è anche però da dire che la Rossanda appartiene ad un’altra generazione e che non è mai stata in prima fila nelle battaglie femministe. Si avvicinò al femminismo solo in un secondo momento, però non mi sentirei di considerarla una leader o una intellettuale femminista. Poi, certamente, come dici giustamente, non ha neanche mai preso le distanze dal femminismo (del resto, chi lo ha mai fatto finora? Fuori un nome, donna o uomo che sia 🙂 in Italia solo parzialmente Costanzo Preve fra i nomi conosciuti…). C’è inoltre da dire che con il Manifesto aveva rotto ormai da molto tempo. La frattura non è stata enfatizzata da ambo le parti proprio per l’autorevolezza della persona che ne è stata una delle fondatrici insieme a Pintor, Magri e altri. Non credo che la frattura sia stata sul femminismo ma credo proprio sull’impostazione “liberal” del Manifesto degli ultimi vent’anni almeno (che certo, prevede anche la totale organicità al femminismo…)…
      Diciamo che un articolo commemorativo mi pare, tutto sommato, un atto dovuto, ad una donna comunque di un certo spessore e valore, come indubbiamente è stata lei. Lo abbiamo fatto anche per Ingrao che, a mio parere, oltre ad essere intellettualmente e culturalmente inferiore alla Rossanda, è stato anche molto timoroso, titubante e tardivo nelle decisioni e nelle scelte importanti da prendere. Per il resto, condivido, come già detto, quanto hai scritto.
      P.S. Aggiungo che non la seguivo più da anni e anni ormai, quindi non saprei neanche quali fossero le sue posizioni più recenti o relativamente tali.

    • Alessandro
      22 settembre 2020 at 17:16

      Non volevo intervenire per primo per ridimensionare un’icona, ma dal momento che hai rotto tu il ghiaccio aggiungo qualcosa anch’io.
      Sicuramente è stata anche quello che viene riportato nell’articolo, ma non possiamo tacere anche dei limiti della persona, che vanno da una prosa non di rado poco chiara, e questo non credo sia un titolo di merito per un/a giornalista, ma qui siamo ancora nella sfera della percezione soggettiva, a un’adesione acritica al femminismo che la colloca a pieno titolo tra i rappresentanti della sinistra radical chic, all’occidentale, ben distante dalla sinistra “comunista” all’orientale, per quanto amasse definirsi “bolscevica”. Valga come titolo di esempio questo stralcio da un articolo pubblicato nel 2008, quando era già piuttosto anziana, ma, essendo stato anch’io lettore de “Il Manifesto”, anche in precedenza non si è mai discostata da certi toni.

      “Siamo davanti a elezioni che si autodefiniscono costituenti, e di donne non si parla. Sono metà del paese, anzi un poco di più e in politica contano meno che in qualsiasi altro campo. Ci sono donne capi di stato e di governo nei paesi d’occidente e nei paesi terzi. Che in questi siano perlopiù moglie o figlia, orfana o vedova di un illustre defunto è un arcaismo ma, rispetto a una tradizione che non ammetteva donne al comando, è una frattura. Negli Usa l’avvocata Hillary Rodham corre anch’essa con il nome del marito, perché è l’ex presidente Clinton.
      In Italia non siamo neanche a questo, e arrivarci non sembra urgente né alle destre né alle sinistre. In Francia Nicolas Sarkozy ha composto il suo governo metà di uomini e metà di donne. Più abile delle nostre maschie mummie, con tre di esse ha preso due piccioni con una fava: la maghrebina e la senegalese sono, socialmente parlando, due belve, la femminista non ha più seguito. E’ vero che Sarkozy interviene su tutto e tutti, maschi o femmine che siano, ma in quanto monarca è più avvertito dei nostri.
      I quali non riescono a fare fifty-fifty non dico un governo, ma le liste, lasciando al sessismo ordinario dell’elettorato di scremare le presenze femminili. Per cui sarei a proporre – non per la prima volta e come recentemente l’Udi – che le Camere siano composte metà di uomini e metà di donne. Almeno finché esiste in Italia, e non si schioda da oltre mezzo secolo, una democrazia che discrimina il genere.
      Insomma il maschio politico italiano è ancora un bel passo indietro rispetto alla semplice emancipazione. E le donne italiane come sono?”

      Precisato questo, sicuramente è stata una persona colta, raffinata, schierata in difesa degli ultimi, ma quel sessismo strisciante l’ho sempre percepito piuttosto antipatico. D’altronde è sempre stato denominatore comune ne “Il Manifesto”, ottimo quotidiano fino a quando non affrontava tematiche di genere. Lo stesso discorso lo si può fare per le varie Dominijanni, Rangeri, ecc.. Purtroppo o per fortuna, non ho mai avuto lo stomaco del lettore ortodosso di sinistra. Continuo a pensare, in disaccordo con i più, che non esistano le donne e gli uomini per una sinistra che si richiama alla tradizione novecentesca, bensì gli sfruttati e gli sfruttatori, i lavoratori e i capitalisti. Il resto è buono per il “dividi et impera”, gioco a cui si presta, più o meno consapevolmente, buona parte della sinistra cosiddetta antagonista.

      • Fabrizio Marchi
        22 settembre 2020 at 21:09

        Con la premessa che condivido in toto il tuo commento, non metterei assolutamente sullo stesso piano la ultra femminista Dominijanni e soprattutto la Rangeri che è veramente il nulla, con la Rossanda. Dopo di che, ripeto, sono d’accordissimo con te e ribadisco che l’articolo che abbiamo pubblicato è stato un atto dovuto ad una donna che comunque è stata una dirigente e un intellettuale comunista di un certo rango, anche se poi ha finito anche lei per seguire la parabola della “sinistra” radical, forse anche in buona fede (ma questo in politica è del tutto irrilevante…), pensando che quello in atto fosse un processo di rinnovamento e non un adesione organica alla ideologia neoliberale. Come ripeto, abbiamo seguito la stessa linea anche con Ingrao che obiettivamente è stato mitizzato ma se andiamo ben a vedere, a mio parere, è arrivato sempre tardivamente e a giochi fatti sulle cose e non ha marcato significativamente la storia politica del PCI. Se ne è andato a qualche anno di distanza dalla svolta della Bolognina in modo molto soft, di fatto andando in pensione. Non mi pare che dal punto di vista intellettuale e culturale abbia prodotto un gran che, devo essere sincero. Alla fin fine ha giocato il ruolo dell’anima di sinistra all’interno del PCI, una sorta di testimonianza ma nulla più. La Rossanda, almeno, ha avuto il coraggio di uscire dal PCI (anche se era stata espulsa, se avesse mediato sarebbe certamente rimasta…) e di fondare il Manifesto che per qualche anno ha avuto un certo ruolo ed è stato un giornale che ha dato un contributo notevole al dibattito. Dopo di che dai primissimi anni ’90 e forse anche prima è iniziata la deriva di quel giornale che, per quanto mi riguarda, è diventato illeggibile da almeno una ventina di anni.

  5. Gian Marco Martignoni
    22 settembre 2020 at 22:17

    Credo che al Manifesto anni ’70 vada riconosciuto un ruolo politico e culturale di prim’ordine.A distanza di cinquat’anni misuriamo la distanza siderale da quell’esperienza, tanto che la sinistra comunista e radicale è ormai da tempo – Bertinotti docet – un residuo ridotto all’insignificanza. In quanto al rapporto della Rossanda con il femminismo, a partire dal libro ” Io e le altre”, si può senz’altro dire che è stato sia di carattere dialogic , sia votato ad una certa ricerca intellettuale, senza scadere in quel differenzialismo anti-marxista di cui Ida Dominianni è stata una delle maggiori esponenti.La Rossanda non ha mai dismesso la centralità della contraddizione capitale-lavoro, non ha mai condiviso il postmodernismo dell’ultimo Manifesto quotidiano, tanto che nell’ottima intervista a firma Marco D’Eramo pubblicata sul numero 2 di MicroMega del 2017 è lapidaria : ” Il manifesto è il solo giornale autonomo che resta,ma dubito che riesca a dare un contributo politico e teorico che conti “. Un giudizio che condivido in toto, giacchè pur continuando a leggerlo ogni giorno, ho ben presente la differenza dai tempi che furono, compreso l’abbandono di quell’analisi marxista, che è stto il motivo vero di rottura con i Menichini, i Bascetta, ecc. Consapevole, però, della desertificazione sociale e culturale di cui siamo stati spettatori non passivi in quest’ultimo ventennio.Infine, non ci sono paragoni tra la Rossanda, cresciuta alla scuola del razionalismo critico di Antonio Banfi a Milano ,e la retorica enfatica di Pietro Ingrao

    • Mario Galati
      23 settembre 2020 at 14:14

      Non ho intenzione di difendere Ingrao, ma è stato il “razionalismo critico di Antonio Banfi” a indurre Rossana Rossanda a dare man forte all’aggressione imperialista contro la Libia?
      Forse la “retorica enfatica di Pietro Ingrao” l’avrebbe tenuta lontano da quella posizione ignobile per una che si definisce comunista?
      Evitiamo di coinvolgere anche Antonio Banfi.

  6. Roberto Donini
    23 settembre 2020 at 15:43

    Condivido molto l’intervento di G.Marco Martignoni e aggiungo che la storicizzaione è necessaria, per comprendere “cio che vivo e ciò che è morto” di quella che comunque fu un’eperienza molto paticolare. Diede infatti vita ad un giornale di grande livello -il manifeso- e poi produsse un piccolo gruppo -il PdUP- che però fece una grande battaglia: spostare il PCI dal compromesso storico all’alternativa di sinistra. La questione della radiazione è a mio avviso secondaria; il problema è infatti l’esito dell’XI congresso e non della fedeltà all’URSS. Il PCI dopo la morte di Togliatti non riesce ad affrontare il “neocapitalismo”, a posteriori non ci riuscirà nessuno, nenache il manifesto stesso ma almeno loro se lo porrannoo come problema e Magri in particolare in termini leniniani. Cioè come si fa a ricostruire un soggetto politico operaio, quando l’americanismo incombente sta trasformando la classe operaia in “aristocrazia” e il resto della società e omologata nel consumo di massa. Questo aspetto di ricerca non se lo pone nessun’altro a sinistra -moderata e o radicale- e infatti il PCI, poi decadrà. A me è poi capitato un destino strano, a metà degli anni ’80 mi spostai a Milano e conobbi Costanzo Preve, che anch’io ritengo non solo un marxista originale ma un grande filosofo. Lui, così schietto, stroncherà sempre quelli del manifesto e tuttavia ritengo che lì ci sia un eccesso di condanna morale per i costumi libertari e borghesi del gruppo (pur veri) e un giudizio troppo “puro” sul marxismo eclettico degli stessi. La sua stroncatura in un certo senso è corretta ma sottovaluta come la “supremazia della politica” sulla “filosofia” sià il tratto distintivo di quell’esperienza – di ciò Preve imputa Lenin stesso- in quell’epoca lì gli anni 60/70,di engageé. Così perde due cose: 1) i piccoli successi politici di quel gruppo, che attenua, almeno un po’, la decadenza del PCI, 2) la non riduzione del marxismo a fede e religione messianica su cui insiste in altri momenti proprio la critica di Preve verso la cultura antifilosofica di tanti sinistresi -di tutte le scuole-.

  7. armando
    23 settembre 2020 at 16:32

    L’articolo del 2008 riportato da Alessandro dice tutto. Prima le donne, poi si vedrà. Ma quell’emancipazione per cui la Rossanda tifava, è esattamente quella promessa e attuata dal capitalismo, che infatti è ormai tarato su tutto ci che è femminile o gli somiglia, e che anzi va a vele spiegate verso una netta egemonia sociale femminil/femminista con grande gaudio di tutti. Quanto all’uscita da “sinistra” dal Pci, occorre in primo luogo ricordare che il gruppo del Manifesto non se ne andò di sua volontà ma fu radiato dal partito. E comunque significa poco. Quanta parte della sinistra allora rivoluzionaria è diventata iperfemminista, ultratlantista e liberal? la stragrande maggioranza! non parlo di chi è rientrato nei ranghi dopo la vacanza da scavezzacollo che ogni buona borghesia concede sempre ai suoi rampolli, ma di coloro che si ostinano ancora oggi a credersi rivoluzionari e antisistema, solo cambiando il soggetto dal proletariato alle donne. Cito solo un campione di questa deriva: Adriano Sofri, da ultraoperaista a ultrafemminista in modo quasi “naturale” sin dal 1976, quando sciolse Lotta Continua anche sull’onda della spinta delle “compagne” e della parola d’ordine “il personale è politico”. Il Manifesto ha subito identica parabola, e la Rossanda ne è stata parte attiva. E questo dovrebbe far pensare sul fatto che quelle derive fossero già contenute in germe in alcune concezioni iniziali. Che poi la Rossanda sia stata persona coltissima non ci piove, ma che vuol dire? Forse che le persone coltissime si trovano solo da una parte? Sai quante persone colte sono su posizioni inaccettabili? Ecco, direi allora che questa storia della “cultura” è significativa della solita spocchia di una sedicente sinistra secondo cui la cultura alberga solo da quelle parti e tutto il resto è becerume. Tornando al tema, la verità è una e solo una: benchè quelle derive antimaschili ecc. ecc. ecc., fossero visibilissime ormai da decenni, il primo che ha avuto il coraggio di prendere posizione netta e inequivocabile, è stato Fabrizio. Ed è per questo che, da posizioni non sempre coincidenti, gli ho sempre augurato che la sua impresa avesse successo. Ora, finalmente, qualcosa sembra muoversi, qualche accenno a una critica del femminismo arriva anche dalla cultura accademica di “sinistra”. Ben venga, ovviamente, ma sant’iddio, quanto tempo c’è voluto per vedere cose evidentissime già da molto tempo?

  8. Gian Marco Martignoni
    23 settembre 2020 at 22:07

    Non ho condiviso , caro Mario Galati,la posizione della Rossanda sulla Libia, ma ciò non attenua la mia stima nei suoi confronti.In quanto al rapporto con Antonio Banfi di quella generazione ha scritto un articolo molto interessante Aldo Tortorella su Il manifesto di ieri, ed anche Ferruccio Cappelli nelle lettere on-line , in qualità di direttore della casa della Cultura di Milano.Nel primo Preve , per intenderci i libri editi dalla Vangelista Editore ,caro Roberto Donini, il giudizio sulla Rossanda non era per nulla scostante.Sugli sviluppi successivi , invece, condivido il tuo giudizio.Avendo letto quasi completamente gli scritti e i libri di Costanzo, di cui sono stato amico e compagno,non ho molte volte condiviso tanti suoi giudizi politici.

  9. Fabrizio Marchi
    24 settembre 2020 at 10:23

    In tutta sincerità non ero al corrente delle posizioni della Rossanda sulla Libia e a questo punto – ritengo – anche su altre questioni di politica internazionale anche perché – come ho già detto – non la seguivo più ormai da decenni, e ora che le apprendo le trovo gravissime. E questo non può che modificare in senso negativo il mio giudizio. Non che prima fosse splendido però per me il suo nome restava fondamentalmente legato all’esperienza del primo Manifesto, della rottura da sinistra con il PCI e al tentativo di costruire una Sinistra alternativa. Progetto, quest’ultimo, ancorché fallito, dal momento che sappiamo bene quale sia stata la deriva di quello stesso “progetto”. O forse, come dice Armando, non è stata una deriva e i germi della sua degenerazioni in senso neoliberale erano già contenuti in esso. Mi riferisco ovviamente alla totale adesione all’ideologia neoliberale e politicamente corretta a cui è approdata quella “sinistra” lì. L’appoggio (o anche la semplice equidistanza) alla guerra imperialista contro la Libia di non può essere ritenuto un semplice errore. E’ il risultato di una analisi e di una impostazione politica. Un vero e proprio spartiacque. Aggiungo, a questo punto, condividendo quanto detto da Armando e anche da Mario Galati, che il tutto non è casuale. C’è un filo conduttore che unisce l’adesione all’ideologia politicamente corretta, al femminismo e alle guerre imperialiste che ovviamente NON è casuale. E chi non lo ha capito, tra le nostre fila (ancora la gran parte dei compagni e delle compagne, purtroppo…), vuol dire che non ha capito nulla della realtà attuale, e soprattutto dei processi di trasformazione del sistema capitalista, anche e soprattutto dal punto di vista ideologico. E questo è veramente un fatto drammatico perché ci conferma la capacità di penetrazione ideologica del capitale e della sua ideologia.

  10. Fabrizio Marchi
    24 settembre 2020 at 10:32

    Aggiungo – e mi scuso con tutti per l’ignoranza – che se avessi saputo delle gravissime posizioni assunte dalla Rossanda sulla Libia, non avrei pubblicato alcun articolo commemorativo, sia pure nei termini dell’atto formale dovuto (come in effetti è stato). Passi (si fa per dire…) per la sua adesione al femminismo nel senso che per una donna dirigente e intellettuale di sinistra italiana questo è quasi una sorta di passaggio inevitabile e scontato, ma l’appoggio ad una guerra imperialista è inaccettabile da qualsiasi punto di vista.
    In ogni caso, la pubblicazione di questo sia pur breve articolo commemorativo è stato comunque utile perché ci ha fornito l’occasione per approfondire alcuni temi fondamentali e “scabrosi”.

  11. Mario Galati
    24 settembre 2020 at 15:41

    Certo, non c’è paragone. Fatto sta che entrambi, anzi, in modo più esplicito Rossana Rossanda, hanno assunto la medesima posizione filoimperialista sull’aggressione alla Libia. Questo, naturalmente, dimostra in modo inoppugnabile la superiorità intellettuale di Rossana Rossanda su Ingrao. È un dogma di fede che non si può mettere in discussione.

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