Marxisti antimoderni – Antologia

Barcellona, Baudrillard, Camatte, Collu, Debord, Preve, Tronti (e altri)

Nota introduttiva. indice.1

Questa raccolta di brani nasce sulla scia di alcuni articoli pubblicati sul Covile che si sono occupati di autori di area marxista critica, non conformi alla lettura scolastica di Marx. Proprio a partire dai testi marxiani si sono in effetti sviluppate molteplici linee di pensiero accomunate da una visione critica della modernità e, in maniera meno omogenea, anche della tecnica; posizioni certamente opposte a quelle consuete e progressiste, ma non meno legittime. Parliamo di aree e movimenti formatisi negli anni sessanta del secolo scorso intorno alla lettura dei Grundrisse,(1)  quando da un lato l’espandersi del capitalismo – che andava trasformando non solo le strutture economiche ma anche quelle antropologiche delle società –  dall’altro le contraddizioni dell’esperienza sovietica posero la necessità di risalire alle origini del marxismo, non tanto per darne una lettura più autentica quanto per elaborare originali linee interpretative e proposte attinenti alla nuova realtà. Ci riferiamo in particolare a quattro centri di pensiero e iniziativa: i situazionisti {Henry Lefebvre, Guy Debord, Jaime Semprun, Raoul Vaneigem, Jean Baudrillard}, il gruppo intorno alla rivista Invariance {Jacques Camatte, Gianni Collu, Giorgio Cesarano}, gli operaisti {Raniero Panzieri, Mario Tronti, Toni Negri}, la scuola di Louis Althusser {Gianfranco La Grassa, Costanzo Preve (da cui Diego Fusaro)}. Non trattandosi di aree completamente separate, ma di una specie di grande laboratorio, è una storia ancora da ricostruire quella del loro interscambio – idee, letture, persone – che fu forte e continuo e in qualche modo si è protratto fino ai nostri giorni (vedi la ripresa da parte di Preve e Fusaro di alcuni temi di Invariance, segnatamente su dominio reale e comunità).

esiti

Se a quell’epoca le intuizioni di autori come Lefebvre, Debord (via, come pare, l’incontro con Günther Anders), Collu, Camatte o Baudrillard potevano apparire astratte e apocalittiche, oggi diviene una mera constatazione che la realtà abbia superato l’immaginazione, e in questo senso è significativo che sul giudizio della società attuale come disumanizzante convergano filosofie e visioni del mondo assai lontane. Tale giudizio comune non implica tuttavia sincretismo e le soluzioni proposte, o meglio le direzioni verso le quali orientarsi, risultano ancora decisamente variegate. Per contro, da tali scuole, un tempo piuttosto coese, si sono dipartite con gli anni linee di ricerca tra loro incompatibili: si pensi all’operaismo italiano, che ha visto Toni Negri (grazie anche alla frequentazione con Gilles Deleuze e Félix Guattari) sposare pienamente modernità, capitale e impero americano, mentre contemporaneamente Mario Tronti, maturando un ripensamento profondo, incontrava proficuamente il grande pensiero conservatore.

La presente antologia di testi, organizzata secondo un percorso strutturato, vuol essere quindi anche un invito a risalire alle fonti di autori di cui è indiscutibile il coraggio intellettuale e la capacità di anticipare l’oggi, fino alla visionarietà.

(1)  Pubblicati per la prima volta in versione integrale nel 1939-41 dall’IMEL di Mosca, i Grundrisse e altri inediti marxiani cominciarono a circolare in Europa dal 1958 con la mitica edizione MEGA (Marx-Engels-Gesamtausgabe). In italiano e francese furono tradotti dai bordighisti (Bruno Maffi, Roger Dangeville) e dagli operaisti (Renato Solmi, Enzo Grillo).

Premesse.

IL CAPITALE TOTALE. LETTURE DEL CAP. VI.

1. Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore (Marx 1847: Cap. I §1).

2. L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione (Debord 1967: tesi I).

3. Lo spettacolo sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi (Debord 1967: tesi 16).

4. Il punto di partenza della critica dell’attuale società del capitale, deve essere la riaffermazione dei concetti di dominio formale e dominio reale come fasi storiche dello sviluppo capitalista. Ogni altra periodizzazione del processo di autonomizzazione del valore […] non ha fatto altro che mistificare il passaggio del valore alla sua autonomia completa, vale a dire l’oggettivazione della quantità astratta in processo nella comunità materiale. Il capitale, come modo sociale di produzione, realizza il proprio dominio reale quando perviene a rimpiazzare tutti i presupposti sociali o naturali che gli preesistono, con forme di organizzazione specificamente sue, che mediano la sottomissione di tutta la vita fisica e sociale ai propri bisogni di valorizzazione; l’essenza della Gemeinschaft (comunità) del capitale è l’organizzazione (Collu 1969).

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5. […] il capitale astrae l’uomo. Il che vuol dire che gli prende tutto il suo contenuto, tutta la sua materialità: forza-lavoro; tutta la sostanza umana è capitale. […] L’uomo è l’uomo astratto definito dalla costituzione. Inoltre non bisogna dimenticare che il capitale s’è assoggettato tutta la scienza, tutto il lavoro intellettuale umano, e domina proprio in nome di questo ammasso di conoscenze. Esso è la   conoscenza, l’uomo la manovra. Al contrario dell’uomo della società feudale che era soprattutto animale, l’uomo della società borghese è puro spirito (Camatte 1974: 4-5).

6. Il capitale, anche quando sembra cadere al di fuori della sfera di produzione industriale, produce tutto in serie e riduce gli esseri umani alla medesima situazione di dipendenza di fronte a se stesso. È l’alienazione portata a termine. Gli esseri umani sono totalmente divenuti «altro» oppure, il che è lo stesso, gli schiavi hanno a tal punto accettato il potere del padrone da esserne divenuti il simulacro. Con ciò è finita qualsiasi dialettica fra forze produttive e rapporti di produzione di cui parlava Marx nell’«Introduzione» del 1857; e d’altra parte la produzione non è più solo produzione per la produzione, bensì produzione per  la riproduzione del capitale (Camatte 1978: 5).

7. [Il capitalismo] diventa assoluto-totalitario: assoluto perché – in termini hegeliani – pienamente corrispondente al proprio Begriff, ossia tale da esprimere in forma compiuta la propria segreta logica immanente […], totalitario, perché ha sussunto sotto di sé la totalità sociale, simbolica, produttiva, culturale, andando a saturare ogni ambito della produzione, dell’esistenza e dell’immaginazione e segnando l’avvenuta presa di possesso totale dal parte del mercato, di tutti gli aspetti della riproduzione sociale (Fusaro 2012: 373).

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8. Nell’«orizzonte unico» della merce, il capitalismo diventa «speculativo» poiché – data la sua natura totalitaria e assoluta – vede ormai se stesso riflesso in ogni determinazione del reale. Ogni cellula della realtà è stata colonizzata dall’illimitata mercantilizzazione posta in essere dal fondamentalismo economico, nella transizione da un sistema dicotomico e conflittuale (dialettico-antitetico) a un capitalismo assoluto, monocratico, totalitario e imperiale (Fusaro 2012: 375).

IL TEMPO SOTTOMESSO

9. Mentre nella fase primitiva dell’accumulazione capitalistica «l’economia politica non vede nel proletario che l’operaio», ovvero colui che deve ricevere il minimo indispensabile per la conservazione  della  propria   forza-lavoro, senza mai considerarlo «nei suoi svaghi e nella sua umanità», questa posizione delle idee della classe dominante si inverte nel momento in cui il grado d’abbondanza raggiunto nella produzione delle merci esige un surplus di collaborazione da parte dell’operaio. […] Allora l’umanesimo della merce prende in carico «gli svaghi e l’umanità» del lavoratore, semplicemente perché l’economia politica può e deve ora dominare queste sfere in quanto economia politica. Così «il rinnegamento compiuto dell’uomo» ha saturato la totalità dell’esistenza umana (Debord 1967: tesi 43).

10. Dominio reale del capitale significa quindi che non soltanto il tempo di vita e le capacità mentali del proletariato gli vengono espropriate, ma che prevalendo ormai (sul piano spaziale) il tempo di circolazione su quello di produzione, la società del capitale crea popolazione «improduttiva» su larga scala – crea cioè la stessa «vita» in funzione delle proprie necessità per fissarle poi nella sfera della circolazione e delle metamorfosi del plusvalore accumulato. Il ciclo si chiude con una identità: tutto il tempo di vita degli uomini è il tempo socialmente necessario alla creazione e alla circolazione-realizzazione del plusvalore; tutto è misurabile dalle lancette degli orologi. «Il tempo è tutto, l’uomo non è più nulla, esso diviene tutt’al più la carcassa del tempo» (Anti-Proudhon) (Collu 1969).

11. Si è arrivati all’organizzazione del tempo per il capitale ed è a partire da ciò che il capitale ha potuto mettere a punto la programmazione di ogni aspetto della vita umana (Camatte 1978: 6).

12. […] c’è integrazione dei diversi momenti e il capitale diventa esso stesso soggetto consumatore. Il tempo libero diviene a sua volta un momento di capitalizzazione, vale a dire il momento in cui un capitale dato si realizza in un capitale accresciuto.  La rivendicazione dell’abolizione del lavoro diventa perciò un elemento dell’utopia del capitale […] (Camatte 1978: 24).

LA PERDITA DEL MONDO E DELLA CARNE

13. Liberazione delle forze produttive, liberazione delle energie e della parola sessuale: stesso combattimento, stessa avanzata di una socializzazione sempre più  potente  e  differenziata […] La trafila della produzione porta dal lavoro  al  sesso,  ma  cambiando  di  binario:  dall’economia  politica  al  libidinale  (ultima acquisizione del ’68) vi è la sostituzione di un modello di socializzazione violento e arcaico (il lavoro) con un modello di socializzazione più sottile, più fluido, ad un tempo più psichico e più vicino al corpo (il sessuale e il libidinale). Metamorfosi e svolta dalla forza lavoro alla pulsione (Baudrillard 1977a: 73-74).

14. Analizziamo il fenomeno. Un uomo, una donna, l’amore; essi s’uniscono, hanno un figlio. Per lo spirito-capitale è un crimine, perché è un atto libero.  Hanno ottenuto un essere, considerato dai sostenitori della dinamica del capitalismo, come un oggetto, un prodotto, ma senza pagare nulla. Invece domani non si accoppieranno più, bensì compreranno in comune un embrione.  A seconda delle loro risorse finanziarie, potranno procurarsi un genio o un cretino. Il vantaggio è che potranno sempre reclamare, se il prodotto non corrispondesse a ciò che desideravano quanto a sesso, colore degli occhi, QI, etc. Inoltre, la separazione dei sessi sarà pienamente possibile […] poiché sarà possibile, allora, far proseguire lo sviluppo dell’embrione in vitro. Per far trionfare la generazione artificiale, remunerativa e creatrice di posti di lavoro, si utilizzeranno effettivamente tali argomenti. Si invocherà il beneficio dell’asepsi integrale, la possibilità di eliminare le tare. Ciò ha per corollario la necessità di dimostrare che ogni essere umano è normalmente tarato (a meno che non intervenga la scienza). La tara medica sostituirà il peccato originale, e il cristianesimo verrà così salvato. I preti potranno occuparsi del loro gregge artificiale. Meglio ancora, si mostrerà, come viene già fatto […] che la sessualità è pericolosa, che ogni contatto è rischio patogeno. Da lì, tutta l’esaltazione mercantile dell’AIDS, delle malattie sessualmente trasmissibili. Al limite, essere naturali non potrà (come già hanno scritto gli autori della fantascienza, cfr. Défense de coucher per esempio) che generare disgusto, da cui il tuffo forzato nella virtualità […]. Se non ci sono più contatti, tutto può essere protetto, ma l’Homo sapiens sarà spogliato della sessualità, come tende a esserlo del pensiero grazie al computer. Così come di tutti i rapporti intraspecifici (Camatte 1991).

15. Mentre l’epoca precedente è stata caratterizzata dal dominio della natura, oggi quest’ultimo si presenta come dominio della vita. Il dominio della natura significa mettere a profitto un terreno, costruire una città; il dominio della vita consiste invece nel sostituire la natura nei meccanismi del vivente […] Ciò che consente la manipolazione della vita è la convinzione che la vita stessa non ha valore, all’interno di una visione nichilista che travolge ogni idea di diritto. […] All’aurora del nuovo mondo, le norme giuridiche al pari di qualsiasi bene sono prodotte a partire dal nulla e possono essere ricacciate nel nulla (Barcellona 2005a: 49-50).

16. La manipolazione della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza insita nei processi di globalizzazione […] ci pone di fronte ad una inedita emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia.  Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e donne, credenti e non credenti, religioni e politica (Barcellona & Sorbi & Tronti & Vacca 2012).

Approfondimenti.

DALLA LEZIONE DI MAUSS. UTILITÀ, SCARSITÀ, VALORE D’USO.

17. […] Questo incessante sviluppo della potenza economica sotto forma di merce, che ha trasfigurato il lavoro umano in lavoro-merce, in salariato, porta cumulativamente a un’abbondanza nella quale la questione primaria della sopravvivenza è senza dubbio risolta, ma in modo tale che deve sempre riproporsi; essa è ogni volta posta di nuovo a un livello superiore. La crescita economica libera le società dalla pressione naturale che esigeva la loro lotta immediata per la sopravvivenza, ma allora è dal loro liberatore che esse non sono liberate. L’indipendenza della merce si è estesa all’insieme dell’economia sulla quale domina.

L’economia trasforma il mondo, ma lo modifica solo in mondo dell’economia. La pseudo-natura, nella quale il lavoro umano si è alienato, esige di proseguire all’infinito il suo servizio, e questo servizio, che essendo giudicato e assolto se non da se stesso, ottiene infatti la totalità degli sforzi e dei progetti socialmente leciti, come suoi servitori. L’abbondanza delle merci, vale a dire del rapporto mercantile, non può più essere altro che la sopravvivenza aumentata (Debord 1967: tesi 40)

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18. Il valore di scambio ha potuto formarsi solo come agente del valore d’uso, ma la sua vittoria con armi proprie ha creato le condizioni del suo dominio autonomo. Mobilitando ogni uso umano e guadagnando il monopolio del suo soddisfacimento, ha finito per dirigere l’uso. Il processo di scambio si è identificato con ogni uso possibile e l’ha ridotto alla sua mercé. Il valore di scambio è il condottiero del valore d’uso, che finisce per condurre la guerra per proprio conto (Debord 1967: tesi 46).

19. Il produttore sociale astratto rappresenta l’uomo pensato in termini di valore di scambio. L’individuo sociale astratto (l’uomo dei «bisogni») rappresenta l’uomo pensato in termini di valore d’uso. Vi è un’omologia tra l’«emancipazione», nell’era borghese, dell’individuo privato finalizzato dai propri bisogni e l’«emancipazione» funzionale degli oggetti nel loro valore d’uso (Baudrillard 1972: 138). 

20. Il valore d’uso è espressione di tutta una metafisica: la metafisica dell’utilità, che si inscrive, come una specie di legge morale, nel cuore stesso dell’oggetto, e vi si inscrive in funzione della finalità del «bisogno» del soggetto. Il valore d’uso è la trascrizione nel cuore delle cose della medesima legge morale (kantiana e cristiana) inscritta nel cuore del soggetto, che la rende positiva nella sua essenza e la istituisce entro una relazione finale (con dio o con una qualsiasi realtà trascendente). Nell’uno e nell’altro caso la circolazione del valore è regolata da un codice provvidenziale che veglia sulla correlazione dell’oggetto con il bisogno del soggetto, sotto il segno della «funzionalità»; come assicura, del resto, la coincidenza del soggetto con la legge divina, sotto il segno della morale. […] Se non si sottopone radicalmente il valore d’uso a questa logica dell’equivalenza, mantenendo il valore d’uso nell’ambito del «non comparabile», l’analisi marxista ha contribuito alla mitologia (vera «mistica» razionalista) che fa passare la relazione dell’individuo con gli oggetti, concepiti come valore d’uso, come una relazione concreta e oggettiva, «naturale», insomma, il bisogno proprio dell’uomo e la funzione, propria dell’oggetto – che è l’inverso della relazione «alienata», reificata, astratta, che vi sarebbe rispetto ai prodotti come valore di scambio: qui, nel valore d’uso, vi sarebbe come una sfera concreta della relazione privata,  in opposizione  alla  sfera  sociale  e astratta del mercato (Baudrillard 1972: 139-140).

21. […] il valore d’uso, la stessa utilità, proprio come l’equivalenza astratta delle merci, è un rapporto sociale feticizzato – un’astrazione, quella del sistema dei bisogni, che assume la falsa evidenza di una destinazione concreta, di una finalità propria ai beni e ai prodotti – proprio come l’astrazione del lavoro sociale che fonda la logica dell’equivalenza (valore di scambio) si nasconde sotto l’illusione del valore «infuso» delle merci. […] Perché vi sia scambio economico e valore di scambio è già necessario che il principio dell’utilità sia divenuto il principio della realtà dell’oggetto, o del prodotto. […] Ormai secolarizzati, funzionalizzati, razionalizzati nell’ambito di ciò per cui servono, gli oggetti diventano la promessa di un’economia politica ideale (e idealistica) che ha come parola d’ordine «a ciascuno secondo i suoi bisogni». Contemporaneamente l’individuo sottratto a ogni obbligazione collettiva d’ordine magico o religioso, «liberato» dai suoi legami arcaici, simbolici o personali, «privato» ed autonomo, si definisce mediante un’attività «oggettiva» di trasformazione della natura – il lavoro – e mediante la distruzione di oggetti utili a proprio profitto: bisogni, soddisfazione, valore d’uso (Baudrillard 1972: 136-138).

22. Ora si è mostrato come, col capitale, essenziali per l’uomo non siano più i valori d’uso, bensì il movimento di valorizzazione-capitalizzazione nel cui ambito viene abolita ogni differenza fra valore d’uso e valore di scambio […] la ricerca della ricchezza era abbinata alla lotta contro la penuria. Ora, in realtà, questa comincia precisamente con l’autonomizzazione del valore di scambio. Le comunità primitive la ignoravano allo stesso modo che ignoravano l’assillo del tempo libero (Camatte 1978: 6).

23. Ma in definitiva non è lo stesso Marx a considerare che lo sviluppo delle forze produttive (dati neutri) verrebbe falsato dal movimento del capitale? Non è forse una falsa coscienza storica quella che vorrebbe fondare il comunismo sulla base di uno sviluppo delle forze produttive, pari a quello che ha reso possibile l’instaurarsi del   capitale?  (Camatte 1978: 9)

24. Per esempio, gli uomini e le donne sono sempre diventati adulti; ora per riuscirci hanno bisogno della istruzione. Nelle società tradizionali maturavano senza accorgersi che le condizioni della crescita erano determinate dalla scarsità. Oggi le istituzioni didattiche insegnano loro che l’apprendimento e la competenza desiderabili sono beni scarsi per i quali uomini e donne devono competere. In tal modo   l’istruzione   diventa   un   sinonimo dell’imparare a vivere in condizioni di scarsità (Illich 1982: cap. 1).

25. Il capitalismo, nella sua dinamica, produce gradi di vera e propria «artificialità» sociale e antropologica sempre maggiori, per cui i bisogni (e ancor più i desideri, per loro natura illimitati) vengono incessantemente creati, in una vera e propria «creazione continua» del consumatore, che da homo sapiens diventa homo consumans (Preve 2006a: 73).

26. Il linguaggio dell’eccedenza non è il linguaggio logico-deduttivo, dal punto di vista del calcolo non c’è differenza fra le pillole e la fontana d’acqua sorgiva, si stabiliscono equivalenze funzionali, secondo il parametro dell’utilità rispetto a un obiettivo perseguito. Nel linguaggio dell’eccedenza, invece, non possono esserci equivalenze: ogni parola, ogni cosa rappresentata, vale per sé e non è suscettibile di essere scambiata con niente (Barcellona 2010: 17).

27. Contrapposto al bisogno, il desiderio costituisce  l’elemento  riproduttore  strutturale  del consumo capitalistico e della sua metafisica del «voler-avere-sempre-di-più»; il sistema globale vive di desideri, poiché i bisogni, una volta appagati, lo porterebbero rapidamente verso  crisi  letali  di  sovrapproduzione  e  di sotto-consumo […] L’antropologia del desiderio e l’economia feticisticamente autonomizzata e non più incorporate nel tessuto sociale complessivo sono le due facce della stessa medaglia (Fusaro 2012: 396-397).

LA NATURA UMANA

28. Comincerò con una mancanza di tatto, confessando cioè di credere nella natura umana. Questa idea è passata di moda, è stata anzi giudicata indecorosamente conservatrice, e in ciò il pensiero progressista non dà prova di coerenza […] Un altro passi, ma Karl Marx difficilmente può venir accusato di essere un conservatore. A questo proposito mi rifaccio a Leszek Kolakowski che dice «bisogna dunque richiamare l’attenzione sul fatto che l’idea del ‹ritorno dell’uomo a se stesso› è contenuta nella categoria stessa dell’alienazione, di cui Marx continuava sempre a servirsi. Che cos’è l’alienazione, in realtà, se non un processo in cui l’uomo si priva di qualcosa che egli è davvero, si priva dunque della propria umanità? Per poter adoperare in modo sensato questo termine, dobbiamo supporre di sapere in che cosa consiste il condizionamento dell’uomo, ossia che cos’è l’uomo realizzato a differenza dell’uomo smarrito, che cos’è l’‹umanità›, ovvero la natura umana […]. Mancando quest’esempio o modello, anche se tracciato in maniera piuttosto vaga, non v’è modo di dare un significato alla parola ‹alienazione›» (Milosz 2000: 112).

29. Il concetto di natura umana è pienamente legittimo, ed è anche filosoficamente fondativo. Esso è ad un tempo biologico, storico e sociale. In quanto storico e sociale, esso è certamente «influenzato» da fattori storici e sociali (educazione, rapporti sociali classisti, manipolazione, ecc.), ma non si riduce ad essi (Preve 2012: 53).

LA COMUNITÀ

30. Posto che noi avessimo prodotto come uomini: ciascuno di noi nella sua produzione avrebbe doppiamente affermato se stesso e l’altro. Io avrei 1) oggettivato nella mia produzione la mia individualità, la sua peculiarità, e dunque tanto durante l’attività avrei goduto una individuale esteriorizzazione di vita, quanto nella contemplazione dell’oggetto avrei goduto la gioia individuale di sapere la mia personalità come potere oggettivo, sensualmente contemplabile, e dunque sopra ogni dubbio sublime. 2) Nel tuo godimento o nel tuo uso del mio prodotto, io avrei immediatamente il godimento, tanto della coscienza di aver soddisfatto nel mio lavoro  un bisogno  umano,  quanto di avere oggettivato l’essere umano e dunque di aver procurato il suo oggetto corrispondente al  bisogno di un altro essere umano; 3) di essere stato per te il mediatore fra te e il genere, dunque di essere saputo e sentito da te stesso come un complemento del tuo proprio essere e come una parte necessaria di te stesso, quindi di sapermi confermato tanto nel tuo pensiero quanto nel tuo amore; 4) di aver creato immediatamente nella mia individuale esteriorizzazione di vita, dunque di avere immediatamente confermato e realizzato nella mia attività individuale il mio vero essere, il mio umano, comune essere (mein menschliches,  mein  Gemeinwesen) (Marx  1844).

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31. […] la questione della comunità è la questione centrale del movimento proletario. In modo sintetico, essa si presenta come segue: a) Comunità umana primitiva. b) Distruzione di questa con sviluppo di due movimenti, quello del valore e quello di espropriazione degli uomini. c) Formazione della comunità materiale con fusione dei due movimenti precedentemente separati: il capitale-valore in processo. d) Il comunismo scientifico, la comunità umana ritrovata, che integra tutte le acquisizioni dei periodi anteriori (Camatte 1968:231).

32. […] una ragionevole e praticabile nozione di «comunità» (koinonia) ci è stata tramandata dai nostri maestri greci, ed in particolare (ma non solo) da Aristotele, e percorre come un filo rosso tutto il pensiero occidentale fino a giungere alla nozione di «etica sociale» (Sitten, Sittlichkeit) in Hegel e di «comunità» (Gemeinwesen) nello stesso Marx (Preve 2006a: 6).

33. L’intera storia della tradizione filosofica occidentale può essere ricostruita senza alcuno sforzo o deformazione unilaterale sulla base della categoria di comunità. Ed anzi, se facciamo un rapido esame comparativo tra la nascita della filosofia nell’antica Grecia (Parmenide) e  nell’antica  Cina  (Confucio),  in  cui  è dimostrata la totale assenza di rapporti reciproci diretti o indiretti, vediamo che in tutti e due i casi al centro dell’attenzione dei filosofi sta la «ricomposizione ideale» di un intero comunitario nel frattempo corrotto e dissolto, in vista di una nuova armonia comunitaria da ricostruire razionalmente e senza più ricorrere  all’autorità  dei  miti  cosmogonici precedenti (Preve 2006a: 82).

34. Alla minaccia di insensatezza si risponde con proposte differenziate di ristabilimento della sensatezza, sempre e solo su base comunitaria. Pitagora, Parmenide, Protagora, Socrate, Platone, Aristotele, sono tutti momenti di un unico problema, la sensatezza del fondamento della comunità. Aristotele tira i fili di questo dialogo durato tre secoli, proponendo una visione integralmente comunitaria della convivenza umana e sociale. Respingendo la tentazione eugenetica, ben più pericolosa per la comunità delle pensiero sociale sull’uomo (Preve 2006a: 103).

35. Nessuno della ventina di codici «marxisti» posteriori è basato sulla consapevole coniugazione di comunitarismo e di comunismo. […] Una parziale eccezione è data dalla scuola (oggi estinta) di Jacques Camatte, che effettivamente ha cercato una fusione di comunitarismo e di comunismo. Ma chi guarda le cose più da vicino vedrà che quella di Camatte è una eresia interna alla corrente bordighista storica […]. La nostra impostazione non ha letteralmente nulla a che vedere con quella di Camatte(2) (Preve 2011).

(2) Formati, ahimè, alla scuola dei maestri del sospetto, non possiamo non leggere questa nota come l’ammissione di Preve di aver molto a che vedere con l’impostazione di Camatte (N.d.R.).

 

KATÉCHON O DEL CONTENIMENTO.

36. L’altro momento è quello del salazarismo, che si è voluto chiamare «fascismo portoghese» ma che in realtà non presenta i caratteri del nazismo o del fascismo. Secondo me esso è stato invece un mezzo di lotta contro la distruzione di una società. Esso infatti è riuscito a congelarla e temporaneamente ad impedire che una forma più evoluta del MPC [=Modo di Produzione Capitalistico] si instaurasse e sconvolgesse il paese. Questo bloccaggio è legato all’esistenza di un impero coloniale che ha permesso di conservare la vecchia struttura agraria (importanza dei piccoli proprietari del Nord, delle piccole e medie imprese ecc). […] si ha dunque una situazione del tutto differente da quella della Germania nazista, nella quale l’ideologia del ritorno a un certo Stato originario ha direttamente mascherato il movimento attraverso il quale si instaurava la comunità materiale del capitale (il suo dominio reale sulla società), e questo perché in Germania la vecchia società borghese è stata rapidamente distrutta. […] Nella vittoria del salazarismo è infine da tenere presente l’anticomunismo. Inoltre, ma questo resta da dimostrare, non ci sarebbe stato il persistere di un sentimento comunitario, per lo meno in alcune zone del Portogallo? Ciò comporterebbe la preoccupazione di sapere di quale tipo di comunità si trattava, quale rapporto essa manteneva con la Chiesa (Camatte 1978: 22).

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37. La mia idea è che la Rivoluzione d’ottobre somiglia più alla rivoluzione conservatrice che alle rivoluzioni borghesi. Anche la rivoluzione conservatrice ha il carattere del katéchon, cerca di trattenere l’avvento del demone nazista, che a suo modo è un nuovo che avanza, come del resto il fascismo-movimento delle origini, una modernizzazione politica, istituzionale, sociale, tecnologica […] I totalitarismi non sono un prodotto del Novecento, sono l’esito del Moderno, della sua volontà di potenza senza limiti […] Prodotto del Novecento sono state le rivoluzioni, che contrastavano   questa  deriva;  frutto  maturo  della storia europea, quindi, cultura operaia da un lato, aristocrazia intellettuale dall’altro, uniche forze indisponibili al destinale spirito borghese moderno (Tronti 2015: 22).

38. Il movimento operaio ha sbagliato strada quando ha seguito il Marx apologeta della borghesia, e ha indovinato la strada quando ha seguito il Marx critico dell’economia politica. […] Marx, che ha visto come nessun altro la terribile potenza del capitale, non ha visto che il destino del Moderno si era ormai indissolubilmente identificato con la storia del capitale (Tronti 2015: 18–20).

39. Le rivoluzioni novecentesche non erano antimoderne, reagivano, resistevano, all’invasione del Moderno da parte dei barbarici spiriti animali del capitalismo. L’originario progetto moderno era infatti la loro tradizione. E il lascito che si riconosce nel fallimento di tutti i moti rivoluzionari del secolo passato, […] dalla rivolta giovanile alla rivoluzione femminile, è la necessità di mantenere nell’atto di rottura con il passato il rapporto con la tradizione. La Tradizione non è il passato, ma è quello che del passato resta nelle nostre mani come irriducibile al presente (Tronti 2015: 23).

L’OPPIO DEI POPOLI?

40. La religione è un’attività originaria connaturata alla forma antropologica della natura umana, ed ha perciò almeno in parte una natura metastorica, anche se sono sempre storiche le sue forme concrete di manifestazione individuale (significato   dell’esistenza   singola) e collettive (riti collettivi di identificazione e di autorassicurazione). Dal momento che la religione è un’attività originaria connaturata nella forma antropologica (ed addirittura etologica) della natura umana, prevederne possibile l’estinzione e addirittura auspicarla in nome di una sorta di «ateismo scientifico universale» è un errore, ed anzi qualcosa di più di un errore, un vicolo cieco della filosofia e della politica (Preve 2004: 37).

41. […] il monoteismo religioso non è pertanto un «nemico» della verità, ma un alleato possibile. È bene notare che questa possibile alleanza non può essere fondata (come molti sostengono) su ragioni di tipo populistico, pauperistico e miserabilistico. La cosiddetta «scelta preferenziale per i poveri», che alcuni considerano il terreno di incontro fra rivoluzionari atei e religiosi, non è che una conseguenza secondaria di qualcosa che le sta alle spalle e che è primario, cioè l’ammissione dell’esistenza della verità (Preve & Bontempelli 1997: 233-134).

42. L’attuale deformazione positivistica, che si è accompagnata inevitabilmente allo sviluppo della scienza moderna, ha però imposto la correlazione del concetti di verità con l’adeguato rispecchiamento dei fenomeni fisici, al punto che la fisica, da scienza particolare, è diventata una vera e propria concezione del mondo, Ma  originariamente la «verità» era un disvelamento sapienziale delle condizioni permanenti che reggevano la riproduzione armonica della comunità, e la falsità si identificava direttamente con le dinamiche di dissoluzione di questa comunità (Preve 2006a: 108).

43. L’origine della religione, o più esattamente delle religioni, sta dunque nella razionale esigenza di sottrarre allo scorrimento annichilitore del tempo un’Origine che possa funzionare da garante di tutti i valori fondativi di una comunità (Preve 2005).

44. […] la religione non soltanto è dotata di un suo spazio veritativo […], ma racchiude al proprio interno, blochianamente, una corrente calda che, in nome del Dio trascendente, è fonte di lotte contro i soprusi terreni. Del resto, la religione può oggi costituire una preziosa risorsa di resistenza al nichilismo, già solo in forza del suo eroico riconoscimento dell’alterità della forma di merce rispetto alla divinità trascendente (Fusaro 2012: 473).

45. La critica della religione come alienazione umana è un tributo pagato alla cultura del tempo. Quello che di Marx oggi risulta irrecuperabile è quel suo prepositivismo, o quel suo postmaterialismo di stampo settecentesco. Che per una società di produttori di merci, misurate come valori da un uguale lavoro umano, il cristianesimo –  col suo culto dell’uomo astratto, specialmente nel suo svolgimento borghese, protestante, deista eccetera – sia la forma di religione più corrispondente, come si recita in queste pagine, è una semplificazione che nemmeno la successiva, famosa tesi weberiana riesce a rendere convincente. Che il riflesso religioso del mondo reale scomparirà il giorno in cui i rapporti della vita pratica quotidiana presenteranno agli uomini relazioni chiaramente razionali fra di loro e fra loro e la natura, questa è una previsione che non solo il tentativo di socialismo, ma lo stesso sviluppo del capitalismo ha smentito (Tronti 2015: 130).

Conseguenze.

SENTIRSI ANTIMODERNI.

46. Presso gli antichi non troviamo mai un’indagine su quale forma di proprietà fondiaria, ecc., crei la ricchezza più produttiva, la massima ricchezza. La ricchezza non si presenta come scopo della produzione, sebbene un Catone possa indagare quale coltivazione dei campi sia la più redditizia oppure Bruto possa persino prestare il suo denaro al massimo interesse. L’indagine è sempre volta a stabilire quale forma di proprietà crei i migliori cittadini. La ricchezza come fine a se stessa si ritrova solo pochi popoli commerciali – monopolisti del carrying trade – che vivono nei pori del mondo antico come gli ebrei vivono nei pori della società medioevale. […] Perciò l’antica concezione secondo cui l’uomo, quale che sia la sua limitata determinazione nazionale, religiosa, politica, è sempre lo scopo della produzione, sembra molto elevata nei confronti del mondo moderno, in cui la produzione si presenta come scopo dell’uomo e la ricchezza come scopo della produzione. Ma in fact, una volta cancellata la limitata forma borghese, che cos’è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive ecc. degli individui, creata nello scambio universale? Che cos’è se non il pieno sviluppo del dominio dell’uomo sulle forze della natura, sia su quelle della cosiddetta natura, sia su quelle della propria natura? Che cos’è se non l’estrinsecazione assoluta delle sue doti creative, senza altro presupposto che il precedente sviluppo storico, che rende fine a se stessa questa totalità dello sviluppo, cioè dello sviluppo di tutte le forze umane come tali, non misurate su di un metro già dato? Nella quale l’uomo non si riproduce in una dimensione determinata, ma produce la propria totalità? Dove non cerca di rimanere qualcosa di divenuto, ma è nel movimento assoluto del divenire?  Nell’economia politica borghese – e nella fase storica di produzione cui essa corrisponde – questa completa estrinsecazione della natura interna dell’uomo si presenta come un completo svuotamento, questa universale oggettivazione come alienazione totale, e l’eliminazione di tutti gli scopi determinati unilaterali come sacrificio dello scopo autonomo a uno scopo completamente esterno. Perciò da un lato l’infantile mondo antico si presenta come qualcosa di più elevato. Dall’altro esso lo è in tutto ciò in cui si cerca di ritrovare un’immagine compiuta, una forma e una delimitazione oggettiva. Esso è soddisfazione da un punto di vista limitato; mentre il mondo moderno lascia insoddisfatti, o, dove appare soddisfatto di se stesso, è volgare (Marx 1858: II, 142).

47. Non si può essere più moderni del capitalismo. Questa pretesa è stata la vera utopia del socialismo come scienza (Tronti 2015: 27).

48. Sono a questo punto pensabili l’idea e la prassi, contestatrici dell’ordine esistente, da parte di una moderna forza antimoderna? (Tronti 2015: 29)

49. Il movimento operaio ha cominciato a perdere quando ha cominciato a correre, ripeto, in Occidente e in Oriente, con il capitalismo moderno: a correre, e non dietro alla contraddizione, piuttosto davanti alla modernizzazione sempre crescente […] Sarebbe stato compito del movimento operaio […] quello di

Imporre alla tarda modernità, con i mezzi che giustificano il fine, di non più correre ma camminare: trattenendo, rallentando, ritrovando il passo dell’uomo, sottomettendo il ritmo della macchina, non per la decrescita, ma per una concrescita, tra il fuori e il dentro, tra situazione ed esistenza, tra destino e libertà (Tronti 2015: 45–46).

50. Siamo in questa condizione, di cui lucidamente occorre prendere atto: solo il passato è oggi alternativo al presente, non più catturabile dal suo selvaggio istinto predatorio. Il futuro è già tutto inscritto nel presente: questo farà di quello tutto ciò che vorrà (Tronti 2015: 79).

SUL SESSO LIBERATO.

51. Ormai non si dice neppur più: «tu hai un’anima e bisogna salvarla», ma «tu hai un sesso e devi trovarne il buon uso», «tu hai un inconscio e bisogna saperne godere», «tu hai un corpo e bisogna saperne godere», «tu hai una libido e bisogna saperla spendere», ecc. ecc.

Questa costrizione di liquidità, di flusso, di circolazione accelerata dello psichico, del sessuale e dei corpi è la replica esatta di quella che gestisce il valore mercantile: bisogna che il capitale circoli, che non abbia più gravità, punto fisso, che la catena degli investimenti e reinvestimenti sia ininterrotta, che il valore si irradi senza sosta ed in tutte le direzioni. E questa è la forma stessa della realizzazione attuale del valore. È la forma del capitale; e la sessualità, la parola d’ordine sessuale, il modello sessuale è il modo della sua epifania al livello dei corpi (Baudrillard 1977a: 77).

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52. Chi vive con l’identico perirà dell’identico. L’impossibilità di scambio, di reciprocità, di alterità, secerne quest’altra alterità invisibile, diabolica, sfuggente, questo Altro assoluto che è il virus, lui stesso fatto d’elementi semplici e di una ricorrenza infinita. Noi siamo in una società incestuosa.  E il fatto che l’AIDS ha toccato prima gli ambienti omosessuali o drogati attiene a questa incestuosità dei gruppi che funzionano in circuiti chiusi (Baudrillard 1977b).

53. Perché, a partire dal momento in cui si rimette in causa l’eterosessualità, limitare la sessualità a un rapporto uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo, e questo a diverse età (dunque pederastia e pedofilia)? Ci possono essere anche zoofilia, necrofilia, coprofilia ecc. Se si considera logico che degli omosessuali si sposino tra loro (negando in tal modo quella rottura col sociale che il loro legame in origine comporterebbe) e che ci siano chiese per omosessuali come M. Mieli precisa a pag. 87 del suo libro, perché non dovrebbero esserci anche matrimoni fra uomini o donne e animali, che sarebbe un modo per superare l’antitesi natura cultura sul terreno di quest’ultima? […] Con ciò, non ritengo certo che ogni qual volta si fa all’amore si debba pensare o si pensi alla procreazione, ma essa non dev’essere un possibile da realizzarsi solo quando lo vogliamo. Se si dissocia, sarà difficile vivere al momento voluto tutta la dimensione specifica, paleontologica e cosmica dell’atto sessuale che si sviluppa nello sfociarsi-aprirsi procreativo. […] Il pericolo di una riduzione a particelle neutre è molto reale, poiché da diversi orizzonti si propone in definitiva di sopprimere la procreazione (che permetterebbe una   liberazione   completa   della   donna e dell’amore). […] Ma in che cosa il non procreare, partorire, allattare, potrebbe essere una manifestazione positiva? Questa liberazione-emancipazione è una spoliazione, una riduzione dell’essere  umano a  semplice supporto di diverse funzioni che gli si possono innestare e che egli potrebbe manipolare al di fuori di lui… […] Emancipazione-liberazione è un processo interno al capitale […] La dinamica della liberazione è quella della frammentazione; la liberazione sessuale è la polverizzazione dell’amore in quanto processo totale della vita umano-femminile […] essere contro la procreazione è come essere contro il lavoro; è voler essere finalmente spossessato della vita e dell’attività; il capitale che tende in definitiva a realizzare una comunità senza esseri biologici umani e senza attività biologica umana (Camatte 1978: 61–62).

54. Una società industriale non può esistere se non impone certi presupposti unisex: il presupposto che entrambi i sessi siano fatti per lo stesso lavoro, percepiscano la stessa realtà e abbiano, a parte qualche trascurabile variante esteriore, gli stessi bisogni. Ed anche il presupposto   della scarsità, fondamentale in economia, è logicamente basato su questo postulato unisex (Illich 1982: cap. 1).

ADDIO SINISTRA.

55. La sinistra si è smarrita per una ragione molto semplice: perché ha abbandonato ogni idea di bene comune. Prima, seppure nella forma perversa dello Stato totalitario, sottoponeva l’idea della libertà individuale a qualche limite. Crollata l’adesione a questa forma di Stato, è rimasto solo un atteggiamento libertario […] La sinistra è nata storicamente come un’eresia del cristianesimo. Questa eresia è stata portata a conseguenze nefaste, ma non era figlia del liberalismo. Era figlia di un’altra visione (Barcellona 2005b).

56. Quanto, infine, al nesso fra libertà e sinistra vorrei aggiungere che trovo assai strano combattere il liberismo economico e poi sostenere il radicalismo libertario in una materia così complessa e densa di implicazioni collettive come la procreazione dei futuri uomini (Barcellona 2002: 80).

57. Al tempo di Marx (1868) la sinistra si costituì storicamente sulla base di una fragile alleanza fra una critica economico-sociale al capitalismo, di cui erano titolari le classi popolari, operaie, salariate e proletarie […], ed una critica artistico-culturale alla borghesia, soprattutto ai suoi costumi ipocriti, di cui erano titolari appunto gli intellettuali di «sinistra» del tempo. Ma questa fragile alleanza oggi non esiste più. A partire da un secolo dopo (1968) la borghesia ha «liberalizzato» I suoi precedenti costumi, e così l’alleanza è di fatto finita […] In Europa occidentale […] la sinistra «concreta» (e non idealtipica) non è più da tempo una forza emancipatrice […] Non lo è perché è diventata nel suo complesso la punta avanzata dell’individualismo atomistico assoluto. La sinistra avrebbe quindi bisogno di una correzione comunitaria.  Ma questo è reso impossibile dal suo codice culturale egemonico, che si è ormai stabilizzato in un profilo individualistico, filosoficamente postmoderno, relativistico e nichilistico. […] Essa [la sinistra (N.d.R)] lotta contro il patriarcalismo paterno ed il suo Superio, fino a trasformare la stessa vita famigliare in un inferno […] con la confusione dei ruoli esistenti da millenni […] Essa lotta contro la scuola severa (già correttamente difesa da Gramsci), che era peraltro la sola forma di normale promozione sociale per i figli dotati delle classi dominate […] È la sinistra a favorire la rilettura dell’intero novecento  come secolo del totalitarismo […] anziché essere valutato come secolo in cui la politica organizzata tentò (con inatteso fallimento finale) di dominare il cieco movimento autonomizzato dell’economia […] È la sinistra a gestire intellettualmente la riconversione della critica alla sfruttamento colonialistico ed imperialistico nell’ideologia interventistica e bombardatrice dei diritti umani […] È la sinistra il luogo del nuovo miserabile culto di Obama […] che impedisce oggi attivamente la comprensione della strategia di dominio mondiale dell’Impero Usa […] È stata la sinistra negli ultimi decenni ad assumere un atteggiamento possibilista e moderatamente favorevole all’uso della droga […] come reazione al conformismo borghese del Superio paterno ed a diffondere le fregnacce sulla droga che «apre la mente» (Preve 2010).

58. Dal Sessantotto, la sinistra promuove la stessa logica culturale antiborghese del capitalismo, tramite sempre nuove crociate contro la famiglia, lo Stato, la religione e l’eticità borghese. Ad esempio, la difesa delle coppie omosessuali da parte della sinistra non ha il proprio baricentro nel giusto e legittimo riconoscimento dei diritti civili degli individui, bensì nella palese avversione nei confronti della famiglia tradizionale e, più in generale, della normalità borghese. Si pensi, ancora, alla distruzione pianificata del liceo e dell’università, tramite quelle riforme interscambiabili di governi di destra e di sinistra che, distruggendo le acquisizioni della benemerita riforma della scuola di Giovanni Gentile del 1923, hanno conformato – sempre in nome del progresso e del superamento delle antiquate forme borghesi – l’istruzione al paradigma dell’azienda e dell’impresa (debiti   e crediti, presidi managers, ecc.). […] Il principio dell’odierno capitalismo postborghese è pienamente sessantottesco e, dunque, di sinistra: vietato vietare, godimento illimitato, non esiste l’autorità, ecc. Il capitalismo, infatti, si regge oggi sulla nuda estensione illimitata della merce a ogni sfera simbolica e reale (è questo ciò che pudicamente chiamiamo «globalizzazione»!).  «Capitale umano», debiti e crediti nelle scuole, «azienda Italia», «investimenti affettivi», e mille altre espressioni simili rivelano la colonizzazione totale dell’immaginario da parte delle logiche del capitalismo odierno. Lo definirei capitalismo edipico: ucciso nel Sessantotto il padre (l’autorità, la legge, la misura, ossia la cultura borghese), domina su tutto il giro d’orizzonte il godimento illimitato. Se Mozart e Goethe erano soggetti borghesi, e Fichte, Hegel e Marx erano addirittura borghesi anticapitalisti, oggi abbiamo personaggi capitalisti e non borghesi (Berlusconi) o antiborghesi ultracapitalisti (Vendola, Luxuria, Bersani, ecc.): questi ultimi sono i vettori principali della dinamica di espansione capitalistica. La loro lotta contro la cultura borghese è la lotta stessa del capitalismo che deve liberarsi dagli ultimi retaggi etici, religiosi e culturali in grado di frenarlo. […] Oggi il capitalismo è il totalitarismo realizzato (a tal punto che quasi non ci accorgiamo nemmeno più della sua esistenza) e, in quanto fenomeno «totalizzante», occupa l’intero scacchiere politico. Più precisamente, si riproduce a destra in economia (liberalizzazione selvaggia, privatizza- zione oscena, sempre in nome del teologumeno «ce lo chiede l’Europa»), al centro in politica (sparendo le ali estreme, restano solo interscambiabili partiti di centro-destra e di centro-sinistra), a sinistra nella cultura (Fusaro 2013).

59. È un grosso favore – e non l’unico – che i favolosi anni sessanta, libertari, cioè giovanili e femminili, hanno fatto al sistema generalizzato di oppressione liberamente volontaria che ne è seguito, quello di aver espresso pensieri di libertà come comportamenti trasgressivi. Singole individualità, falsamente eccezionali, e gruppi minoritari falsamente rivoluzionari, si sono esercitati, riuscendoci in pieno, a rendere ridicolo qualsiasi intento e programma di contestazione dell’ordine attuale (Tronti 2015: 44).

60. La lotta all’islamismo estremista dell’ISIS, che deve andare di pari passo con lo sforzo per non essere invasi da milioni di emigranti da «quelle zone», ha un senso se è anch’essa una mossa tattica – certo rilevante e che richiederà grande impegno e atteggiamenti assai drastici di autodifesa (implicante anche l’offesa) – in vista della suddetta finalità strategica: crescita del multipolarismo. Questo rappresenta la «bestia nera» degli Stati Uniti, che lo combattono da almeno sei-sette anni tramite la cosiddetta «strategia del caos», di fatto acceleratasi a partire dal 2011 con la sedicente «primavera araba». E in questa direzione essi utilizzano la complicità degli abominevoli sicari annidati nei governi europei, in specie quelli detti «di sinistra», che sarebbero da spazzare via con metodi assai poco gentili (La Grassa 2015).

STATO NAZIONALE  VS  CAPITALE INTERNAZIONALE.

61. La morale provvisoria che possiamo adottare consiste nell’appoggiare le comunità locali, che in varie parti del mondo si oppongono all’espropriazione dei loro territori e all’annullamento delle loro forme di vita comunitaria (Preve 2006b: 202).

62. L’ideale per un comodo controllo militare e geopolitico del pianeta non è dato dall’attuale pluralismo statuale, ma da un panorama di mille o duemila Stati più deboli ed economicamente più ricattabili (Preve 2006b: 31).

63. Il nuovo ciclo di guerre apertosi con la vergognosa dissoluzione del comunismo storico novecentesco […] ha come sua logica la formazione di un Nuovo Ordine Mondiale nel quale non c’è nulla di folle e irrazionale. Esso è anzi una tendenza storica oggettiva, che trova dei sostenitori, in primo luogo l’impero militare e ideologico degli Usa, i suoi alleati, e il circo mediatico mondiale che lo sostiene ideologicamente. [… Si contrappongono a tale logica, invece] i popoli, le nazioni e le classi oppresse che resistono in vari modi e forme, dalle forme militari alle forme pacifiche (Preve 2006b: 17).

64. Si sosteneva la fine della funzione degli Stati nazionali. Con ciò s’intendeva sostenere precisamente che quegli apparati di potere (interno ed esterno), di cui ho appena detto, non avevano più alcun reale compito in quanto ormai il potere in questione spetterebbe ad organismi sovranazionali, in particolare di carattere finanziario; vere massonerie che ormai comanderebbero in tutto il mondo o quasi. A tali organismi dovrebbero ribellarsi tutti i cittadini (le «moltitudini»), senza più distinzione di questo o quel paese (di tutto il mondo appunto). […] Il problema è diverso […] Cosa invece si nota nettamente nell’attuale fase storica? I conflitti più acuti e più significativi sono quelli tra Stati. Di conseguenza, diventa in un certo senso scopo preminente seguire gli eventi di quella che è la politica internazionale, l’interrelazione tra i diversi Stati, lo stabilirsi di determinati rapporti di forza tra essi, il loro eventuale modificarsi i cui effetti ricadono immediatamente anche sull’andamento dei sistemi economici.  […] gli Stati Uniti sono ancor oggi il centro di un ampio sistema mondiale di paesi; in particolare, hanno la guida, per quanto a volte appena mascherata, dell’intera UE che, come già detto, è in definitiva un’organizzazione parallela a quella della Nato. È impossibile seguire le vicende politiche interne di un qualsiasi paese europeo senza tener conto dei rapporti di subordinazione rispetto al paese predominante […] si è avuto il «crollo» del campo sedicente socialista ed è sembrato che ci si avviasse verso una sorta di monocentrismo Usa. La sensazione è durata poco e ormai, malgrado sia ancora predominante quel paese, pare assai probabile che ci si avvii intanto verso un multipolarismo per quanto ancora imperfetto. Il caos nel mondo va accentuandosi come sempre avviene in epoche del genere; più volte ho fatto il paragone con la fine del secolo XIX. […] E non c’è nessuna difesa possibile se restiamo un paese governato da élites che si pongono nella relazione di subordinazione rispetto a quelle del paese predominante. È di una evidenza palmare che il primo passo da compiere è (diciamo sarebbe) togliere il governo ai servi del potere statunitense. Valuto negativamente pure le sedicenti opposizioni, invischiate in quel gioco elettorale che fa dimenticare ogni problema di reale potere, con il mero scopo di conquistare favori nell’«opinione pubblica» onde migliorare la propria posizione all’interno dell’attuale struttura politica, comunque sempre subordinata alla predominanza degli Stati Uniti. Ecco allora spiegato perché è indispensabile battersi oggi per l’autonomia nazionale. E per porsi in quest’ottica, è necessario dedicare i nostri sforzi soprattutto all’analisi degli intrecci internazionali tra i vari paesi; nelle loro filiere di predominanti, subdominanti, subsubdominanti… ecc. fino alle ultime propaggini della subordinazione, laddove siamo tutto sommato situati noi italiani. E mi sembra lampante che passi in avanti di questa autonomia sarebbero favoriti dall’affermarsi crescente della tendenza al multipolarismo. Quindi ci si deve battere per il rafforzamento delle relazioni – non solo economiche, bensì proprio politiche e di collegamento tecnico-scientifico e di «Informazione» e magari anche militari – con i paesi che hanno maggiori prospettive «oggettive» di ergersi quali antagonisti degli Stati Uniti; e fra questi, a mio avviso, il principale è la Russia. […] Il problema centrale è la lunga subordinazione che, soprattutto i più sviluppati paesi europei (quelli «occidentali»), hanno dovuto subire rispetto agli Usa. Bisogna invertire questo processo – economico, politico, culturale – di subordinazione. Per far questo, nei vari paesi europei devono crescere movimenti consapevoli della difficoltà e complessità di tale compito, che comporterà infine la necessità di abbattere con energia i governi del servilismo. È un processo che va sviluppato all’interno dei vari paesi; e che, se avrà successo, lo avrà in modi e tempi specifici per ognuno d’essi. Ogni movimento dovrà rispettare le caratteristiche del proprio paese, delle proprie popolazioni (e, in questo senso, tornerà utile anche l’analisi delle differenti strutture dei rapporti sociali). […] Ogni movimento che si batta per l’autonomia del proprio paese – lo ripeto ossessivamente, autonomia soprattutto in direzione degli Usa – dovrà non soltanto cercare i collegamenti con i propri simili europei, bensì sviluppare precise politiche verso est; in particolare nei confronti della Russia. Inutile nascondersi che simili politiche potrebbero un giorno provocare il passaggio dalla tendenza multipolare all’affermarsi di un reale policentrismo conflittuale, con tutti i rischi che ben conosciamo dal XX secolo. Se si teme questo, è inutile mettersi sulla strada dell’autonomia; si resti subordinati come lo si è adesso (La Grassa 2016).

SULL’ARTE CONTEMPORANEA

65. «Beaubourg: il cancro del futuro.» L’arte si sviluppa dal momento in cui gli esseri umani si separano dalla loro comunità. Nel corso della preistoria non c’è arte […] Una volta prodottasi la frattura, l’arte diventerà un mezzo attraverso il quale far rivivere l’antica comunità, la totalità perduta; e dal momento che il legame immediato non opera più l’arte si pone come mediazione che ristabilisce la comunicazione. […] Parallelamente si attua la desacralizzazione. La perdita del sacro conduce l’arte ad assumere come modello la natura. Ma, per contro, essa è anche il luogo dove il sacro si conserva. È proprio grazie all’arte che le eresie hanno potuto sopravvivere. […] Al momento in cui si attua il dominio formale sulla società, l’arte può restare al di fuori di tale movimento e adempiere alla propria funzione antiborghese […] Questa opposizione anticapitalista dell’arte rimarrà fino al momento dadaista […] gli artisti di quell’epoca intuirono molto meglio dei rivoluzionari ciò che stava per accadere e il loro proclamare la morte dell’arte era legato alla percezione della fine di un mondo: quello della vecchia società borghese, cioè quel passaggio del capitale dal dominio formale al suo dominio reale […] già alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX i pittori, rompendo con ogni riferimento alla natura e scoprendo che «tutto è possibile», avevano anticipato il movimento del capitale. […] Il «tutto è possibile» è ciò che fondamentalmente caratterizza il capitale, rivoluzionario per sua essenza in quanto distrugge gli ostacoli al proprio sviluppo, eliminando i tabù e le mimesis fossilizzate; in quanto rimette tutto  in  discussione […] in effetti il capitale ha avuto bisogno della propria rappresentazione per potersi impiantare nell’insieme economico-sociale e dominarlo […] S’impone così la fabbrica arte che, in conformità al capitale, deve produrre arte e uomini-arte. Giacché quel che interessa è raggiungere la massa degli essere umani (altrimenti l’arte non potrebbe realizzarsi) che non sono ancora integrati al modo di essere del capitale e quindi restano più o meno legati a certi ritmi, a certe pratiche, a certe superstizioni […] La rappresentazione del capitale deve impadronirsi di tutti. Questa è la funzione di Beaubourg carcinoma, neoplasia il cui compito è di far deviare il flusso estetico nel senso del dominio del futuro. […] Organizza la distruzione dell’arte preconizzata dai dadaisti e, nei termini in cui la cultura si impone come natura, toglierà agli esseri umani ogni possibilità di fuga (Camatte 1978: 50-51).

66. L’arte che giocava con la propria scomparsa e con quella del suo oggetto, era ancora grande opera. Ma l’arte che gioca a riciclarsi indefinitamente, facendo man bassa sulla realtà? Ebbene, la maggior parte dell’arte contemporanea consiste esattamente in questo: appropriarsi della banalità, dello scarto, della mediocrità come valore e come ideologia.  In queste innumerevoli installazioni, performance, non c’è che un compromesso con lo stato delle cose, e nello stesso tempo con tutte le forme passate della storia dell’arte. Una confessione di non originalità, di banalità e di nullità eretta a valore, ovvero a godimento estetico perverso. Certo, codesta mediocrità pretende di sublimarsi ad un secondo livello, ironico, dell’arte. Ma è altrettanto nullo e insignificante al secondo livello che al primo. Il passaggio al livello estetico non salva niente, anzi al contrario: è mediocrità alla seconda potenza. Si pretende di essere nulla: «Io sono nulla! Io sono nulla!» ed è veramente nulla. La duplicità dell’arte contemporanea è tutta in questo: rivendicare la nullità, l’insignificanza, il non-senso, mirare alla nullità, quando si è già nulla. Mirare al non-senso quando si è già insignificanti. Aspirare alla superficialità in termini superficiali. Ora, la nullità è una qualità segreta, che non può essere rivendicata da chiunque. L’insignificanza, quella vera, la sfida vittoriosa al senso, lo svuotamento del senso, l’arte della scomparsa del senso, è qualità eccezionale di alcune rare opere, le quali mai se lo pongono come obiettivo. C’è una forma iniziatica della nullità, come c’è una forma iniziatica del niente, o una forma iniziatica del Male. E poi, c’è il delitto di iniziato, i falsari della nullità, lo snobismo della nullità, di tutti quelli che prostituiscono il Niente al valore, che prostituiscono il Male all’utilità. Non bisogna dare spazio ai falsari. Quando il Nulla affiora nei segni, quando il Niente emerge dal cuore stesso del sistema dei segni, questo è un evento fondamentale nell’arte. È propriamente l’operazione poetica di far sorgere il Nulla dalla potenza del segno, non la banalità o l’indifferenza verso il reale, bensì l’illusione radicale. Così Warhol è veramente nullo, nel senso che reintroduce il niente nel cuore dell’immagine. Fa della nullità e dell’insignificanza un evento che egli trasforma in una strategia fatale dell’immagine (Baudrillard 1996).

 67. «Perché non esiste un’arte contemporanea.» Perché degli artisti? Oggi, necessariamente, anacronici. Il dovere, per un artista, è di essere anacronico: quando è contemporaneo, non è arte; quando è arte, non è contemporaneo. Quello che è arte, non può essere contemporaneo, ma solo «di un’altra epoca» — la prossima. […] Storia dell’arte moderna come autodistruzione. Questa storia è finita; non è nemmeno più la fase terminale… Sono discussioni estetiche ormai cadute in prescrizione, che si prolungano autoparodiandosi lungo tutto il XX secolo, e oltre… […] Le querelles sull’arte contemporanea sono senza oggetto. In realtà, non esiste niente di tale. In un romanzo di fantascienza della metà del XX secolo, erano esposte nei musei le opere dei pubblicitari e «creativi» del passato. Ecco, ci siamo arrivati: i pubblicitari si sono fatti «artisti», e gli artisti si sono fatti pubblicitari (di se stessi e del loro mondo). Quello che porta il nome di arte contemporanea è un composto di pubblicità, di finanza speculativa e di burocrazia culturale. Si direbbe forse con qualche buona ragione che è una sfida, in un tale mondo, fare il pittore. Ma lo è anche essere un uomo! (Semprun 2011)

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LIMITE, NORMA E AUTORITÀ.

68. La liberalizzazione avviata dal ’68 contro le autorità rientra in quest’ottica, trovando uno snodo decisivo nella sostituzione della figura del rivoluzionario con quella del dissidente la cui protesta avviene sul terreno dell’accettazione integrale della civiltà dei consumi e dei desideri propri della mercificazione globale […] la contestazione del dissidente si fonda sull’indebolimento del Superio, ossia della figura paterna autoritaria.  Senza che ciò comporti l’effettiva messa in discussione del cosmo capitalistico nelle sue strutture portanti. […] la merce può imporre la sua egemonia, non trovando più di fronte a sé alcuna autorità borghese in grado di opporle resistenza (il principio del consumo illimitato non è l’autorità ma il valore di scambio, incompatibile con ogni auctoritas (Fusaro 2012: 390).

69. Il progetto della libertà non può mai significare per ciò stesso assoluta assenza di vincoli e norme, e  nessuno può  reclamare, argomentando filosoficamente dell’assenza di leggi eterne e dall’assenza di significati e senso trascendenti, la disponibilità individuale/singolare dei processi che coinvolgono l’esistenza di tutti nella forma storico sociale in cui si dà, e specie del processo di procreazione di altri esseri umani che di per sé coinvolge i rapporti fra le generazioni e lo stesso modo in  cui ciascuno si rappresenta come figlio di altri uomini (Barcellona 2002: 80).

70. Piuttosto questa libertà del «farsi» nella pura fisicità relazionale dei «corpi» […] è in sorprendente sintonia con la libertà di quanti intendono affermare che nessun vincolo può essere posto al «desiderio singolare» di procreare un figlio anche attraverso le tecniche e gli artifici che oggi consentono praticamente di produrre «embrioni», utilizzando gameti e ovociti di varia provenienza, e impiantarli in un utero consenziente. […] dubito fortemente che siffatte pratiche rispondano ad autentiche esigenze di liberazione e ritengo, anzi, che esse rischiano di alterare lo statuto antropologico (psico-sociale) costruito attraverso millenni dagli abitanti di questo pianeta (come patrimonio di tutti gli uomini, in quanto opera di tutti), mi permetto di formulare alcuni dubbi su siffatto modo di concepire la «libertà», e ancor più sulla sua connotazione di «sinistra» (Barcellona 2002: 78).

 71. Senza l’emancipazione, che si realizza attraverso una figura paterna non più vissuta come antagonista mortale, ognuno di noi resta «legato» alle pulsioni negative, implicate in ogni rapporto simbiotico con la madre, che portano prima o poi al desiderio di distruggere tutto per tornare a uno stadio allucinato di totalità onnicomprensiva (Barcellona 2013: 9).

72. Così, nella logica del post-umano, non esistono fatti negativi, perché anche lo spreco di risorse mette alla prova l’intelligenza per produrre selezioni migliori. La guida interna del processo è capace di metabolizzare tutto. Senza alcun giudizio morale. L’assenza di valori ci rappresenta attori su di una scena in cui non si riesce più a distinguere il bianco dal   nero, con   il   risultato   del   ritorno all’indeterminazione originaria (Barcellona & Garufi 2008: 25).

73. Un gran numero di narrazioni mitologiche, elaborate da popoli che appartengono alle più disparate tradizioni culturali, comincia con il passaggio da una fase in cui gli esseri umani pensano solo a sopravvivere e non sono in grado di distinguere se stessi dal mondo che li circonda a uno stadio in cui prendono «coscienza» di sé. In tale processo di individuazione, gli esseri umani si pongono la domanda «chi sono io?». Nasce, così, il problema del bene e del male e il principio della coscienza morale, cioè il «limite» a ciò che si può fare. Oggi, al contrario, i limiti della «società della tecnica» coincidono con tutto ciò che è tecnicamente possibile e si può immediatamente realizzare. Assistiamo così a una completa perdita della coscienza morale, poiché essa non può esserci senza l’esistenza di un gruppo umano che riconosca una trascendenza dei principi, delle regole cui deve uniformarsi la condotta individuale (Barcellona & Garufi 2008: 85).

 74. La libertà, nella lotta contro il potere, non può essere priva, o essere privata, di autorità. È di fronte a questo scarto prodotto dal tempo, è di fronte a questa fine e a questo inizio d’epoca, che va pensata, e possibilmente praticata, una nuova forma di potere: «Quella dell’uomo che ha strutturato la sua vita in una dimensione etico-personale» (Tronti 2015: 100).

Fonte: IL COVILE

 Indice delle citazioni

Libri_MEGA

Barcellona                       15, 26, 55, 56, 69, 70, 71.

Barcellona & Garufi         72, 73.

Barcellona & Sorbi ecc.  16.

Baudrillard                       13, 19, 20, 21, 51, 52, 66.

Camatte                           5, 6, 11, 12, 14, 22, 23, 31, 36, 53, 65.

Collu                                 4, 10.

Debord                             2, 3, 9, 17, 18.

Illich                                 24, 54.

Fusaro                             7, 8, 27, 44, 58, 68.

La Grassa                       60, 64.

Marx                                1, 30, 46.

Milosz                             28.

Preve                              25, 29, 32, 33, 34, 35, 40, 42, 43, 57, 61, 62, 63.

Preve & Bontempelli      41.

Semprun                        67.

Tronti                             37, 38, 39, 45, 47, 48, 49, 50, 59, 74.

 

 

Fonti

Barcellona, Pietro

2002,  Alzata con pugno, dentro la crisi della sinistra, Città aperta.

2005a, Il suicidio dell’Europa, dalla coscienza infelice all’edonismo cognitivo. Dedalo edizioni.

2005b, Intervista al supplemento di Avvenire, «È Vita», 26 febbraio 2005.

2010,  Elogio del discorso inutile, Dedalo edizioni.

2013,  «Prefazione», in Claudio Risè, Il padre, libertà, dono, edizioni Ares.

Barcellona & Garufi

2008,    Il furto dell’anima. La narrazione post-umana, Dedalo

Barcellona & Sorbi & Tronti & Vacca.

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1977b, «Le Sida: virulence ou prophylaxie?», in Écran total, Galilee, trad. nostra.

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1977,    Il capitale totale, Dedalo.

1978,   Il Disvelamento, traduzione di Giovanni Dettori, edizione elettronica sulla base di quella La Pietra

del 1978, disponibile nel sito di Joe Fallisi: www.nelvento.net.

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2004,    Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo, C.R.T., Pistoia.

2005      «Nichilismo, individuo, universalismo reale», ripreso dal sito www.kelebekler.com, pubblicato in

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Preve & Bontempelli

1997,    Nichilismo Verità Storia. Un manifesto filosofico della fine del XX secolo, CRT.

Semprun, Jaime

2011,    Andromaque, je pense à vous!, éditions de l’Encyclopedie des Nuisances, Paris 2011. Trad. di G. Rouf in Il Covile n° 698, maggio 2012.

Tronti, Mario

2015,    Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero, Il Saggiatore.

1 commento per “Marxisti antimoderni – Antologia

  1. 2 Aprile 2018 at 16:21

    STATE INVERO PRONUNCIANDO IL NOME DI COLLU NON AVENDO CAPITO UNO JOTA DI QUANTO SIA STATO COLLU DAVVERO, NON AVETE CAPITO NULLA DI NULLA; LO STATE CONTRABBANDANDO NELLA MAGGIOR MALAFEDE POSSIBILE!

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