Obama dirige, la Fratellanza suona, qualcuno stona

Se riusciamo a far sporgere il capino dalle slavine di informazione artificiale che giorno dopo giorno, da schermi e pagine stampate mainstream, ci travolge, forse riusciamo a intravedere ancora qualche brandello di realtà. Qui si espone un’ipotesi, tra le tante verità incontrovertibili che ci sommergono, che mancherà di pezze d’appoggio granitiche, ma ha il pregio, imparato da Maria Montessori, di trarre un minimo di logica dal collegamento dei dettagli.
C’è un direttore d’orchestra, da qualche tempo è quello a stelle e strisce con stella di David sul cappello. E c’è un’orchestra che a volte suona in armoniosa sintonia, a volte perde il sincrono perché qualcuno va per conto suo e stona. Succede quando un settore dell’orchestra prende l’abbrivio e inserisce uno spartito diverso sul leggìo.E pare succedere ora, con un’orchestra in dissonanza tra due gruppi di musicanti che anziché andare di conserva, come il direttore vorrebbe, suonano l’uno contro l’altro.
Fuor di metafora, fanno gruppo e si muovono compatti all’attacco Turchia, Qatar e Tripoli, cavalli di razza di una Fratellanza Musulmana cui il direttore, o regista, memore dei servizi storicamente forniti dalla confraternita al colonialismo, aveva voluto affidare la risistemazione del Medioriente, nel segno di un islamismo integralista, lontano dalle fregole nazionaliste, sovraniste, laiche e addirittura socialisteggianti, degli Stati tempratisi nel fuoco delle lotte di liberazione. Di contro c’è il gruppone Casa di Saud, Emirati, Oman e frattaglie minori del Golfo che non è che siano apostati senzadio, ma sulla religione e sul petrolio vorrebbero non essere infastiditi nella loro egemonia. E a tal punto detestano la Fratellanza da essersi addirittura schierati dalla parte di quel laicone, amico di Putin (con il quale, del resto i sauditi hanno avuto ripetuti abboccamenti, il Qatar no, guai!) e bau bau massimo dei Fratelli Musulmani, che è il presidente dell’Egitto, Abdelfatah Al Sisi.
C’è ragione per sospettare che gli avvenimenti funesti degli ultimi giorni possano essere l’esito di queste divergenze. Una specie di controffensiva della Fratellanza messa in grave difficoltà in Siria, dagli insuccessi suoi e dei suoi succedanei Al Nusra e Isis, in Egitto dalla rivolta popolare che ha eliminato dalla scena l’imam ultrà Morsi e favorito l’ascesa di Al Sisi, in Libia dagli unici che paiono poter prendere in mano la situazione e sono l’Egitto, i laici di Tobruk e il generale “neo-gheddafiano” Haftar. Mettiamo in fila azioni e reazioni.
I turchi abbattono un Sukhoi e i Fratelli, o loro cugini di primo o secondo grado, un Boeing, entrambi russi, il primo sulla Siria, l’altro sul Sinai egiziano, due paesi a governo antislamista. Botta ai siro-russi, botta terrificante al turismo che sostiene l’Egitto. Niente da fare: esce fuori che l’Egitto si avvia verso una bonanza economica e fertili rapporti internazionali a vasto raggio grazie alla scoperta di un oceano di gas davanti alle sue coste. E che ci lavora con l’italiana ENI. E che Renzi, commesso viaggiatore dell’ENI, trascurando le fatwe dei Fratelli, va in Egitto e ci combina grossi affari. Visto che sul posto con i manager e a Tobruk con le Forze Speciali sono già arrivati i francesi, eterni guastafeste in Libia.
I Fratelli scatenano una campagna terroristica da un capo all’altro dell’Egitto. Ne fa le spese anche il consolato d’Italia al Cairo. Appunto. Ne fa le spese, appunto, anche un altro pezzo d’Italia, Giulio Regeni, a mezzadria però con gli angloamericani McCole e Negroponte, spione e serial killer. Più inclini questi, per mandato storico, ai Muslim Brothers che non al generale che si dice erede di Nasser. In Italia tutti coloro che hanno polluzioni notturne sognando la Casa Bianca, o il Tempio di Salomone, aprono un fuoco di sbarramento sul demonio egiziano la cui malvagità farebbe impallidire di invidia Gengis Khan e Pinochet. Parigi, che da tempo tra il petro-sultano del Qatar e il gas-presidente d’Egitto ha scelto il secondo (anche per la comune vista sulla petrolifera Libia), il terrorismo islamista se lo fabbrica da sola. I Fratelli veri ne restano fuori. Con l’Italia si può, con i francesi è più rischioso.
Ma Roma, Palazzo Chigi, l’ENI, non demordono. Farsi sfuggire il boccone energetico egiziano, proprio mentre a casa nostra un possente movimento popolare No Triv, ora pure referendario, mette in discussione la distruzione del territorio nazionale tramite trivelle e piattaforme, scherziamo? E allora vengono fatti trovare morti, tra versioni deliranti che si scontrano tra di loro come palline impazzite sul biliardino, due italiani, Failla e Piano, tecnici ENI. La pallina più pazza è quella del chiodo che avrebbe permesso ai due sopravvissuti di scardinare una porta e ritrovarsi liberi in strada. Tutto succede a due passi dal municipio di Sabrata, dove si aggirano quelli dell’Isis e regnano i cugini musulmani dei Fratelli Musulmani di Tripoli. Gli uni fianco a fianco con gli altri. Una faccia una razza. Giustiziati? Colpiti nello scontro a fuoco? Armati anche loro? Scudi umani? Dice che sono stati quelli dell’Isis, e chi se no.
A questo punto, da quelle parti restano appena i quattro gatti dei servizi e delle Forze Speciali. Ma i 5000 armigeri, ripetutamente annunciati dalla fregolosa Pinotti, vengono bloccati a mezz’aria da una presa acrobatica di Renzi. Dati i buoni rapporti Roma-Cairo, era da supporre che sarebbero serviti a sostenere la campagna già avviata a Bengasi da Haftar. Ma due morti e altri due a rischio di fare la stessa fine hanno fatto correre il premier da Barbara d’Urso, dove si decidono le sorti del mondo, e a compiere quel testacoda, da “guerra alla Libia” a videogioco. I Fratelli fanno paura.
Ma i Fratelli di Tripoli e del Qatar non si fidano. Dopo essere stati per mesi in prima fila a invocare l’intervento straniero “contro l’Isis” (sarebbe come se la ‘ndrangheta chiedesse ad Alfano di infierire su Cosa Nostra), immaginando che l’intervento avrebbe favorito loro su quelli di Tobruk, subodorato che Roma non è ancora del tutto convinta, la menano per le lunghe nella restituzione dei corpi dei due nostri infelici connazionali. Possiamo immaginare, insieme ai superesperti che blaterano fantasie da schermi e giornali, che intorno alla triste vicenda di Failla e Piano e quella tormentata di Calcagno e Pollicardo, si arrovellino e contendano meriti e demeriti bande di briganti, settori degenerati delle milizie di Misurata, berberi filo-Tobruk calati a valle, guardie municipali di Sabrata, l’Isis che si vendica su di noi giacchè non può picchiare gli americani che li hanno disfatti con le bombe. Ma se non è zuppa è pan bagnato. La guerra è tra i Fratelli Musulmani con rispettivi sponsor statali, turchi e Qatar in testa (ma anche Israele, capirai: da teocrati a teocrati…), ed Egitto e rispettivi amici (con cui pure briga Israele, da sempre con i piedi in tutte le staffe).
E gli Usa? Nulla è lineare neanche qui. Un po’ con i turchi nella Nato e nell’intento di sconvolgere l’Europa con i rifugiati, un po’ contro i turchi con i curdi siriani che gli fanno costruire una base e un aeroporto anti-Assad in Siria in cambio di protezione e secessione. Quanto alla Libia, in un modo o nell’altro la vogliono, magari spartita tra francesi, britannici, loro, e una pompa di benzina all’Italia. Di prammatica preferiscono gli Islamisti con i sottoprodotti Isis e Al Nusra, che poi sono un’impresa comune tra loro e tutti gli altri. Probabilmente, ancorati alla tradizione, nonostante i recenti rovesci subiti dai Fratelli in Egitto, Siria e Iraq, preferiscono quelli che non hanno la fisima degli Stati Nazione e tantomeno del panarabismo (ancora gli scotta quell’esperienza). Anche perché è dalla religione che fioriscono le migliori lobotomie di massa e i più efficienti regimi totalitari.
Ecco perché l’ambasciatore Usa Philips, dalle bocche di fuoco del Corriere, ha sparato schiaffazzi a Renzi per non avere ancora attraversato il Canale di Sicilia in armi. In direzione di Tripoli, però, non di Tobruk. E il discolo fiorentino? Qualcuno, a vederne l’andirivieni tra guerra e pace, tra minacce dei Fratelli e minacce del padrino Usa, tra il Cairo e Tripoli, s’è chiesto se si trattava di un mini-Craxi a Sigonella, o del solito Arlecchino dei due padroni. Poi lo si è ritrovato in classe, ma sotto il banco, a promettere alla professoressa D’Urso di essere buono. Buono un po’ con l’uno, un po’ con l’altro, come è virtù nazionale. La quadra sarebbe beccarsi il gas egiziano, e al tempo stesso non far incazzare la Fratellanza (e chi la pompa). Bisogna vedere come la prende Mr. Philips.
Comunque, amici, sono ipotesi perché, come diceva Lorenzo, “di doman non v’è certezza”.
Fonte: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/03/obama-dirige-la-fratellanza-suona.html

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