L’imperialismo americano secondo Diana Johnstone

Recensione del libro “Hillary Clinton, Regina del caos” di Diana Johnstone, Editore Zambon, 2016

Le guerre dell’imperialismo nord-americano – oltre duecento guerre d’aggressione coloniale ed imperialista dalla fondazione degli Usa – stanno infiammando diverse aree geopolitiche: dal Medio Oriente all’Eurasia. Il copione è sempre lo stesso: l’opinione pubblica viene allarmata circa l’esistenza di un presunto ‘’dittatore sanguinario’’ che massacra il proprio popolo, e gli Stati Uniti – a scanso d’equivoci – intervengono polverizzando lo Stato in questione, ‘’popolo massacrato’’ compreso.

Il libro di Diana Johnstone – Hillary Clinton, Regina del caos, Editore Zambon – ha il pregio d’inquadrare la figura politica di Hillary Clinton la cui carriera come Segretario di Stato dimostra quanto sia qualificata – leggiamo dal retro di copertina – per diventare la madre di tutti i droni o addirittura della Terza Guerra Mondiale. Un ruolo che spetta ad Hillary, la candidata favorita dei sionisti, a dispetto degli sproloqui nazionalisti e fascistoidi di Donald Trump.

Nella prima parte della sua ricerca – Cap. 1; Cap. 2 – la Johnstone analizza separatamente le fazioni della borghesia imperialista statunitense, spiegando le differenze fondamentali fra la componente liberal ( di cui fa parte il presidente Obama ) ed i neoconservatori ( fazione del clan Bush ). Negli Usa – come è chiaro nel libro – la dicotomia destra/sinistra non esiste: si tratta, piuttosto, di fazioni borghesi che si caratterizzano e si distinguono l’una dall’altra sulla base di progetti egemonici differenti ma non sempre incompatibili. L’unità fra il ‘’partito degli affaristi’’ e quello dei ‘’guerrafondai’’ ha dato vita – dice Diana Johnstone – al Partito della Guerra.

Nella sua Introduzione la Johnstone scrive: ‘’Le donne hanno governato durante l’intera storia mondiale. Questo ha avuto ben pochi effetti sulle vite quotidiane di milioni di donne. Come la stessa Hillary, le governanti donne sono state nella maggior parte dei casi figlie o mogli di governanti uomini. Durante la sua visita in Asia Meridionale nel 1995, come riferisce il suo biografo Carl Bernsterin, Hillary osservò: ‘’Pakistan, India, Bangladesh e Sri Lanka hanno avuto tutti governi guidati da donne, eppure nelle culture di questi paesi la donna è disprezzata a tal punto che a volte le neonate vengono uccise o abbandonate’’. La condizione sociale della donna in una società non dipende dal fatto che il paese abbia o meno una regina’’ ( pag. 12 ). Domanda: l’Imperialismo della Triade – Usa, Israele e Gran Bretagna – ha davvero bisogno di una donna ( la cinica strega dell’Impero, come la chiamò una volta il filosofo torinese Costanzo Preve ) per scatenare un nuovo conflitto mondiale ? L’autrice del ricco saggio rompe ogni tabù, togliendo il ‘’velo di maya’’ alla politica del principale Stato capitalista su scala planetaria: dal ruolo dei mass media alle varie fazioni delle classi dominanti, tutto nell’analisi della Johnstone viene messo – con grande puntualità – al proprio posto.

Nell’aprile del 2014, uno studio condotto dalla Princeton University e dalla Northwestern University, concludeva che gli Stati Uniti non sono una democrazia ma una oligarchia guidata da elite economiche. La Johnstone riassume in poche, eloquenti, parole i risultati della ricerca: ‘’In altre parole, le scelte politiche degli americani al di sopra del 90 percentile di reddito sono state messe in atto, mentre i desideri degli americani medi, al di sotto del 50 percentile di reddito, sono stati ignorati’’ ( pag. 26 ). Quello che emerge dai dati, precisi e certamente inoppugnabili, è che le elite economiche e lo strapotere delle aziende hanno un impatto sulla vita politica talmente forte da schiacciare i bisogni vitali della gran parte della popolazione. Negli Usa le disuguaglianze sociali aumentano, giorno dopo giorno, di pari passo con le discriminazioni razziali. L’imperialismo nord-americano, che nel dopo guerra si vantò d’aver sconfitto il nazismo (ovviamente dopo aver fatto ottimi affari con Hitler), foraggia il neonazismo etnicista: al proprio interno con la ricostituzione del Partito nazista statunitense e in giro per il mondo, basti pensare a Settore Destro in Ucraina.

Il primo capitolo del libro – Cavalcare la tigre militare-industriale-finanziaria – delinea il processo costitutivo del complesso militar-industriale nord-americano. La nostra autrice ci fa capire chi davvero comanda a Washington: ‘’Ogni quattro anni, il sistema bipartitico statunitense offre sostanzialmente ai votanti la scelta tra due soli candidati, entrambi soggetti all’attento scrutinio di miliardari e lobby che rappresentano grandi corporation e interessi finanziari’’ ( pag. 27 ). I partiti che competono alle elezioni, repubblicani e democratici, hanno accettato la conformità della politica interna agli interessi dei grandi capitalisti privati, veri burattinai che allestiscono il teatro degli inganni.

La Johnstone si pone la domanda cruciale: come  siamo giunti a questo punto ? Fu Dwight Eisenhower a dare un nome a questa trappola nel suo discorso d’addio alla presidenza pronunciato il 17 gennaio 1961: complesso militare-industriale. La creazione di questo mostro viene fatta risalire al 14 aprile 1950, quando il presidente Harry S.Truman, affidò al banchiere Paul Nitze il compito di smantellare i programmi sociali del New Deal indirizzando gli investimenti verso una incessante escalation militare. Per conquistare il sostegno del Congresso e dell’opinione pubblica, che presto si sarebbe vista smantellare lo Stato sociale, era necessario ingigantire la ‘’minaccia comunista’’. Ma l’Urss ‘’Non rappresentava nemmeno una minaccia militare, dal momento che sotto Stalin l’Unione Sovietica aveva abbandonato la dottrina della ‘’rivoluzione permanente’’ ( fra le proteste dell’esule Trotsky ) e si stava concentrando sulla ricostruzione dopo le devastazioni della guerra e sulla creazione di un sistema di difesa dalle ulteriori aggressioni che temeva di subire dall’Occidente capitalista’’ ( pag. 29 ). La Guerra Fredda, scatenata dagli Usa, si fonda sulle menzogne scritte nel documento NSC-68, una farsa che tracciò la traiettoria degli Stati Uniti per intere generazioni a venire. Domanda: la sinistra di classe, nel ‘’ventre del mostro’’, che fine fece ?

Diana Johnstone va oltre i tanti saggi ‘’economicisti’’, e ci spiega come il complesso militar-industriale ( da ora MIC ) ha bisogno di qualcosa di più dei profitti, quindi ‘’Necessita di una costante giustificazione ideologica del suo dominio, se non altro per gratificare i suoi principali agenti, in particolare nelle forze armate, dove la fede in una missione costituisce una necessità vitale’’ ( pag. 32 ). L’imperialismo Usa – basato sullo strapotere di ciniche multinazionali – ha generato una ‘’comunità di intellettuali di difesa’’ sempre in cerca di ‘’minacce’’ e ‘’missioni’’ da portare a termine. Questi intellettuali prezzolati sono esperti nell’addomesticamento alla teologia (neo)mercantile, cani da guardia dell’israelo-centrismo. Se la destra guerrafondaia piazza, da nord a sud, bombe al fosforo bianco senza porsi troppe domande (‘’quando sento la parola cultura mi viene da mettere la mano alla pistola’’, diceva un noto gerarca nazista ), i giovani accademici, ambiziosi al punto giusto, sono la faccia ‘’convincente’’ dell’Impero, i ‘’saggi’’ capaci di mettere un intero popolo – ed il popolo statunitense si è rivelato facilissimo da manipolare – in armi.

Il Cap. 2 del libro, intitolato Manipolazioni multiculturali, affronta, con estrema chiarezza proprio il tema dell’egemonia culturale. Per chiarire il concetto di Eccezionalismo americano la nostra studiosa offre una calzante definizione di globalizzazione: ‘’In breve, la globalizzazione significa un mondo unificato dalla penetrazione universale dei mercati finanziari in ogni settore di ciascuna economia nazionale, che consente al capitale internazionale di plasmare la produzione, il commercio e i servizi attraverso le sue scelte di investimento. Tutto questo ha importanti implicazioni politiche’’ ( pag. 44 ). Gli Stati nazionali, per uniformarsi alla finanziarizzazione dell’economia, devono distruggere i diritti sociali delegando le sovranità ad organismi transnazionali, anonimi ed impersonali, veri demolitori delle istanze popolari e di classe. Per Diana Johnstone: ‘’La globalizzazione a guida statunitense è un processo: un processo inteso ad assorbire una parte sempre più vasta del mondo all’interno della sfera della ‘’democrazia di libero mercato’’’’ ( pag. 45 ). L’Unione Europea è l’esempio perfetto di ‘’globalizzazione a guida Usa’’: più gli intellettuali di regime parlano di ‘’democrazia’’, maggiormente gli spazi democratici si chiudono a vantaggio di una burocrazia centralista – quella di Bruxelles – asservita – e questo è molto importante – militarmente all’imperialismo statunitense.

La ‘’bisbetica domatrice’’, Hillary, è la maggior interprete di questa fase dell’espansione capitalistica. La regina del caos, col suo cinismo, è riuscita a tappare la bocca – da Assange a Snowden – alle voci critiche ed ai dissidenti. Domanda: gli Usa vi sembrano – pensate alla sorte di Snowden o di Mumia Jamal – un paese democratico ? Secondo il personale politico di Washington è necessario trovare un equilibrio fra ‘’sicurezza’’ e ‘’riservatezza’’ ma la ‘’riservatezza’’ è una forma di ‘’sicurezza’’. Alla luce di ciò chi rappresenta l’ultimo baluardo realmente democratico negli Stati Uniti: il Partito ‘’democratico’’ o i coraggiosi giornalisti di Wikileaks ?

La Johnstone ha chiaro che ‘’Questo ‘’sgabello’’ costituisce in realtà l’immagine della governance limitata che caratterizza una società corporativa: un governo attento alle esigenze del capitale finanziario, un’economia capitalistica e organizzazioni private, non elettive e fortemente sovvenzionate, incaricate di stabilire i ‘’nostri valori’’ ( pag. 53 ). Mi permetto di dare al lettore una sintesi efficace citando lo scrittore tedesco Bertolt Brecht ‘’semmai ci sarà un fascismo americano, sarà un fascismo democratico’’. E così fu.

Il multiculturalismo indica un insieme di identità diverse che prendono il posto delle classi sociali. Ma le classi sociali continuano ad esistere e col neoliberismo la differenza fra ‘’ricchi’’ e ‘’poveri’’ aumenta vertiginosamente: ‘’Il potere politico è concentrato al vertice come mai prima d’ora, nelle mani di super-ricchi, grandi corporation e istituzioni finanziarie’’ ( pag. 57 ). Gli accademici al servizio dell’Impero cercano di sovrapporre il ‘’culturalismo’’ alla lotta di classe: le dicotomie non sono più – seguendo i loro erronei discorsi – economiche e sociali ma diventano sovrastrutturali. Quindi compare il conflitto fra il genere maschile e quello femminile, oppure lo scontro fra le istanze eterosessuali ed i diritti dei ‘’nuovi gay’’. Una particolare importanza viene assunta dal conflitto etnico perché, seguendo le linee politiche di Washington, quest’ultimo sarà il cavallo di Troia nella distruzione dell’ex Jugoslavia ( di cui D.J. parla nel Capitolo 4 ).

La diffusione, nelle università e nelle corporation dell’informazione, del multiculturalismo è il rovescio della medaglia rispetto al fascismo: ‘’La promozione del multiculturalismo deve molto all’ossessione apparentemente intramontabile dell’Occidente per il lungo decennio hitleriano nell’ambito della storia del Novecento. Si direbbe che tutti i valori siano stati fissati una volta per tutte negli anni compresi tra l’ascesa al potere di Hitler nel 1933 e la sua caduta nel 1945, e che tale periodo debba rimanere il punto di riferimento decisivo per tutti gli eventi successivi. Il multiculturalismo rappresenta il polo virtuoso di una forma di manicheismo laico’’ ( pag. 58 ). Per questo motivo ‘’Ogni governo alle prese con una minoranza riottosa viene sospettato di tramare un genocidio’’ ( pag. 59 ). E’ questo senso di colpa europeo che ha determinato il passaggio dalla ‘’giudeofobia’’ hitleriana alla “giudeofilia” liberal-imperialistica. E’ questo il segreto – da tutti celato – dell’impunità d’Israele, Stato imperialista che con una strategia e una prassi terrorista viola sistematicamente il diritto internazionale?

Hillary Clinton – come ci ha spiegato molto bene James Petras – ha impostato la sua ascesa politica proprio sul servilismo al sionismo. L’autrice del libro non utilizza mezzi termini: ‘’Se i neocon hanno bisogno delle donne per far apparire bella la guerra, le donne più ambiziose hanno bisogno della guerra per far avanzare le proprie carriere’’ ( pag. 97 ). Lo smart power ( potere intelligente ) viene definito come ‘’usare ogni mezzo immaginabile per promuovere l’egemonia mondiale degli Stati Uniti. All’interno di questo arsenale, il concetto più importante legato al ‘’soft power’’ sono indubbiamente i diritti umani. Questo è un settore in cui Suzanne Nossel è una vera specialista’’ ( pag. 112 ). Questa concezione imperiale del mondo entrò in azione, nel 1998-’99, contro la Serbia indipendente e sovrana. Gli effetti furono terrificanti ed ancora oggi se ne pagano amare conseguenze.

 

Jugoslavia: il ciclo delle guerre dei Clinton

Il Cap. 4 del libro di Diana Johnstone prende in esame l’aggressione imperialista all’ex Jugoslavia presentandola come il punto d’inizio del ciclo delle guerre dei Clinton. Il capitolo presenta una attenta disamina della natura, sociale e politica, del conflitto: il terrorismo etnico dell’UCK, la mobilitazione dell’apparato mass mediatico occidentale con la conseguente invenzione del ‘’genocidio’’, la nascita di uno Stato criminale, il Kosovo.

Il titolo di uno dei suoi paragrafi più importanti è particolarmente eloquente: Con l’accusa dell’Olocausto. L’alibi dell’Olocausto è sempre valido quando si deve scatenare una guerra anche perché i capi di Stato europei sono così ‘’legati’’ al passato che si trovano nell’incapacità di comprendere ed intervenire nel presente. L’imperialismo Usa e la lobby sionista se ne sono approfittati alla grande, ecco le loro presunte parole ‘’Vedete, senza un Grande Fratello angloamericano che vi sorveglia voi europei producete solo fascismo e totalitarismo. Accettate le basi NATO e legatevi alla politica estera d’Israele, le cose miglioreranno in favore della democrazia’’. Si tratta, ovviamente, d’una truffa di proporzioni colossali.

Diana Johnstone mette in risalto lo stato confusionale in cui si trovò la borghesia europea, frastornata dalla propaganda guerrafondaia statunitense: ‘’Il conflitto in Kosovo era così oscuro, così incomprensibile agli americani e così distorto dall’inganno e dall’auto-inganno che il modo più semplice per interpretarlo era farlo attraverso un’analogia con un conflitto che tutti conoscevano, o credevano di conoscere. Il vantaggio morale appariva immenso, specie alla luce del suo basso costo, dal momento che si trattava di bombardare un paese privo di difese antiaeree adeguate, con pochi rischi da parte nostra’’ ( cap. 134 ). L’olocausto – o per meglio dire la Shoah, con la S maiuscola – è un fatto storico accertato, un crimine che l’imperialismo nazifascista consumò con la collaborazione di alcuni settori della borghesia Usa (principalmente i clan Rockefeller e Bush) e della destra sionista ( Begin, Jabotinsky ed altri ); purtroppo, non per la prima volta, si praticò lo “sterminazionismo” su basi etniche. Possiamo tristemente trovare, nella storia umana, molte altre Shoah: lo sterminio dei nativi nord americani, l’estinzione di innumerevoli popolazioni sudamericane, africane ed asiatiche attribuibili alle logiche capitalistiche del colonialismo occidentale con in testa quello britannico. Il complesso militar-industriale francese qualche anno dopo il crimine hitleriano – che non colpì solo ebrei – sterminò un milione e mezzo di algerini. La Nakba, ferita aperta per il mondo arabo, chiamata dallo storico israeliano Ilan Pappe la pulizia etnica della Palestina è una sorta di Shoah palestinese. Le borghesie statunitense ed israeliana, non hanno fatto altro che strumentalizzare la tragedia degli ebrei – fra cui moltissimi ebrei di sinistra, anarchici, socialisti e comunisti – rinchiusi ed eliminati nei lager nazisti ad utile consumo dei loro interessi capitalistici. Israele tira fuori dal cilindro l’alibi dell’antisemitismo tutte le volte che calpesta il diritto internazionale – in poche parole, di continuo da quando esiste – mentre gli Usa parlano di Olocausto ogniqualvolta il complesso militar-industriale ordina al suo personale politico una nuova guerra. Il clan dei Clinton – Hillary prima ancora di Bill – è maestro nell’arte della manipolazione mass-mediatica e utilizza come piede di porco la ‘’religio olocaustica’’. Le donne di potere, a quanto pare, sanno mentire come e forse meglio dei loro colleghi uomini, ma questa verità il ‘’politicamente corretto’’ non può proprio digerirla.

Il Capitolo 4 termina con un paragrafo intitolato L’esperimento del Kosovo dove D.J. spiega il modo attraverso cui gli Usa avanzano nel demonizzare e mettere al bando nella ‘’società delle nazioni’’ il paese da distruggere. Riporto – col fine di dare al lettore una idea chiara del metodo della Johnstone – qualche stralcio del testo.

Hitlerizzazione

La parte del nuovo Hitler è stata affibbiata alle personalità più diverse quali Slobodan Milosevic, Saddam Hussein, Muhammar Gheddafi, Bashar al-Assad e ora Vladimir Putin.

Sanzioni. Le sanzioni economiche contro l’Hitler di turno servono a stigmatizzare il malvagio, a destabilizzare le sue relazioni e ad arruolare gli alleati interni che esistano ancora a ricorrere alle armi ma sono disposti ad accettare questo presunto metodo ‘’pacifico’’ per fargli cambiare atteggiamento. Una volta fallite le sanzioni l’opinione pubblica è ormani stata preparata a considerare ‘’necessario’’ l’uso della forza militare… ( pag. 146; pag. 147 )

Spauracchio del ‘’genocidio’’

Ogni qual volta gli Stati Uniti prendono posizione in un conflitto etnico o politico in atto in una data regione, la procedura abituale consiste nell’accusare la parte avversa di tramare un ‘’genocidio’’. Tale accusa esclude la possibilità che entrambe le parti stiano combattendo per raggiungere specifici obiettivi territoriali o politici che, se adeguatamente compresi, potrebbero essere oggetto di mediazione… ( pag. 148 )

Media e propaganda

La chiave dell’intero sistema di aggressione è costituita dalla padronanza con cui gli Stati Uniti maneggiano un enorme apparato di propaganda, incentrato sui media mainstream. La colonna sonora è fornita dall’industria dello spettacolo, in particolare Hollywood, che sforna a getto continuo prodotti che glorificano l’uso della violenza per schiacciare il nemico. I videogiochi rappresentano un potente nuovo strumento atto a rendere normale l’istinto omicida… ( pag. 148; pag. 149 )

Bombardamento

Questa è l’argomentazione decisiva, la spada di Damocle che pende su qualunque controversia.

Per il Pentagono, la NATO, la CIA, la NED, i media mainstream e l’establishment della politica estera USA, la guerra del Kosovo costituì un’ottima esperienza didattica, un terreno di prova, un allenamento per future avventure. Fu la ‘’guerra per fare le guerre’’. ( pag. 149 )

Un ruolo decisivo è stato svolto dalle ONG dei diritti umani, finanziate dal governo Usa, braccio “armato” di George Soros – padrino dell’OTPOR – e di Gene Sharp, teorico delle ‘’rivoluzioni colorate’’, elaboratore di scenari ‘’rivoluzionari’’ ad utile e consumo dell’imperialismo nord-americano e dei suoi vassalli. La recita si è ripetuta nel 2011 in Libia – Cap. 5, Libia: una guerra tutta per lei – con l’assassinio del leader nazionalista indipendente Gheddafi, reo d’essere passato dal pan-arabismo laico al pan-africanismo. Il Fondo Monetario Internazionale ordina e il complesso militar-industriale Usa esegue fedelmente.

 

Dicotomia destra/sinistra: su quale spalla l’imperialismo statunitense poggia il fucile ?

La ‘’bisbetica domatrice’’ Hillary rappresenta il passaggio dalla linea neocon di Jeane Kirkpatrick, ambasciatrice con Reagan, a quella ‘’diritto-umanista’’ dei liberal apparentemente meno guerrafondai ( le cose sono andate molto diversamente ), educati da Gene Sharp e Soros. L’imperialismo delle bombe passa il testimone – dai primi anni ’90 in poi – a quello delle ONG ? Così non fu, le due cose – bombe ed ONG e viceversa – camminano di pari passo.

La Kirkpatrick era conosciuta per la sua dottrina secondo la quale è legittimo che gli Stati Uniti appoggino regimi dittatoriali ( come ad esempio quello di Pinochet in Cile ) in nome della lotta al ‘’comunismo’’. Caduta l’Urss questa linea divenne inutilizzabile, quanto meno come ‘’protesi ideologica’’. Il riarmo, l’attivismo del complesso militar-industriale ed il taglio – sempre maggiore – ai diritti sociali, andavano giustificati, quindi gli ‘’intellettuali imperiali’’ si rimisero al lavoro inventando nuove ‘’minacce’’ da cui ‘’difendersi’’. Dall’Islam politico alla Russia, l’agenda di Washington non aveva e non ha spazi bianchi.

Durante l’amministrazione Clinton il punto focale della politica estera si spostò sui diritti umani. I ‘’valori’’ e gli ‘’interessi’’ dell’America le imponevano – dice D. J. – di intervenire per proteggere e salvare le vittime delle violazioni dei diritti umani. Una donna – il ‘’volto umano’’ (ma quanto umano ?) della Nato – erano perfetti per questo ruolo che – come abbiamo ben visto – si è rilevato menzognero e truffaldino. Hillary, molto più di Bill, unisce le istanze dei sionisti avversi all’intervento russo in Siria e dei liberal russofobi, strateghi come Brzezinski i ritengono che ‘’gli Usa non devono sempre seguire Israele come un mulo, ma è necessario conquistare l’Eurasia, quindi chi controlla l’Eurasia controlla il mondo’’.

Nel 1997, durante il mandato di Bill Clinton, Brzezinski pubblica La grande scacchiera in cui ‘’In breve, gli Stati Uniti sono chiamati a modellare il mondo intero, nella certezza che ciò sarà ‘’in ultima analisi’’ un bene per l’umanità’’ ( pag. 180 ). Ma nel frattempo è necessario ‘’l’indebolimento preventivo di qualunque potenza emergente, non in virtù di ciò che tale potenza fa, ma semplicemente in virtù della sua esistenza’’. Scrive Diana Johnstone: ‘’La Russia, semplicemente per le sue dimensioni e per la sua posizione, è destinata a essere considerata un potenziale ‘’sfidante’’ e quindi un avversario. La conclusione è che la speranza espressa dalla Russia di risorgere in veste di partner pacifico e prospero dell’Occidente è inaccettabile per i vertici politici degli Stati Uniti’’.

I presupposti per la ‘’non comprensione della Russia’’ hanno queste basi ideologiche – Cap. 6, Non capire la Russia – e porteranno la Clinton ad allearsi coi neocon e i sionisti bellicosi disposti sempre e comunque a lanciare una nuova guerra, nonostante le conseguenze sulla stessa popolazione americana. Fino al 2014 gli Usa trattavano la Russia come un ‘’partner scomodo’’, facendoci affari tutti le volte che era possibile, poi – provocata la crisi Ucraina che ha portato ad un golpe neofascista – le cose cambiarono, il nemico russo venne costruito, passo dopo passo, a tavolino ripristinando la retorica anti-comunista e russofoba della Guerra Fredda. Una farsa ideologica (la Russia venne presentata come un paese per natura totalitario) con finalità politiche-militari, che si è avvalsa della collaborazione di prezzolati giornalisti ed accademici di regime.

Diana Johnstone descrive il presidente Vladimir Putin come un difensore, un giudice attento del diritto internazionale: ‘’Sul piano internazionale, nonostante le provocazioni, la Russia avrebbe continuato a perseguire misure atte a prevenire l’anarchia a livello globale, che rischia di fomentare corse agli armamenti e interminabili conflitti etnici, religiosi e sociali. Per Putin la parola chiave è ‘’rispetto’’: un mondo stabile deve fondarsi sul rispetto reciproco, un elemento assente nell’approccio che gli Stati Uniti adottano con gli altri. Gli Stati Uniti, osservò Putin, dopo essersi dichiarati vincitori della Guerra Fredda non avevano percepito la necessità di costruire un sistema stabile’’ ( pag. 238 ). Dopo aver riportato questo breve passo, una nota critica è doverosa: la nostra autrice mi sembra che attribuisca a leader russo un inesistente ‘’antimperialismo’’, cosa su cui è necessaria cautela dato l’avvenuto ripristino del capitalismo in quel paese. Il ‘’buon’’ Vladimir perché non ha mai condannato apertamente la demolizione dell’economia pianificata? Domanda: come mai la Russia intrattiene relazioni ambigue con lo Stato israeliano rifiutandosi d’appoggiare, senza compromessi, la Resistenza palestinese (cosa che fa invece l’Iran)? A queste due domande, Diana Johnstone, non risponde in modo chiaro.

Il libro, Hillary Clinton, La Regina del caos, ha il merito di mettere in risalto le divisioni interne delle elite Usa, il loro scontrarsi per poi ricompattarsi sulla base di comuni interessi borghesi. La classe dirigente nord-americana non è monolitica – e questo D. J. lo sa molto bene – ma presenta differenti piani egemonici – come il Capitolo 7 sottolinea: Il ‘’Partito della Guerra’’ –, contrapposte strategie belliche, diverse alleanze e i nemici da combattere non sono sempre gli stessi. La ‘’bisbetica domatrice’’ si è candidata a guidare il ‘’Partito della Guerra’’ ma, dati gli interessi in gioco, quelli del Grande Capitale transnazionale, verrà ricordata soltanto come una ‘’maschera di facciata’’ del gendarme yankee. Fino a quando avrà un seguito la sua buffonata mediatica?

Per Diana Johnstone ‘’Un partito della pace ha bisogno di una strategia per fermare la guerra al vertice’’ ( pag. 246 ), e prosegue ‘’Un Partito della Pace deve essere apartitico e trasversale, e riunire intorno a sé tutti coloro che ne hanno abbastanza di un Partito della Guerra fatto di neocon e ipocriti umanitari’’. Mi permetto di fare una piccola precisazione: un Partito antimilitarista non può essere ‘’apartitico’’ ed ‘’interclassista’’ ma deve mobilitare le classi sociali colpite, con maggiore brutalità, dai cinici guerrafondai, ovvero i ceti popolari e proletari. La Johnstone pone una domanda impegnativa: ‘’Gli Stati Uniti non possono continuare a dominare il mondo. La domanda è: possono gli Stati Uniti dominare se stessi ?’’ ( pag. 247 ). L’esito di questo quesito (o dilemma?) non è nella mani degli Usa in quanto ‘’Stato nazionale’’ ma del popolo statunitense da decenni messo sullo stesso piano d’un alcolizzato del tutto impotente: i lavoratori nord-americani riusciranno, un giorno che speriamo non sia troppo lontano, a riscoprire il vero significato della parola socialismo?

Una vera prospettiva anticapitalista e antimperialista – e non un semplice ‘’partito trasversale’’ – saprà riconquistare, fra le sue fila, il proletariato nord-americano ? Questa domanda – per molti aspetti ostica – temo proprio che resterà sospesa per molto tempo. Vale la pena attendere.

 

 

 

 

3 commenti per “L’imperialismo americano secondo Diana Johnstone

  1. Alessandro
    18 maggio 2016 at 11:31

    Quanto scrive la studiosa è oramai patrimonio acquisito di chi cerca di osservare la realtà politica mondiale senza lasciarsi troppo condizionare dai propri pre-giudizi.
    Rimane comunque apprezzabile che una statunitense e per di più donna non si lasci infinocchiare dalla retorica patriottarda e femminista a stelle e strisce e descriva la Clinton per ciò che è.
    Sembrerebbe quindi che si debba sperare nell’elezione del suo antagonista. In base al programma di politica estera parrebbe di sì, visto che Trump proporrebbe una sorta di isolazionismo per gli USA. Ma chi pensa davvero che le lobby imperialistiche statunitensi siano disposte a rinunciare ai loro affaroni in giro per il pianeta anche aprendoseli a suon di bombe e destabilizzazioni varie? Non scherziamo.
    Di conseguenza, Clinton o Trump, siamo sempre lì: chiunque vincerà riproporrà il solito copione che forse arriverà a far rimpiangere l’attuale presidente.
    Attenzione però a non cadere nell’ingenuità colossale di ritenere gli avversari degli USA dei “bravi ragazzi” a prescindere. Nel capitalismo globalizzato chi ricopre incarichi politici di vertice, e lo fa a lungo, e perchè gode essenzialmente dell’appoggio dei grandi potentati economici, sia pure nazionali-locali, i cui interessi sono in contrapposizione con quelli del cosiddetto “mondo del lavoro”.

    • Fabrizio Marchi
      18 maggio 2016 at 15:40

      “Attenzione però a non cadere nell’ingenuità colossale di ritenere gli avversari degli USA dei “bravi ragazzi” a prescindere”. (Alessandro)
      Mai pensata una cosa simile, Alessandro, come ben sai…Tranquillo… 🙂

    • ndr60
      19 maggio 2016 at 9:37

      Diciamo che, tra l’1% degli abitanti del pianeta (e, in subordine, lo 0.1%), il più pulito ha la rogna. Il problema è che in questo 1% sono compresi tutti coloro che possono muovere guerre a chicchessia, e la maggior parte di lorsignori sono anglo-sionisti.

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