Sottomissione, di Michel Houellebecq

Tutti abbiamo in mente la copertina dell’ultimo numero di Charlie Hedbo prima dell’attentato del 7 Gennaio: Michel Houellebecq, in un improbabile completo da mago Merlino, profetizza la propria conversione all’Islam (preceduta, beninteso, dalla caduta dei denti).

Molti di noi ricordano anche che il 7 era la data di uscita della sua ultima fatica letteraria, Sottomissione (pubblicata il 15 in Italia per i tipi della Bompiani), dedicata all’islamizzazione della Francia in un prossimo futuro. Date le premesse, era inevitabile che il libro finisse nell’occhio del ciclone, insieme con le polemiche più o meno sensate sulla laicità e sulla cosiddetta libertà di espressione.

Tra l’indignazione degli uni e la curiosità degli altri, si stava per pubblicare un libro “islamofobo”, reo di “fare il gioco del Fronte nazionale”, e proprio nel bel mezzo dell’union sacrèe sancita a colpi di #jesuischarlie. “La Francia non è Houellebecq. La Francia non è intolleranza, odio e paura”[1] ha assicurato il Primo ministro Vallas, correndo ai ripari. “Il 15 gennaio la prima cosa che farò sarà comprare questo libro” recitava la pagina Facebook di Matteo Salvini, ancora una volta in pieno trip mediatico, senza precisare se all’acquisto sarebbe seguita la lettura.

A qualche giorno dalla pubblicazione i toni si sono smorzati. Le recensioni del romanzo sembrano percorse da una sorta di delusione. Al massimo sono riaffiorate le solite polemiche sulla centralità del sesso nei romanzi di Houellebecq, che li renderebbe solo delle pochade, oppure si è fatto più sobriamente notare il prevedibile successo di vendite (120.000 copie in appena cinque giorni), cui senza dubbio ha contribuito il tragico contesto.

La ragione è semplice. Innanzitutto Sottomissione non è un pamphlet islamofobo (vedremo perché). Chi si è domandato cosa sarebbe balzato in mente ai militanti dell’estrema destra leggendolo può dormire sonni tranquilli. In secondo luogo Sottomissione è effettivamente una lettura inquietante, ma per altre ragioni, che cercherò di spiegare brevemente.

 Cominciamo dalla questione dell’islamofobia. Per quanto il sottoscritto sia un membro della “setta houellebecquiana”, setta che, ci tengo a precisarlo, vanta adepti di ogni religione, sensibilità e credo politico, non posso negare che Houellebecq abbia dei precedenti. Le sue vicissitudini con la legge francese sono ampiamente note, nei suoi libri si possono leggere stupide e volgari tirate contro l’Islam. Non a caso ciò accade soprattutto in Piattaforma, il meno riuscito tra i romanzi dell’enfant terrible, che infatti sembrava puntare sulle provocazioni per dare mordente a un’opera altrimenti poco significativa.

Di questo imbarazzante background sopravvive molto poco in Sottomissione. Lo stesso autore ammette di essersi ricreduto sul conto dell’Islam in seguito alla lettura del Corano, la quale gli ha fatto comprendere che “la violenza non è connaturata all’Islam” e che un “lettore onesto del Corano non ne conclude affatto che bisogna andare ad ammazzare i bambini ebrei”[2]. Anche la futura società francese non è una distopia oscurantista-talebana.

Anzi, tutto sommato si tratta di una società più sicura, persino più prospera. Il nuovo Presidente musulmano non è una sorta di califfo Al-Baghdadi, al contrario. Houellebecq lo descrive come il primo statista francese dopo De Gaulle capace di coltivare un progetto politico di ampio respiro, un progetto di civiltà. Molte delle sue idee, dalla promozione della piccola impresa all’indipendenza dal petrolio degli emirati del Golfo, appaiono sensate. A maggior ragione, la “svolta di regime” avviene in maniera sostanzialmente democratica, tramite libere elezioni e con l’avvallo di tutti i partiti di destra e di sinistra, tranne ovviamente il Fronte Nazionale.  Anche dopo la “presa di potere” non si assistono a persecuzioni contro cristiani ed ebrei, e il nuovo regime raggiunge un accordo con entrambe le istituzioni religiose. I pochi accenni suggeriscono un quadro politico sostanzialmente pacifico, con una opposizione legale e una normale dialettica democratica.

 Certo, la Francia islamica non è nemmeno un paradiso. La restaurazione, seppure in maniera soft e ipocrita, di una forma di patriarcato che riconduce la donna al suo ruolo di madre e sposa allontanandola dalla sfera pubblica, non è esattamente una conquista. Il nuovo governo islamista, oltre ad essere fortemente europeista, sostiene il primato della solidarietà familiare rispetto a quella gestita dallo Stato, in accordo con la teoria della sussidiarietà propugnata da certe correnti cattoliche e liberiste. Il risultato è il definitivo smantellamento di un welfare già provato dalla crisi e la privatizzazione pressoché totale dell’istruzione superiore.

Quando immagina la conquista del potere da parte di una immaginaria “Fratellanza Musulmana” francese, Houellebecq sembra avere in mente l’islamismo moderato, moderno, imprenditoriale, tutto sommato “liberale”, degli omonimi movimenti religiosi turchi, egiziani e tunisini, con i loro accenti globalisti e le loro reti assistenziali “dal basso”. Secondo questa ideologia l’Islam “è perfettamente compatibile con l’economia di mercato dal momento in cui, completata da valori morali, essa mette anche l’accento sull’aiuto ai più bisognosi” e la globalizzazione “costituendo dei grandi insiemi regionali, comporta ovunque il ridimensionamento dello Stato nazionale. Più la globalizzazione cresce, più l’Islam si propaga”[3]. Tuttavia l’obbligo dell’assistenza ai poveri non esclude il “mantenimento di un notevole scarto tra la grande massa della popolazione, vivente in una miseria decorosa, e una minoranza di individui smodatamente ricchi”[4], come spiega un dignitario del nuovo regime al protagonista. Insomma, non siamo troppo lontani dal “dominio della lotta” del liberalismo, tranne che in questo caso la lotta è regolata e resa in qualche modo più accettabile.

 Detto questo, non bisogna dimenticare però il punto veramente fondamentale: Sottomissione non è un libro sull’Islam.

In primo luogo si tratta di una satira spietata del ceto universitario, del suo opportunismo, della sua compiaciuta inutilità. Houellebecq fa con l’università francese quello che era riuscito a fare con l’ambiente dei consulenti informatici, dei biologi molecolari, degli insegnanti, dei comici e degli artisti, cioè dipingere un affresco sociologico spietato. In secondo luogo, il suo tema centrale è il suicidio della civiltà occidentale esattamente come gli altri romanzi dello scrittore francese.

Un equivoco in cui sono incorsi alcuni commentatori (ricordo Antonio Scurati[5] sulla Stampa) è intendere Sottomissione come una specie di omaggio alla civiltà occidentale stessa. In un certo senso è vero, tutto il romanzo è pervaso da una malinconica ammirazione per la grande arte e cultura che due secoli di “modernità” sono stati in grado di produrre, così come il precedente La carta e il territorio omaggiava la civiltà industriale, le vette di ingegno e di perfezione tecnica raggiunti nel XIX e XX secolo, prima che iniziasse la massiccia deindustrializzazione dell’Europa. Ma sarebbe sbagliato concludere, come fa Scurati, che Sottomissione voglia difendere “il nostro diritto alla gioia orgiastica del sesso, difendere le minigonne delle giovani boeme che a Praga nel ’68 seducevano alla vita i carristi sovietici inviati da Stalin [sic!], il diritto delle nostre donne a livellare la differenza tra i sessi anche a costo di sfaldare le nostre famiglie, a mettere al mondo i nostri figli, quando ci riesce, e a educarli senza nessun riparo consolatorio offerto da una qualche trascendenza”. Lo scrittore francese non mostra di condividere un simile quadro ottimistico, né qui né altrove. Come sempre in Houellebecq, anche in Sottomissione la “gioia orgiastica del sesso” è prevalentemente un accumularsi di frustrazioni e delusioni, e si arresta subito prima di sfociare nell’amore, che forse la giustificherebbe. La civiltà occidentale lascia il campo alla nuova Europa islamico-liberista perché non ha nulla da offrire se non solitudine, aridità e consapevolezza della morte, perfino a un cittadino privilegiato come il protagonista di Sottomissione, docente universitario e stimato studioso di Huysmans. La società dell’individualismo non riesce ad assicurare nemmeno la semplice riproduzione biologica, la successione regolare delle generazioni, come dimostra il disastro demografico delle popolazioni autoctone europee. E’ questo, non “l’invasione musulmana”, che costituisce la sua condanna a morte. I suoi ritmi frenetici, la sua ambizione insaziabile, sono incompatibili con le piccole gioie di una banale vita familiare, che tanto attraevano Huysmans e che alla fine paiono sedurre anche il protagonista, spingendolo verso la conversione all’Islam e un probabile futuro da benestante patriarca musulmano.

Perché non dimentichiamolo, ciò che lo porta alla scelta fatale non è solo l’opportunismo, o la prospettiva di un matrimonio poligamo, ma soprattutto il desiderio di una nuova vita, di accedere ad una qualche dimensione dotata di senso, senza il quale nessuna civiltà può sopravvivere a lungo.  Va detto che nel progetto originale il protagonista si sarebbe dovuto convertire al cattolicesimo, intenzione che l’autore non è riuscito a tradurre nei fatti.

 Cosa rende Sottomissione così inquietante? Non sono gli “orrori” della futura Francia. Anzi, è proprio la sua dimensione vagamente rassicurante. In fondo, assicura Houellebecq stesso nell’intervista al Guardian, nel romanzo le cose “non vanno così male”. L’apertura di un nuovo ciclo storico supera le insostenibili contraddizioni di quello vecchio, la sua ossessione per la competizione sociale e sessuale, il suo nichilismo, il suo materialismo, ma le supera, per così dire, al ribasso.

Il futuro “islamico” appare decisamente più razionale, ma al contempo non lascia molto spazio a quella corrente utopica, a quel sentimento di amore oceanico, che si manifesta in Le particelle elementari con i meravigliosi cori dei cloni narratori, simbolo di una umanità rigenerata al di là del “dominio della lotta” (“Adesso che siamo giunti a destinazione/ Per bagnarci nella gioia immobile e feconda/ Di una nuova legge/ Oggi/ Per la prima volta/ Noi possiamo descrivere la fine del regno antico”[6]) e che qui sembra inabissarsi del tutto. La carta e il territorio, per molti versi più vicino a Sottomissione che alle Particelle, era animato dall’aspirazione ad una civiltà industriale alternativa, basata su una padronanza amorevole dell’uomo sul mondo degli oggetti. Se non ne tiene conto il lettore impreparato può rimanere perplesso di fronte alle pagine dedicate al socialismo di Willian Morris, alla figura del padre del protagonista, autentico architetto di utopie, o descrizione alla biblioteca di Houellebecq (per l’occasione non solo autore ma anche personaggio), che annoverava prevalentemente testi di Marx, Proudhon e dei riformatori sociali del XIX secolo. Certamente una simile aspirazione rimaneva sotterranea, non era nemmeno formulata chiaramente, mentre per il resto la trama era dominata da un fenomeno storico analogo a quello di Sottomissione, ovvero la trasformazione della Francia in un Paese neo-rurale, prospero ma esclusivamente dedito all’accoglienza dei turisti provenienti dalle nazioni in via di sviluppo.

Questo restringimento dell’orizzonte si riflette anche sul piano stilistico e narrativo. Il violento accostamento di diversi piani stilistici e temporali, la contrapposizione tra freddezza sociologica e trasporto lirico che è la cifra dello stile di Houellebecq si fa più sottile e sfumata. In generale si respira un’aria di esaurimento, di spossatezza, di cinismo. La svolta politica è accolta nell’indifferenza, perfino dal ceto intellettuale progressista, che accantona il proprio feroce laicismo per conformarsi o per farsi da parte silenziosamente. La narrazione è scandita dalle oscillazioni del meteo, descritte con cura minuziosa, e dalla buona tavola, dal consumo soddisfatto di vini e pietanze sofisticate. Ne risulta una sorta di ottundimento dei sensi, di opacità, di rassegnata soddisfazione.

Forse è a questa rassegnazione che rimanda il titolo di Sottomissione, piuttosto che alla professione di fede islamica (come noto “Islam” significa “sottomissione”, nel senso di abbandono a Dio). La convinzione che la chiave della felicità sia l’accettazione del mondo così come è, con le sue inadeguatezze e sofferenze. Un approccio esplicitamente nietzscheano, sconcertante in un autore non proprio affine al filosofo tedesco, che nel romanzo è per l’ennesima volta fatto oggetto di epiteti poco lusinghieri. “Non avrei avuto niente da rimpiangere”, conclude con apparente sicurezza il protagonista. Eppure il “lieto” epilogo della vicenda lascia una sensazione di rimosso, di mancanza, di non detto. Leggendolo prende forma una angoscia sommessa, per così dire pudica, per certi versi più soffocante della disperazione metafisica dei primi romanzi. Nonostante tutto è impossibile cancellare dalla propria mente l’invito che Houellebecq rivolgeva ai giovani poeti nel manifesto Restare vivi: “La società in cui vivete ha lo scopo di distruggervi. Voi avete lo stesso scopo nei suoi confronti. Conoscete il Bene, conoscete il Male. Non rinunciate mai a separarli.” L’esatto contrario di accettare serenamente la “perfezione” della realtà.

Probabilmente invece di polemizzare sulla (a mio avviso improbabile, ma questo è un altro discorso) prospettiva fantastorica di Sottomissione, sarebbe bene meditare sulla correttezza della sua diagnosi. Si dovrebbe capire perché nessuno sembra prendere troppo sul serio la retorica dei valori occidentali, nemmeno chi in queste settimane ne ha abusato. In altre parole, ci si dovrebbe interrogare su quel deserto materiale e spirituale che è il cosiddetto “occidente”.



[1] http://www.theguardian.com/books/2015/jan/16/michel-houellebecq-soumission-bestseller-charlie-hebdo

[2] http://www.minimaetmoralia.it/wp/sottomissione-lintervista-a-michel-houellebecq/

[3] La nuova rivoluzione verde. Diorama letterario, n. 305 Settembre-Ottobre 2011, p. 13

[4] Sottomissione, Bompiani 2015, p. 230

[5] http://www.lastampa.it/2015/01/10/cultura/tuttolibri/houellebecq-nella-francia-sottomessa-allislam-rQfgnbTietHQMDRl5xkf7O/pagina.html

[6] Le particelle elementari. Bompiani 2008, pp. 9-10.

7 commenti per “Sottomissione, di Michel Houellebecq

  1. Luigi
    18 gennaio 2015 at 13:53

    Faccio i complimenti all’autore per l’ottima recensione di “Sottomissione”, fatta senza paraocchi o senza fazionismi ideologici.
    Volevo rivolgermi all’ultima parte dell’articolo, in cui si dice “ci si dovrebbe interrogare su quel deserto materiale e spirituale che è il cosiddetto “occidente””.
    Non sarà per caso che tale deserto materiale e spirituale esiste a causa di un fraintendimento di fondo, ovvero che l'”occidente” inteso come blocco monolitico dominante contrapposto a qualcos’altro (l’oriente? Il levante? Se c’è un paradiso dev’esserci un inferno e viceversa) in realtà non esiste? Mi spiego meglio, ila Francia, culla dell’illuminismo e della laicità, può essere paragonabile ad altri paesi come l’Italia o l’Inghilterra? Secondo me no, perchè al di là del benessere relativamente diffuso in questi paesi ci sono notevoli differenze culturali di fondo. La stessa cosa si potrebbe dire per il cosiddetto “Oriente”. Può ad esempio il Giappone essere equiparato alla Korea, o l’India paragonabile al Quatar?

    • Andrea Bulgarelli
      21 gennaio 2015 at 18:19

      Gentile Luigi,
      Sono pienamente d’accordo con le Sue obiezioni al concetto di “Occidente”. Infatti mi riferivo soprattutto alla retorica di queste settimane, che fa perno appunto sul concetto di Occidente.

  2. Animus
    18 gennaio 2015 at 14:55

    Insomma, se ho capito bene, per Houellebecq, il successo dei musulmani sarebbe dovuto unicamente al disastro/fallimento provocato dalla “civiltà” cristiana.
    Se è così, non posso che essere d’accordo: http://anticristo.org/2013/11/16/la-teologia-cristiana-ha-fallito/

    Devo però aggiungere che questo quadretto mi sembra fin troppo ottimistico, perché la conoscenza soffre di un difetto fondamentale, quello di essere IRREVERSIBILE, come l’entropia, come il tempo, la freccia va solo avanti, mai indietro….

    E da questo punto di vista, la religione musulmana e i suoi precetti, sono quelli di un fossile….

  3. armando
    18 gennaio 2015 at 18:35

    Non ho letto il libro, ma mi hai fatto venire voglia di farlo, e lo farò.
    Quanto al commento di Animus, io dico che non c’è nulla di irreversibile nella storia umana. La freccia va solo avanti? Sembra così, certo, se si ragiona entro lo spazio di una vita umana. Ma non è così nel lungo periodo, o almeno lo spero. Perchè se fosse come dici tu, allora la direzione sarebbe verso la fine di tutto. Ma poi, scusa se sbaglio, non è proprio l’induismo a teorizzare la ciclicità del tempo diviso in grandi ere, di cui questa è il Kali Yuga, al termine della quale ci sarebbe una nuova età dell’oro?

    • Animus
      18 gennaio 2015 at 21:41

      > io dico che non c’è nulla di irreversibile nella storia umana.

      La conoscenza è irreversibile, come le altre due grandezze citate, nel senso che, ad es. , una volta che si sa come si costruisce una bomba atomica, poi mica l’umanità può disimpararlo.
      Capito?

      Sono gli effetti, che possono cambiare, gli effetti provocati da quella conoscenza (che è irreversibile), quando se ne aggiuga un’altra in grado di “sovrastare la prima”, e allora posso essere anche d’accordo con te, ma vedi Armando, il fatto che l’età dell’oro arrivi tra 500 o 1000 anni, per me non è fonte di nessuna consolazione: io sarò morto, i miei figli pure, i mie nipoti anche, e chissà quante altre generazioni.

      • armando
        19 gennaio 2015 at 19:00

        Non è di consolazione, certo, neanche per me il pensiero di 500 o 1000 anni. Ma questi sono i tempi della storia, e dobbiamo rassegnarci a vivere il nostro senza per questo trovare alibi a noi stessi per rinunciare. Sulla conoscenza irreversibile: non sono così sicuro. Ipotizza un disastro assoluto, ad esempio una guerra atomica che distrugga il mondo, allora le cose cambiano. Letteratura (La strada di McCarthy) ed il cinema (Waterwold, ad esempio) ne parlano.
        armando

        • Animus
          20 gennaio 2015 at 13:17

          >Sulla conoscenza irreversibile: non sono così sicuro. Ipotizza un disastro assoluto,

          Bella questa, Armando, mi sembra una “buona” soluzione per l’Oblio…la cura … peggiore del male che si dovrebbe curare, della serie, l’intervento è riuscito, i pazienti sono morti.

          Anche l’entropia (o il tempo) non è vero che aumenta sempre, solo fino alla morte dell’universo (o alla sua inversione, il ritorno alle origini, in questo caso, big bang).

          Vedi che poi, non c’è tutta sta differenza…
          Soluzioni estreme, escluse.

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