La dichiarata agenda anti-russa dell’amministrazione Biden

Premessa

La mia tesi di fondo (non solo mia) è che l’aggressione russa dell’Ucraina sia l’ultimo atto di una più ampia crisi russo-ucraino-euro-americana. Quella in corso è una guerra tra Russia e Nato a guida USA. La parte complementare della mia tesi è che l’UE ha un ruolo del tutto subalterno agli Stati Uniti. Il dramma è la mancanza di una Europa politica. Ovviamente questo schema non significa affatto giustificare Putin, ma a queste sciocchezze demenziali non bisogna neanche rispondere. È, invece, il solo schema interpretativo realistico e rispondente alla realtà dei fatti.

Difendo la complessità contro la semplificazione che conduce solo alla furia bellicistica. Le stesse prospettive della pace, per quanto difficili e impervie, passano per la complessità, non per la semplificazione. O si riconosce che esiste un’acuta competizione geopolitica tra Russia e Stati Uniti – e si attivano quindi i canali del multilateralismo e della mediazione per disinnescarla – oppure è guerra a oltranza, ora e ancora altrove. Purtroppo l’UE ha imboccato la seconda strada.
In ogni caso, in questo articolo mi soffermo in particolare sulla politica estera dell’amministrazione Biden e la sua continuità con la precedente amministrazione Obama-Biden. Le linee di politica estera degli Stati Uniti sono perfettamente chiare, basta affidarsi alle dichiarazioni dei suoi stessi strateghi. Dapprima fornirò una ricostruzione delle complesse vicende dell’Ucraina in due anni cruciali, compresi tra la fine del 2013 e il 2015.

L’antefatto

Nel novembre del 2013, con centro in piazza Indipendenza, a Kiev, si diffondono proteste che acuiscono, o fanno emergere, le profonde divisioni sociali all’interno del Paese e sono all’origine della più grave crisi diplomatica tra Russia e Occidente dalla fine della Guerra Fredda. La crisi si innesca allorquando il presidente Viktor Janukovicsospende l’ASA (Accordo di associazione e stabilizzazione) con l’UE e si rivolge a Mosca per ottenere sostegno finanziario e un accordo sul gas (che l’Ucraina deve importare). Per tre mesi le piazze si ingrossano. È presente anche, molto lontano da casa, il senatore repubblicano statunitense John McCain, ex candidato alla presidenza nel 2008, nella veste piuttosto ambigua di esperto di politica estera. McCain pronuncia un discorso nella manifestazione del 15 dicembre nel quale sostiene che il destino dell’Ucraina è nell’Europa e che l’Ucraina renderà l’Europa migliore. “Siamo qui per sostenere la vostra giusta causa, il diritto sovrano dell’Ucraina di determinare il proprio destino in modo libero e indipendente. E il destino che cercate risiede in Europa“. È presidente Obama, vice presidente Biden. Non solo, svolgono un ruolo chiave esponenti politici che saranno tutti promossi nel 2021 nel governo Biden, tra cui Victoria Nuland, alla quale è affidata la regia politica di questo complesso passaggio. Ci tornerò nella seconda parte dell’intervento, dedicata alla politica estera dell’amministrazione Biden. Ora continuiamo a seguire il filo degli eventi.
Nel gennaio 2014 il parlamento ucraino approva una legge restrittiva della libertà di manifestazione; ne scaturiscono nuovi scontri, nuove violenze, e 100 morti! Fallita una mediazione con le opposizioni, il governo si dimette, in febbraio Janukovic fugge prima nell’est russofono, poi in Russia. Era in carica dal 2010. Si insedia un governo “tecnico” di transizione non riconosciuto dalla Russia, filo-occidentale e foraggiato da UE e FMI perché faccia le “riforme strutturali”. È presieduto dal primo ministro Arsenij Jacenjuk. Tra i primi provvedimenti, il parlamento vota la scarcerazione dell’ex primo ministro Julia Tymosenko e vengono indette nuove elezioni presidenziali per il 25 maggio dello stesso anno (l’Ucraina è una repubblica semi-presidenziale con un parlamento monocamerale). In tutta risposta, la Russia avvia operazioni militari in Crimea, dove i filo-russi occupano il parlamento locale. Il 16 marzo si svolge un referendum che si pronuncia a schiacciante maggioranza (96,77%) per la secessione dall’Ucraina. La Russia si annette unilateralmente la Crimea.
 
L’annessione della Crimea ingenera forti tensioni tra Russia e Occidente. Un’ampia divergenza si apre tra Washington, che non intende riconoscere l’esito del referendum, e Mosca, che accentua i toni e si erge a protettrice di tutte le minoranze russe e russofone dell’Ucraina. L’elaborazione della rigida risposta all’annessione russa della Crimea è affidata a Tony Blinken, allora Vice-segretario di Stato e oggi Segretario di Stato. Una delle “promozioni eccellenti” dell’amministrazione Biden. Il gioco degli Stati Uniti è esacerbare la tensione tra Mosca e Kiev sul Donbass. Frattanto il governo guidato da Jacenjuk continua a spingere sulla sua agenda di riforme liberali e filo-occidentali, mentre UE e Stati Uniti accrescono la pressione diplomatica sulla Russia varando un pacchetto di sanzioni destinate con il tempo ad inasprirsi. La Russia risponde con contro-sanzioni. In un clima di crescente tensione, ad aprile riprendono gli scontri nelle regioni del Donbass, dove i manifestanti filo-russi chiedono maggiore autonomia e un referendum sullo status del bacino del Donbass, analogo a quello della Crimea. Le popolazioni russe del Donbass non accettano il cambio di regime politico.La situazione degenera rapidamente in uno scenario da guerra civile e ogni ipotesi di distensione si rivela impossibile. Il 2 maggio avviene l’episodio forse più cruento. A Odessa, un gruppo di manifestanti filo-russi, scacciati dalla piazza si rifugia nella Casa dei Sindacati. Una folla di nazionalisti ucraini, di estrema destra e filo-occidentali, armati di bastoni e bombe molotov vi fa irruzione e appicca un incendio, con la passiva compiacenza delle forze dell’ordine, Perdono la vita 48 civili. Quelli che sopravvivono all’incendio vengono fucilati mentre cercano di mettersi in salvo.
Occorre intanto notare che già in questo quadro è semplicemente impossibile comprendere la situazione ucraina senza il puro riconoscimento che l’ingerenza degli attori esterni non può certamente essere ridotta al solo elemento russo, come pretende di fare chi svuota la complessità nella semplice formula Russia aggressore / Ucraina aggredita, la cui correttezza è indubbia ma deve essere circoscritta all’ultima fase della crisi russo-ucraino-euro-americana, che si è aperta tre settimane fa.
Il 25 maggio si svolgono le elezioni presidenziali, che restituiscono un esito favorevole a Petro Poroshenko, oligarca ucraino dell’industria cioccolatiera, uomo per tutte le stagioni (aveva ricoperto ruoli in quasi tutti i governi precedenti nonostante le marcate differenze). Poroshenko prosegue sulla via dell’integrazione europea ma riprende anche il dialogo con la Russia. Persegue una politica sulla sicurezza mirata all’integrazione territoriale, dando avvio a operazioni anti-terrorismo nelle regioni del Sud-est, affidate alle forze di sicurezza nazionali supportate da gruppi di volontari, tra cui i nazisti del famigerato battaglione Azov. Anche altre formazioni paramilitari di destra sono coinvolte. Il nazionalismo ucraino ha al suo interno anche un’anima nera, che aveva svolto un ruolo, come abbiamo visto, anche nelle manifestazioni della fine del 2013. (Ne emerge, tra l’altro, un volto più composito del movimento di Piazza Indipendenza rispetto al solo europeismo. )
In realtà, nonostante l’obiettivo dichiarato fosse quello dell’ “integrazione territoriale”, la stessa scelta di gestire la situazione del Donbass sotto l’etichetta dell’anti-terrorismo rivela l’impianto repressivo del governo centrale nei confronti delle istanze avanzate dalla minoranza russa e russofona delle regioni sud-orientali. Le gravi tensioni di fatto vanificano il protocollo di Minsk per il cessate il fuoco sottoscritto dalle due parti nel mese di settembre. Nel 2015 viene sottoscritto un nuovo protocollo (Minsk II), sottoscritto da Germania, Francia, Russia, Ucraina, per far rispettare il protocollo di settembre.ma anche questo destinato a non essere rispettato dalle parti.
Durante l’intero 2015 l’intensità del conflitto rallenta, tuttavia le due repubbliche autoproclamate di Donets’k e Luhans’k (che formano la regione del Donbass) decidono di rimandare le imminenti elezioni locali alla fine del 2016, in ciò confortate dal minor coinvolgimento delle truppe russe sul territorio, in quanto da settembre del 2015 diventa prioritario per il Cremlino l’intervento in Siria.
I due conflitti si intrecciano e costituiscono, dunque, due teatri della stessa competizione globale tra i due imperialismi, quello russo e quello statunitense. Stiamo vedendo come il misconoscimento dell’ingerenza degli Stati Uniti nel quadrante russo-ucraino sia del tutto contro-fattuale, per la verità una vera rimozione. Questo risulterà ancora più evidente quando vedremo come sia stata scandito dagli stessi strateghi nella politica estera statunitense.
Il 5 maggio Poroshenko promulga un pacchetto di leggi per rimuovere entro sei mesi monumenti e simboli comunisti, comprese le intitolazioni di strade. Le leggi equiparano regime nazista e comunista, secondo il cliché liberale che successivamente sarà adottato anche dal Parlamento europeo in una risoluzione del 2019 (“Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, 19 settembre 2019). L’equiparazione ovviamente si comprende meglio dalla prospettiva ucraina che da quella europea, tuttavia è sintomatico che le stesse leggi riconoscano il contributo di chiunque abbia combattuto nel XX secolo per l’indipendenza dell’Ucraina, compresa l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini e l’Esercito insurrezionale ucraino dell'”eroe nazionale” Stepan Bandera, che durante la seconda guerra mondiale prese parte allo sterminio degli ebrei e massacrò decine di migliaia di polacchi. Si capisce dunque bene come in questo quadro si sia provveduto a legittimare all’interno del movimento nazionalista la componente di estrema destra e bisogna intendere per capire nelle sue evoluzioni la complessa situazione ucraina che la galassia dell’estrema destra para-militare ha reso disponibili forze al servizio della destabilizzazione del Paese, opportunità che il blocco occidentale non ha mancato di sfruttare. D’altra parte gli Stati Uniti sono tutt’altro che nuovi allo schema: utilizzare l’estrema destra locale per destabilizzare una regione sulla quale progettano di estendere ulteriormente la propria influenza.
Nell’aprile del 2016 il primo ministro Jacenjuk rassegna le dimissioni dopo prolungate e insanabili incomprensioni con il presidente Poroshenko. Il suo incarico viene assunto da Volodymir Grojsman, un uomo del presidente. Poroshenko, comunque, deve fare i conti con un progressivo calo di consensi e una crescente opposizione politica, a causa delle difficoltà nel fare le riforme e della situazione senza uscita nel Donbass. Gli aiuti del FMI vengono sospesi. Wikipedia riporta che “Negli ultimi due anni del suo mandato, l’Istituto Gallup riferisce che l’Ucraina ha la più bassa fiducia nel suo governo al mondo” e “La sua fortuna è aumentata di 400 milioni di dollari tra il 2012 e il 2020, mentre il paese sprofondava nella crisi economica.” citando fonti giornalistiche francesi (humanite.fr).
Il resto è storia recente, fino all’elezione di Zelenski, che così grandi pubblicità aveva sottolineato. Personaggio mediatico, letteralmente da soap opera, che urla all’allargamento del conflitto un giorno sì e l’altro pure di fronte a plaudenti piazze pacifiste (!) apparendo ovunque su maxi-schermi, persino al Congresso degli Stati Uniti. Non apro un capitolo sull’aspetto mediatico del conflitto, perché sarebbe senza dubbio un capitolo a parte.

Politica estera dell’amministrazione Biden

In una recente intervista il generale Fabio Mini ha dichiarato che l’Alleanza atlantica ha scelto come nemico Mosca, ottenendo il risultato di spingerla verso la Cina.
La politica estera dell’amministrazione Biden è perfettamente ricostruibile e la correttezza dell’affermazione del generale Mini facilmente verificabile.
Apprendo che Massimo Giannini, a Otto e mezzo, si sarebbe detto trasecolato nel sentire da Biden che gli Stati Uniti armano l’Ucraina da almeno un anno e che hanno svolto esercitazioni militari sul suo territorio. Eppure, le linee della politica estera dell’amministrazione Biden sono perfettamente chiare, ricostruibili, osservabili.
Il 20 febbraio del 2021 William Engdahl, scrittore, storico e giornalista americano, pubblicò un articolo chiarissimo che documenta come la linea anti-russa dell’amministrazione Biden sia il classico segreto di Pulcinella: “La nuova amministrazione Biden ha fatto chiaro fin dal giorno 1 che adotterà una politica ostile e aggressiva contro la Federazione russa”, una scelta la cui radicalità non ha nulla a che vedere con i torti veri o presunti di Putin.
Engdahl fa notare che i nomi del gabinetto Biden sono di per sé molto eloquenti. Rispetto alla dettagliata ricostruzione di Engdahl circoscriviamo l’analisi a tre nomi in altrettante caselle altamente strategiche:

1) Tony Blinken, Segretario di Stato

2) Victoria Nuland, Sottosegretario di Stato per gli affari politici

3) Bill Burns a capo della CIA

Sono, tanto per cominciare, scelte in netta continuità con l’amministrazione Obama-Biden, Tutti sono concordi nel considerare Putin e non la Cina come massima minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti.

Continuiamo a seguire la puntuale ricostruzione di Engdahl. Bill Burns è stato ambasciatore a Mosca a Vice-segretario di Stato durante i fatti di Kiev del 2013-14. Nell’incarico gli successe proprio Tony Blinken e fu quest’ultimo a formulare la risposta americana all’annessione russa della Crimea.
Vicotoria Nuland si occupò insieme a Biden della regia politica del “regime change” del 2013-14. Engdahl ricorda l’”infame intercettazione” durante i fatti di Maiden square, quandoNuland. in una conversazione telefonica con l’ambasciatore USA a Kiev, affermò “F**k the EU”, che credo non abbia particolarmente bisogno di traduzione. Suo marito Robert Kagan è un noto neocon. Del resto la consorteria guerrafondaia statunitense è trasversalissima.
Nuland e Biden lavorarano a strettissimo contatto per mettere Jacenjuk in sella nel 2014. Quello degli Stati Uniti in Ucraina fu un colpo di Stato? Certamente fu una forzatura, e certamente ne seguì una forte ingerenza tesa a contribuire alla destabilizzazione. George Friedman, fondatore di Stratfor, un ente ed editore di analisi geopolitica e previsioni, non ha dubbi in proposito. In una intervista concessa subito dopo il febbraio del 2014 lo definì “il colpo di Stato più sfacciato della storia degli Stati Uniti”.
Quello che è certo che Biden ha di fatto “promosso” quanti ebbero un ruolo chiave nel “regime change” del 2013-14. Chi osservi l’intero quadro con un minimo di obiettività si rende conto che questa scelta contrassegna già, di per sé, una politica estera ostile alla Russia.
Se Engdahl è un giornalista indipendente, prendiamo ora in esame un articolo della stessa Vicotria Nuland, risalente all’agosto del 2020 e pubblicato sulla rivista “Foreign Affairs”. Nuland vi delinea con chiarezza la strategia USA per indebolire la Russia nei mesi successivi. In primo luogo asserisce di voler cambiare le regole del gioco con Mosca, accusandola di “aver violato gli accordi sul disarmo, di aver impiegato armi destabilizzanti, di aver minacciato la sovranità della Georgia, di essersi impadronita della Crimea e di buona parte del Donbass, di aver sostenuto dittatori in Siria e Venezuela, di aver usato armi informatiche contro banche straniere (…), di aver interferito in elezioni democratiche e aver assassinato nemici su suolo europeo.” [trad. mia]
Alcune delle accuse formulate sono condivisibili, altre lo sono in parte, ma tutte mostrano chiaramente la prospettiva di chi le muove. In particolare, è importante notare che il quadrante russo-ucraino è nel cuore della lista delle accuse, dunque non potrebbe essere più chiaro che costituiva da subito un interesse strategico centrale per l’amministrazione Biden. Del resto, nonostante il candore di Massimo Giannini, lo stesso presidente ha affermato che gli Stati Uniti armano l’Ucraina da almeno un anno. A ciò si aggiungano ovviamente le tre “grandi esercitazioni della Nato” alle quali fa riferimento uno studioso serio, attento e sistematico come Alessandro Orsini, svoltesi nel territorio della neutrale Ucraina.
Nell’articolo citato, Nuland prosegue a tutto campo, sostenendo che le sanzioni sono servite a poco, tuttavia suggerisce che la Russia sia oggi vulnerabile come mai negli ultimi vent’anni. La sua crescita è stagnante e Putin non è riuscito a modernizzarla. Per l’effetto aggiuntivo della pandemia, potrebbe risultarne una significativa contrazione economica. Nuland suggerisce di usare i social media e le piattaforme digitali. La Russia di oggi, prosegue, è infatti più permeabile e molti, soprattutto tra i giovani, usano internet per informarsi. Wasghington dovrebbe dunque raggiungerli lì dove si trovano, e cioè sui social.
Faccio notare che sto riportando intenzionalmente la voce degli strateghi della politica estera degli Stati Uniti, le cui dichiarazione e intenzioni erano perfettamente esplicite già un anno fa.
Una ulteriore notizia vede Victoria Nuland come protagonista e riguarda la stretta attualità. Si tratta della “scoperta” di laboratori americani di microbiologia in Ucraina.
La notizia è circolata con forza anche su media americani rendendo impossibile continuare a ridurla alla solita propaganda del Cremlino. In ogni caso, gli Stati Uniti hanno addirittura dovuto confermarla, sia pur minimizzando evidentemente sugli scopi militari e strategici. Il sottosegretario di Stato per gli affari politici del governo statunitense, Victoria Nuland, ha testimoniato lo scorso 9 marzo davanti a un’audizione della commissione per le relazioni estere del Senato sulla guerra in Ucraina a Washington, esprimendo profonda preoccupazione per il fatto che le forze russe stiano cercando di ottenere il controllo delle strutture di ricerca biologica. Durante l’udienza, a Victoria Nuland è stato chiesto se l’Ucraina avesse armi biologiche o chimiche. Nuland ha risposto che “L’Ucraina ha strutture di ricerca biologica, di cui ora siamo piuttosto preoccupati che le truppe russe potrebbero cercare di ottenere il controllo”, e “Stiamo lavorando con gli ucraini su come impedire che uno qualsiasi di quei materiali di ricerca cada nelle mani delle forze armate russe”. Da tempo fonti di giornalismo indipendente sottolineano che la strategia sul medio termine del Pentagono contempla la guerra batteriologica.

Conclusioni

La politica estera dell’amministrazione Biden èperfettamente ricostruibile attraverso fatti oggettivi e nessuno può essere più chiaro di quelli pronunciati dagli stessi protagonisti. Dietro una fitta propaganda e una informazione più che imbarazzante, il gioco è addirittura scoperto. In piena continuità con l’amministrazione Obama-Biden, e in discontinuità con l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno eletto la Federazione russa a nemico e minaccia numero uno per la loro egemonia globale. Questa impostazione porta per via prestabilita allo scontro e alla recrudescenza della competizione geopolitica tra Russia e Stati Uniti, che già si riverberò in modo drammatico nella guerra di Siria.
Inoltre emerge chiaramente sia l’interesse primario che il coinvolgimento negli Stati Uniti nel quadrante russo-ucraino e nella questione del Donbass. Lo testimoniano le dichiarazione di Vicoria Nuland, uno dei massimi strateghi della politica estera di Washington, non certo di fonti sospettabili di essere “filo-russe”! La strategia del Pentagono contro Mosca, come visto, si muove su più dimensioni: strategico-militare, batteriologica, uso dei social media.
Prevedibilmente distratti dal ticket Biden-Harris, perfetto per il palato progressista dei tempi, pare che molti non si siano avveduti che Biden ha da subito avviato una linea di politica estera deliberatamente ostile nei confronti della Russia. Questo è un dato di fatto che non discolpa e non scusa proprio nessuno. Dovrebbe però, per le stesse ragioni, risultare pienamente chiaro e dimostrato che la fase del conflitto apertasi tre settimane fa con l’invasione russa dell’Ucraina, che ovviamente si pone del tutto al di fuori del diritto internazionale, è l’ultimo atto di una più larga crisi russo-ucraino-euro-americana.

 

http://axisoflogic.com/artman/publish/Article_89786.shtml

 

Atlante geopolitico Treccani 2017

 

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10159992215029173&id=755559172

John McCain tells Ukraine protesters: 'We are here to support your just cause' | Ukraine | The Guardian

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2 commenti per “La dichiarata agenda anti-russa dell’amministrazione Biden

  1. Luigi Proia
    27 Marzo 2022 at 10:20

    Anche l’Italia è sotto una onagrocrazia antidemocratica e reazionaria. Pure qui hanno annichilito i Socialisti e Socialdemocratici con il concorso dei comunisti venduti.

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