La spirale dell’urbanistica predatoria a Milano dalla giunta Albertini a quella Sala

Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

 

Il futuro degli ex scali ferroviaria e dell’Area Expo è al centro di dibattito urbanistico e della politica milanese. La valorizzazione di queste aree, già di proprietà pubblica, è l’ultima tappa della più che ventennale politica di “rigenerazione urbana”, che ha riempito le tasche di finanzieri, banchieri, immobiliaristi, costruttori edili, architetti di fama, e affaristi mentre svuotava i portafogli dei lavoratori e dei giovani costretti a pagare fitti crescenti e mutui gravosi a ad allontanarsi sempre più dalla metropoli.

 

La giunta Albertini (1997—2006)

 

La Giunta Albertini, sostenuta da Forza Italia – Lega Lombarda – Alleanza Nazionale e spalleggiata da Regione Lombardia (giunta Formigoni) dominata dai ciellini, si insedia nel 1997, quando si è ormai conclusa la lunga smobilitazione della grande industria milanese e – con essa – di gran parte della rete di piccole e medie fabbriche ad essa collegata.

Milano si è trasformata da metropoli industriale in città-ufficio e metropoli finanziaria, sede di banche, assicurazioni, società immobiliari, che si sono impadronite o possono disporre delle aree industriali dismesse, la cui superficie complessiva supera i 1.000 ettari. La Giunta Albertini, con Assessore all’urbanistica, il ciellino Lupi[i], avvia il piano battezzato “Ricostruire la Grande Milano”, la cui filosofia consiste nel lasciare mano libera ai proprietari e costruttori nell’utilizzo di ogni area disponibile, grande o piccola, in deroga al Piano Regolatore. In pratica ogni proprietario è a casa sua, libero di costruire ciò che vuole dopo averlo richiesto all’Amministrazione comunale. A tal fine vengono utilizzati gli strumenti della cosiddetta urbanistica contrattata, che pone il Comune al servizio delle promozioni edilizie: PII (Piani di Intervento Integrato); PRU (Programmi di Riqualificazione Urbana); Varianti al Piano Regolatore Generale, mediante i quali il privato strappa al Comune elevati indici di edificabilità, che indicano i metri quadrati costruibili per ogni metro quadro di terreno.

Già sotto la precedente giunta guidata dal leghista Formentini era stata approvata a Variante al PRG Bicocca, che è stata madre di tutte le operazioni di cosiddetta rigenerazione urbana, che consentiva di edificare sull’area degli ex stabilimenti Pirelli un enorme quartiere universitario e residenziale (ben 570.000 mq di “superficie lorda di pavimento” su 750.000 mq di terreno, con un indice dello 0,76) per salvare i conti del disastrato monopolio della gomma, che con Tronchetti Provera alla guida giocava la carta della speculazione immobiliare (Pirelli RE – Real Estate).

Sotto il binomio Albertini – Lupi, si assiste all’orgia edilizia, con l’esplosione delle sopraelevazioni degli stabili esistenti, consentita da una speciale normativa +regionale, e – per quello che qui interessa – con l’approvazione e l’avvio di altri 16 programmi, 5 milioni di mq complessivi di superfice territoriale e oltre 2.500.000 mq di superfice lorda di pavimento che si riportano nella tabella seguente (che comprende anche la Variante Bicocca).

 

 

Ambito Sup. territ. S.L.P. Indice
Pll Montecity Rogoredo 1.150.000 614.000 0,53
Variante al PRG Bicocca 750.000 570.000 0,76
Accordo di programma Bovisa 642.000 250.000 0,39
PRU Rubattino ex Innocenti Maserati 611.200 301,950 ,49
PRU Palizzi Ex Finalube 453.870 135.935 ,30
Accordo di programma Portello 380.000 158.000 0,42
Pompeo Leoni Ex Om 313.900 153.082 0,49
Pll Adriano Marelli 310.000 230.000 0,74
Accordo di programma e PRUSST Porta Vittoria 300.000 120.000 0,40
Citilife area Ex Fiera 255.000 300.000 1,18
Garibaldi repubblica (escluso il polo istituzionale) 230.000 116.000 0,50
PRU Lorenteggio ex Dalmine Scac 166.3111 68.610 0,41
Lodi Ex Tibb Tecnomasio 68.600 33.054 0,48
Variante al PRG Ansaldo 47.000 70.500 1,50
Ex Motta 32.600 21.244 0,65
Via Grazioli 23.729 5.4233 0,65
Via Savona e Brunelleschi 27.424 22.508 0.82
TOTALI 5.761.534 3.170.306 Indice medio

0,63

 

 

Ciascuno di questi interventi attrae una miriade di operazioni edilizie minori, su piccole aree vicine o su edifici da ristrutturare. Inoltre, la Giunta dà il via al Piano Parcheggi prevede lo scavo di decine di autorimesse sotterranee, con un investimento previsto di 2 miliardi di Euro.

Dietro ad ogni operazione, grande o piccola che sia, stanno le banche – Intesa/Unicredit /BPM in testa –che danno credito facile per importi miliardari a favore di immobiliaristi, promotori e costruttori, con la speranza di recuperarli, con la speranza di recuperarli presto e di erogare nuovi mutui ai compratori dei singoli appartamenti. È una ruota che gira vorticosamente, mossa dall’aspettativa di prezzi crescenti.

Il decennio Albertini termina in un’atmosfera euforica col varo dei maggiori interventi di rigenerazione urbana: City LifeLife sull’area della Fiera in zona Sempione (secondo Albertini il nostro Central Park), Porta Nuova sull’area Garibaldi-Repubblica (il nuovo centro direzionale, residenziale e commerciale), Montecity Rogoredo sulle aree ex Montedison di Linate ed ex acciaieria Redaelli di Rogoredo (destinata  a diventare la nuova Montenapoleone secondo il promotore Zunino che le aveva acquistate), sotto il segno degli Archistar di fama mondiale, che li hanno progettati. Tra il 2000 e il 2005 viene stravolto il tessuto di Milano, definitivamente occupato da quartieri residenziali di gran lusso per i nuovi ricchi, costruiti come gadet communities (comunità recitante), aree urbane, privatizzate, recitante e sorvegliate (CityLife e Bosco Verticale a Porta Nuova); da quartieri riservati ai ceti medi più abbienti, peraltro incompiuti e sforniti di qualsiasi servizio a parte il supermercato Esselunga che si installa ovunque (Lambrate-Rubattino; Rogoredo; Pompeo Leoni ex OM; Crescenzago ex Marelli), e da centri direzionali sorti sulle aree dismesse dall’industria.

Questi quartieri vengono innestati nel corpo della città senza un disegno urbanistico complessivo, anzi contro di esso: non hanno strade di acceso né linee di trasporto pubblico adeguate ai nuovi flussi di traffico, le infrastrutture sono molte ridotte rispetto al costruito, vi è carenza di servizi comuni aperti e fruibili dalla cittadinanza se non a pagamento.

Soprattutto, la loro edificazione elimina in radice la possibilità di costruire nuovi quartieri popolari o servizi comuni, perché ogni area disponibile è stata consegnata alla predazione privatistica, che si avvita sulla valorizzazione di ogni centimetro quadrato di terreno e così esclude un utilizzo sociale del territorio urbano.

Giunto al termine del mandato, nel 2005 Albertini vuole chiuderlo in “gloria”: il Comune stipula con le Ferrovie dello Stato S.p.A. l’Accordo Di Programma (ADP) per la riqualificazione di sette urbani, aventi una superficie complessiva di circa 1.300.000 mq (130 ettari), su cui costruire – mediante appositi Pll – nuovi quartieri residenziali e direzionali con alta densità edilizia. È la prima volta che gli scali ferroviari, ormai in gran parte inutilizzati dopo la smobilitazione delle industrie, fanno capolino nella politica urbanistica meneghina.

A conclusione dell’esame della politica urbanistica del decennio Albertini va anche detto che l’esperienza di deroga generalizzata alla regolamentazione urbanistica vigente, accumulata a Milano, viene messa a frutto dalla contigua Regione Lombardia con il varo  della L.R. 12/2005, che in luogo del rigido Piano Regolatore Generale istituisce il Piano di Governo del Territorio, strumento superflessibile a disposizione della proprietà immobiliare e della speculazione edilizia, che viene di seguito esaminato.

 

La Giunta Moratti (2006 – 2011)

 

Albertini esponente di un proprio gruppo politico-affaristico collegato, ma concorrente con Berlusconi. Il nuovo Assessore all’urbanistica è Masseroli, ciellino come lui sodale di Formigoni, Presidente della Giunta regionale, si dedica alla stesura del Piano di Governo del Territorio (PGT), mentre la sindaca collaborando con il governo Prodi, lancia la candidatura di Milano a sede dell’Expo Universale del 2015. PGT e Expo sono le due gambe su cui deve avanzare la “trasformazione urbana” di Milano avviata da Albertini.

Il PGT viene adottato nel febbraio 2011 al termine della sindacatura Moratti, ma la Giunta non riesce a pubblicarlo prima delle elezioni del maggio seguente. Il PGT Masseroli serve a consolidare ed “eternizzare” la pressione privatistica del territorio milanese, rompendo con la tradizione borghese del ‘900, che con il Piano Regolatore Generale ordinava lo sviluppo della città secondo le esigenze dell’industria (aree industriali, aree residenziali, aree di edilizia popolare, aree a verde ecc.) e afferma il dominio della finanza parassitaria su tutto il territorio.

Il Piano Regolatore assegnava a ogni terreno una destinazione precisa, che ne determinava il valore, ben diverso se l’area era agricola, industriale, commerciale, residenziale livera ovvero pubblica, ecc

Il PGT Masseroli introduce invece il principio dell’indifferenza funzionale, che abolisce la suddivisione del territorio urbano, propria del Piano Regolatore, in zone a diversa destinazione allo scopo di consentire ai proprietari di costruire immobili per qualsiasi uso qualsiasi uso o di ristrutturarli mutando le destinazioni d’uso precedenti, secondo le cangianti esigenze immobiliare e della richiesta di servizi.

Il PGT Masseroli, inoltre, assegna ad ogni proprietario di suolo urbano un eguale diritto di edificazione in base al criterio della perequazione estesa introdotto dalla Legge Regionale 12/2005 (democrazia della proprietà immobiliare ovvero dei ricchi).

Di conseguenza, questo diritto, che inserisce al terreno, non può andare perduto: semplicemente, se il proprietario – privato o pubblico o ente religioso o morali che sia – di un determinato terreno non può edificarlo perché l’area – di l’area è destinata è destinata a verde pubblico o a servizi (ospedali, caserme, scuole e perfino chiede), egli può trasferire il diritto di edificare su un altro terreno di sua proprietà o cederlo a proprietari, sommandolo al diritto pertinente a quell’area. Il trasferimento del diritto può così avvenire da terreni periferici a terreni centrali o comunque avanti una rendita differenziale più elevata, aumentando la volumetria disponibile per costruzioni che hanno maggior valore di mercato ed incoraggiando la costruzione in altezza, lanciata sotto Albertini con le tre Torri di Citylife, la torre Unicredit e il Bosco Verticale di Porta Nuova, il “Formigone” nuova sede della Regione ecc. Va anche sottolineato che il PGT Masseroli assegna ad ogni metro quadrato di terreno cittadino un indice unico di edificabilità pari a 0,5 che è elevatissimo (si possono costruire 0,5 mq per ogni mq di terreno posseduto o trasferire il diritto su altri terreno).

Il territorio urbano viene così trasformato in capitale da vendere senza più vincoli, spostando i diritti edificatori da aree più di minor valore a aree più pregiate, come se fossero mattoncini lego.

I diritti di edificazione perequati e la indifferenza funzionale propria di qualsiasi area diventano un assegno circolare nelle mani dei proprietari, privati, pubblici, religiosi che siano. La circolazione dei terreni e quella. Con essa cresce la centralizzazione della proprietà immobiliare in poche mani, favorendo la valorizzazione e rigenerazione urbana di aree sempre più grandi.

La finanza mette così definitiva le sue sulla città, in quanto con il PGT si passa dal periodo anarchico dell’urbanistica contratta in deroga al PRG all’anarchia urbanistica eretta a sistema: finanzieri immobiliaristi costruttori, accumulata diritti di edificazione, costruite dove più vi conviene e come volete.

Il PGT, quindi, apre la strada allo sconvolgimento permanente della città e con esso della quotidiana dei cittadini, che – a seconda delle scelte dei padroni della metropoli – potranno trovarsi in pochi anni circondati da enormi palazzi, quartieri direzionali, centri commerciali, che tolgono aria, luce e panorama e portano, inquinamento rifiuti e sporcizia.

Completa al PGT la densificazione edilizia. Masseroli consente di costruire con alti indici di edificabilità, in previsione dell’aumento della popolazione residente da 130.000 a 170.000 persone. Anche a Milano arriva il tempo dei grattacieli, con la giustificazione ecologica di evitare il consumo del suolo.

Si affianca al PGT il progetto Expo 2015, che Milano strappa nel 2008 alla concorrente turca Smirne. Senza entrare nell’analisi di Expo 2015, va sottolineato – sul piano strettamente urbanistico – che la scelta del terreno per la sede dell’Expo, da parte della Moratti, non è affatto casuale.

L’area Expo, situata all’estrema periferia nord-ovest di Milano e in parte nel Comune di Rho e con l’area di Cascina Merlata, chiuso da vincoli autostradali e rilevati ferroviari, inquinato dagli sversamenti della ex raffineria IP su cui è sorta la nuova Fiera. Ha tre proprietari: la Fondazione Fiera, che ne possiede poco più del 50% ma ha sulle spalle un forte debito, l’immobiliarista Cabassi, proprietario di un terzo circa, e il Comune di Milano per il residuo. Vale 16€ al mq, prima della sua trasformazione in area edificabile, grazie alla quale il valore si decuplica al momento della vendita alla società pubblica Arexpo, creata proprio a questo scopo e munita di un mutuo di 300 milioni di Euro, erogato dalle grandi banche nazionali. Arexpo acquista il terreno; la Fondazione Fiera Milano, che è un feudo di Comunione e Liberazione in combutta con Assolombarda, può coprire il suo indebitamento e Cabassi realizzare, a spese pubbliche, una forte plusvalenza. Inoltre la Lega Coop, che intende coprire sulla contigua area di Cascina Merlata un grande quartiere residenziale in una zona poco servita e collegata, potrà trarre vantaggio dalle opere e infrastrutture previste per Expo.[i]

 

Dietro alla scelta della Moratti, caduta su un terreno estremamente periferico, inquinato e chiuso da barriere autostradali e ferroviarie, stanno quindi interessi potenti. Inoltre, il terreno individuato dalla Sindaca, che si può ormai chiamare l’area del miracolo a Milano, si trova la storica direttrice nord-ovest di sviluppo della metropoli, che segue la linea del Sempione, che va da Citylife al Portello Fiera e da questo alla nuova Fiera Milano-Rho. Infine, ai lati di questa direttrice stanno le vicine area della Bovisa e dello Scalo ferroviario Farini, la più importante di quelle indicate nell’Accordo di Programma Comune/F.S del 2005.

Moratti e Masseroli continuano peraltro, a trattare con F.S. riguardo agli scali[ii]; e l’Accordo di Programma per la loro trasformazione urbana viene inserito nel nuovo PGT, che prevede un’altissima volumetria a favore a favore di F.S.

 

I sogni di gloria di Moratti e Masseroli si infrangono sul muro della crisi generale del capitalismo, e in particolare della crisi finanziaria e immobiliare, che dal 2008 al 2011 travolge anche nel pantano dei conflitti di potere tra le cordate affaristico-politiche, che puntano a controllare i finanziamenti pubblici miliardari da stanziare per l’Expo 2015.

 

Qui interessa il primo aspetto, perché la crisi immobiliare travolge i protagonisti dell’urbanistica contratta. Cade per primo Zunino, il cui gruppo Risanamento fallisce, facendo abortire il progetto Montecity, di cui è stato realizzato solo quartiere di edilizia convenzionata, con l’abbandono della nuova Montenapoleone progettata dall’architetto Norman Foster.[iii] Lo segue nella rovina il gruppo Coppola, impegnato nella costruzione del quartiere di lusso sull’area dell’ex Scalo Vittoria, tuttora incompleto e vuoto. Soprattutto crolla il gruppo Ligresti SaiFondiaria, che sotto l’ala di Mediobanca ha avuto per decenni il controllo di oltre metà delle aree edificabili di Milano e aveva costituito gigante assicurativo-immobiliare-edilizio-[iv] La voragine dei debiti piomba i bilanci delle maggiori banche milanesi, i cui crediti sono ormai sono incagliati o inesigibili. Le grandi e piccole operazioni edilizie lanciate sotto Albertini e proseguite sotto con il vento in poppa sotto la Moratti si arenano nella crisi delle vendite e nel gelo del credito bancario, che sgonfia, la corsa al riarso dei prezzi degli immobili, carburante della spirale speculativa avviata dal 1996. Il mercato immobiliare e la politica urbanistica milanese ballano ormai sui debiti, travolgendo la Giunta Moratti e portando al potere Pisapia.

 

La Giunta Pisapia (2011-2016)

 

Pisapia e la sua alleanza di Centro-Sinistra sbaragliano la Moratti nel giugno 2011, sull’onda di un vasto malcontento popolare e anche con il sostegno di importanti frazioni della finanza meneghina, scontenta della paralisi del Centro-Destra cittadino, assessore all’urbanistica e Vice Sindaca è l’avvocata amministrativa De Cesaris, rappresentante della lista Arancione del Sindaco, che si assume il compito di far approvare definitivamente il PGT Masseroli, adeguandolo alla mutata situazione economica e del mercato. Mentre Pisapia si getta a corpo morto nell’opera di condurre in porto Expo 2015, collaborando con il Commissario Straordinario Beppe Sala. Non vi è quindi un mutamento di rotta rispetto agli obiettivi della Giunta precedente.

 

La Giunta Pisapia per prima cosa vara definitivamente il PGT il 22 maggio 2012, apportandone le modifiche sulle quali per mesi la De Cesaris ha raccolto le osservazioni e l’adesione degli operatori e professionisti del settore edilizio. Viene conservata l’essenza del PGT Masseroli: la perequazione e l’indifferenza funzionale, per lasciare mano libera alla predazione privatizzatrice del territorio. Si riduce invece l’indice unico di edificabilità da 0,5 a o,35 mq/mq, perché i progetti ottimistici della città, cui era ispirata la Giunta Moratti, non hanno più ragione di essere nel pieno delle crisi sistemica con migliaia di nuovi appartenenti invenduti nella metropoli e il credito bancario quasi inesistente: sognare di aumentare la popolazione cittadina di 400.000 abitanti e di aprire migliaia di nuovi cantieri per costruire grandi volumetrie, oltre che inutile, è pericoloso per la tenuta dei prezzi immobiliare e la conclusione di tutti i progetti in corso, che trovano compratori con estrema lentezza.  La modifica del PGT, approvata dalla Giunta Pisapia serve pertanto a mettere in sicurezza i valori immobiliari.

 

In secondo luogo, Pisapia coadiuva Sala nel tentativo di riprendere il tempo perduto tra il 2998 e il 2011 per il progetto Expo, avviando l’esecuzione delle per inaugurare l’Esposizione nel 2015. Tra il 2011 e l’inizio del 2015 Milano si fa belle per l’Expo, spendendo centinaia di milioni di Euro sottratti dal bilancio comunale agli interventi sociali ed investendone altri in Arexpo.

 

La Giunta, attenta alle esigenze di finanzieri, costruttori, albergatori e operatori turistici, affittacamere e professionisti vari, sostiene Expo 2015 per affermare un nuovo Modello Milano, efficiente, concorrenziale, attrattivo per capitali, turisti e uomini d’affari, e per contribuire così alla ripresa del mercato immobiliare. La validità, per la finanza immobiliare, della politica urbanistica della Giunta Pisapia viene confermata dagli investimenti miliardari dei fondi sovrani dei Petro-Stati del Golfo Persico, che acquistano tra il 2013 e il 2016 grandi immobili di pregio e l’intero quartiere di Porta Nuova, da poco terminato dal promotore Coima di Manfredi Catella.

 

Rispetto alle esigenze abitative dei lavoratori e dei giovani, quindi, mula cambia tra Moratti e Pisapia, tra Centro-Destra e Centro-Sinistra. La stella polare di entrambi è l’interesse dei padroni della città, la valorizzazione dei terreni, delle case e della metropoli nel suo complesso: che è il motore del processo di espulsione dei ceti popolari della metropoli, se non riescono a pagare l’affitto gli affitti esosi o i mutui che li strangolano. .

 

Il successo di Expo 2015, gli investimenti, gli investimenti immobiliari esteri e il relativo alleggerimento della stretta creditizia favorito dalla BCE, consentono di riprendere il filo della trasformazione urbana, interrotto dalla crisi del 2008-2011.

 

A metà del 2015, al centro della politica urbanistica, messo in cascina il PGT e aperti i cancelli Expo, stanno due questioni: l’uso delle aree e il destino dell’ex area dell’Expo. Si tratta, in complesso di circa 2.500.000 mq, 250 metri, su cui si intrecciano gli interessi delle società pubbliche proprietarie delle aree (gruppo FS e Arexpo), delle banche interesse al finanziamento dei vari progetti, dei costruttori, ecc. E sono le due questioni sulle quali la Giunta Pisapia si sfalda.[i]

La crisi della Giunta si manifesta sul nuovo Accordo di Programma (ADP) con il F.S. per la rigenerazione e riqualificazione urbana degli scali ferroviari trattato a lungo dall’Assessore De Cesaris e sottoscritto dal Sindaco nel giugno 2015, per sostituire il precedente ADP Moratti del 2009. L’ADP De Cesaris sette scali riguarda sette scali ferroviari, che dal più piccolo sono i seguenti: Farini (superficie utilizzabile e trasformabile di 50.000mq); Porta Romana (200.000 mq); San Cristoforo (120.000 mq); Porta Genova (100.000 mq); Certosa e Rogoredo (30.000 mq ciascuno). A parte gli scali molto periferici di San Cristoforo, Rogoredo, Certosa e Lambrate, quelli di quelli di Farini e Porta Romana sono ormai divenuti semi-centrali e quello di Porta Genova centralissimo. Inoltre, Farini ha una posizione strategica tra l’asse del Sempione e il nuovo centro di Porta Nuova; mentre Porta Genova si trovano nelle aree industriali colonizzate da moda, design Università Bocconi.

 

L’ADP Moratti concedeva a F.S. un’altra densità edilizia, pari a 822.000 mq di superficie lorda di pavimento, ma prevedeva la quota del 50% da destinarsi all’edilizia a canone agevolato o concordato e all’edilizia convenzionata in proprietà, da costruire in ciascuno degli scali (si affermava il principio del mix abitativo, che impone la presenza del cosiddetto housing sociale accanto all’edilizia di pregio). L’ADP De Cesaris la s.l.p. a 674.500 mq, destina maggiori superfici a verde, ma consente a F.S. di riservare ben 518.000 all’edilizia residenziale più pregiata, sacrificando la superfice destinata all’edilizia popolare e convenzionata a 155.000 mq (pari a 2.600 mq). Per giunta prevede la concentrazione dell’housing sociale negli scali super periferici di Certosa, Rogoredo e Lambrate, che rimangono in funzione; riserva a verde tutto lo scalo periferico di San Cristoforo destinato a diventare un parco lineare di 140.000 mq lungo il Naviglio; concede in tal modo a F.S. l’opportunità di destinare ad edilizia di pregio le aree degli scali più centrali di Porta Genova,  Farini, Porta Romana, concentrando negli ultimi due i diritti edificatori e contribuendo ad aumentare i ricavi dell’operazione Scali. La valorizzazione delle aree garantita dal Comune al Gruppo F.S. è dunque massima, mentre è minima la cura per le esigenze abitative dei lavoratori e dei giovani, confinati in zone disagiate. L’indice di democraticità urbanistica della Giunta di Centro-Sinistra è addirittura inferiore a quello dell’aristocratica Moratti.

 

L’assessore De Cesaris si dimette il 14/07/2015, aggravando la crisi della Giunta Pisapia, che difatti non riesce a far ratificare dalla propria maggioranza e del Consiglio Comunale la Delibera con cui il Sindaco aveva sottoscritto l’ADP pattuito con il Gruppo F.S. In questo quadro politico, la Giunta Pisapia non può neppure pensare di cimentarsi sulla questione del futuro dell’utilizzo dell’Area Expo. Entrambe le questioni vengono lasciate alla Giunta che dal giugno 2016 prenderà il posto di quella arancione.

 

 

Sgomberi ed Expo

 

La mattina del 18 novembre 2014 è cominciato l’avvio dello sgombero di due spazi sociali – Corvaccio e Rosa Nera- e di sfratti di alcuni appartamenti delle case popolari in zona Corvetto. Il modus operandi degli sgomberi ricalca quello usato il giorno prima in Giambellino: utilizzo massiccio di lacrimogeni e manganelli, con diversi feriti e alcuni fermati. C’è stato uso della forza spropositato che ha portato a cariche e lanci di lacrimogeni (oltre che dentro le abitazioni), anche in via Ravenna e in via Pomposa nel quartiere Corvetto. Indicativo della follia poliziesca, è il lancio di lacrimogeni all’interno del mercato rionale in mezzo alla gente che faceva la spesa, e un insieme di cariche ripetute che hanno in un primo momento portato ad alcuni fermi.

Sin dalle prime ore del mattino, centinaia di compagni e di occupanti si sono recati nel quartiere del Corvetto, mentre alcuni occupanti hanno deciso di resistere allo sgombero salendo sul tetto. Durante la mattinata, gli studenti di una scuola adiacente alle occupazioni, sono usciti dalle classi per una mobilitazione spontanea di solidarietà con gli sgomberati. Moltissimi gli studenti e le studentesse che sono quindi usciti all’istituto scolastico ma che sono stati fermati fisicamente dalla celere. Con l’arrivo di molte persone solidali – tra cui anche famiglie- si è poi dato vita ad un corteo che ha attraversato le strade del Corvetto, durante il quale non sono state esenti provocazioni da parte della polizia e manganellate sui manifestanti.

Nel frattempo, sul tetto del Corvaccio, tre compagni continuano a resistere, mentre per la Rosa Nera, l’operazione di sgombero è terminata la mattina. I solidali continuano in ogni modo a raggiungere il quartiere, dove attualmente vi è un presidio permanente in Via Cinquecento. Durante le diverse cariche e gli sgomberi di questa mattina, 9 persone sono state fermate. Di queste, sei sono stati fermati all’interno della palazzina occupata, mentre altri tre durante le pesanti cariche della polizia.

Da dove nasce questa repressione contro le occupazioni? Come mai queste crociata? Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal fatto che la casa è un terreno di lotta classe, dove si scontrano interessi contrapposti e inconciliabili: un bene primario per i proletari, una merce per il Capitale che risponde alle feroci regole del mercato, poiché deve produrre profitto. È questa la natura del capitale, è per questi motivi che esso non potrà mai risolvere il problema della casa, in quanto come sistema di sfruttamento vive sulla disuguaglianza, la differenziazione dell’abitare (compresa l’esclusione) è una condizione per mantenere le disuguaglianze, sopravvivere e svilupparsi.

È ormai evidente che le politiche che hanno attuato tutti i governi (Centro-Sinistra, Centro-Destra, tecnici) siano di attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e di frammentazione del corpo proletario.

Con la svendita e la privatizzazione del patrimonio pubblico si aggiungeranno altri esclusi e tra loro gli immigrati, che sono gli ultimi arrivati nel mercato del lavoro.

È un quadro di continua divisione sociale, rafforzato da potenti strumenti di rottura dell’unità e della solidarietà di classe.

Nei quartieri di una città come Milano ci sono famiglie che hanno la casa, la pagano regolarmente e vivono nel degrado e nella totale assenza di servizi. Ci sono famiglie che possiedono la casa ma non riescono a pagarla e vivono sotto la minaccia di uno sfratto. Ci sono persone che hanno occupato la casa e vivono sotto la costante di uno sgombero. Ci sono anziani, abbandonati a se stessi che vivono l’incubo di non avere i soldi per pagare le medicine di cui hanno bisogno. Ci sono immigrati a cui è negata la casa senza avere un lavoro.

Bisogna combattere la cultura della rassegnazione e della delega all’interno dei quartieri popolari. Lavorare affinché le lotte che i proletari sviluppano sul terreno della casa, divengano riferimento, per tutti quelli che vivono questa condizione di precarietà individualmente. Ogni singola lotta che ciascun proletario porta avanti (dall’occupazione di un appartamento al non pagare un affitto oneroso) diviene oggettivamente una forzatura di quella legalità borghese che sancisce il dominio del Capitale.

 

A Milano la campagna militare contro gli “abusivi” (come in maniera spregiativa sono chiamati gli occupanti delle case popolari) è ufficialmente bandita il 18 novembre 2014 con la sottoscrizione da parte del Comune di Milano, della Regione Lombardia, dell’Aler e del Prefetto di un documento battezzato “Modello Milano”.  Da questo documento è ricavabile in prima battuta il quadro della situazione abitativa che può essere compendiato in queste cifre: a) gli alloggi dell’Aler e del Comune ammontano a 89.000 circa, di cui 39.000 comunali; b) 9.700 abitazioni, di cui 1.300 in ristrutturazione, sono sfitte; la lista di attesa dei richiedenti alloggi quota 25.000 domande di alloggio; c) gli alloggi occupati irregolarmente sono 4.500, di cui l’80% da più di 25 anni; d) da gennaio 2013 vengono segnalate 1.500 occupazioni; e) il tasso di morosità viene indicato nel 30%. Questo è il quadro, da prendere sempre con le pinze per quanto riguarda l’esattezza dei dati. Ma subito dopo questi dati il documento afferma e prevede:
1) che siano potenziati gli ispettori e gli operatori sociali;
2) che gli sgomberi siano effettuati ad oltranza e a tolleranza zero partendo dalle occupazioni in flagranza e proseguendo con gli sgomberi programmati settimanalmente;
3) che le segnalazioni relative alle occupazioni confluiscano al 112 al fine del più rapido intervento;
4) che ai Vigili Urbani sia assegnato il ruolo chiave nel coordinamento delle operazioni;
5) che siano designati 20 “tutor” di quartiere col compito di impedire nuove occupazioni e tenere i rapporti tra inquilini assegnatari comitati e Aler.
Rispondendo, dopo la firma del documento, sul ruolo delle “squadre anti-occupazione” il Prefetto Tronca ha dichiarato: a) che il “Modello Milano” punta all’efficacia degli interventi contro le nuove occupazioni, mentre per le vecchie si procederà con una programmazione settimanale; b) che la firma di Maroni e Pisapia assicura che il piano verrà eseguito puntualmente; c) che l’obbiettivo del “Modello Milano “è di snellire burocrazia e procedure; d) che le forze dell’ordine sanno come affrontare la tensione e i gruppi antagonisti che si stanno spostando sempre più sulla crisi abitativa. Quindi il “Modello Milano” delinea, in sintesi, un’operazione politico-burocratica-poliziesca permanente per la cacciata degli inquilini morosi e occupanti bisognosi, la liberalizzazione dell’edilizia pubblica, la militarizzazione urbana.
L’esplosività della questione abitativa risultato combinato della politica d’abbandono e privatizzazione del patrimonio pubblico e della riduzione – perdita del salario.
La questione alloggi è un nodo dei rapporti sociali. Il nodo che intercorre tra proprietari (privati e pubblici) e non proprietari di casa (in Italia il 15% circa della popolazione) nel quadro dello sfruttamento capitalistico del lavoro salariato. E la tensione abitativa, che esplode in certi quartieri (Giambellino, Baggio, Niguarda, Salomone, Corvetto, ecc.), non può essere ricondotta a turno o allo specioso “abusivismo incontrollabile” o alla “nuova povertà”. DERIVA DAL GIUOCO COMBINATO TRA RENDITA E PROFITTO NEI CONFRONTI DEI LAVORATORI E DAL LIVELLO DI LOTTA DI QUESTI ULTIMI.
Consideriamo il primo aspetto. L’esplosività abitativa, che contrassegna il comparto delle case popolari, ha la sua prima causa nella politica di smantellamento e di privatizzazione dell’edilizia popolare, molto antecedente all’ «abusivismo» e alle “nuove povertà” odierne. L’Aler (Azienda Lombarda Edilizia Residenziale) da decenni persegue una politica antipopolare di abbandono degli alloggi e di disinvestimento nell’edilizia pubblica, di speculazione privata e giuochi finanziari, di gestione affaristica e criminosa. Oggi questo carrozzone è semi-fallito, si parla di un deficit finanziario di 350 milioni; ed è impotente ad effettuare qualsiasi manutenzione e/o ristrutturazione. E sta in piedi solo per svendere e per sbranarsi gli inquilini morosi che dal 2013 al 2014 sono raddoppiati, particolarmente in seguito all’azzeramento del fondo di sostegno a favore degli inquilini indigenti, salendo quasi a 30 mila. Per cui nel 2015 una torma di cani famelici sarà sguinzagliata nelle case degradate per strappare soldi a questi indigenti.
Da parte sua il Comune si è mosso sulla falsariga dell’Aler, sbarrando gli alloggi rilasciati o vigilando quelli ristrutturati; e, soprattutto, seguendo la politica del caro canone a smaccato sostegno del caro affitto in una città con un’infinità di case sfitte (da 80 a 100 mila). Inoltre esso ha compresso via via fino ad azzerarli i sostegni agli inquilini bisognosi (In sostanza dal 1998, quando è finito l’osceno prelievo dei soldi dalle buste paga per finanziare i “fondi sociali”, non si investono risorse nell’edilizia popolare). Infine, per manovrare più liberamente, esso ha affidato la gestione del proprio patrimonio alla “Metropolitana Milanese S.p.A.”, la quale dal primo dicembre sta inventariando le posizioni dei singoli inquilini con l’obiettivo di rastrellare soldi ed elevare gli introiti. Per cui anche da questo lato vedremo ben presto all’opera, per spolparsi l’osso, gli “esecutivisti apri tutto” proliferati dagli artt. 17-18-19-20 del D.L. n. 132 del 12/9/2014 in materia di esecuzione forzata. Quindi una causa specifica della tensione abitativa negli alloggi popolari (non si deve dimenticare che per l’assegnazione di un alloggio occorre la residenza da 10 anni).

Sta proprio nella politica di fiancheggiamento e di apripista svolta da Enti e Comuni a favore della rendita immobiliare nella gestione dell’edilizia pubblica.
Passiamo al secondo aspetto, al rapporto tra capitale e lavoro. Il fattore principale e determinante del livello dei consumi (qui inteso come quantità di mezzi di sussistenza necessari al lavoratore per riprodursi socialmente, di cui il “bene casa” costituisce un articolo) è dato dal livello del salario. Il livello del salario non si determina automaticamente né per effetto delle cosiddette “leggi di mercato”, bensì sulla base dei rapporti di forza tra padroni e operai. Rapporti che, per quanto riguarda i lavoratori, sono determinati dalla loro capacità di lotta e di organizzazione. Da 25 anni i salari scendono e da 7 si perdono. Oggi non ci sono i soldi per mangiare e non è pensabile che si possa pagare l’affitto. Perciò sotto l’effetto concentrico della perdita del salario e dell’azzeramento del sostegno agli inquilini bisognosi (Il Comune ha fatto persino tabula rasa dell’accordo del 2012 con Sunia Sicet e altri sindacati inquilini di valutare caso per caso le famiglie occupanti specie quelle per necessità. Ed ha calpestato lo stesso art. 34 c. 8 della Legge Regionale del 2009 che obbliga il Comune ad assegnare gli alloggi agli occupanti per necessità, nonché ai senza tetto, l’esplosività abitativa diventa incontenibile anche “manu militari”).
Veniamo infine all’ultimo aspetto, agli obbiettivi della lotta e ai livelli organizzativi.
Incominciamo con l’esame degli ultimi sgomberi e mobilitazioni. Il 25 novembre, procedendo in base alla tabella degli sfratti programmati, la polizia espelle da Via Apuli 4 in Giambellino una donna marocchina madre di due figli. Lo sgombero è portato a termine nonostante la resistenza di un centinaio di compagni del movimento. I presidianti però non desistono e danno vita ad un corteo da Largo Giambellino a P.zza Tirana. Nella serata si forma un altro più corposo corteo di protesta, il quale, dopo avere raggiunto P.zza Tirana, ritorna al punto di partenza attraverso Via Lorenteggio, suscitando la simpatia del quartiere. Le manifestazioni di protesta si fanno più frequenti e consistenti. E si determina un certo avvicinamento tra i comitati per la casa. Il 26 mattina in Via Tracia 7 in zona S. Siro viene sgomberata una famiglia di romeni con 3 figli. Nel primo pomeriggio la famiglia sgomberata rioccupa l’alloggio (Secondo gli ultimi dati, forniti dagli uffici del Comune e riportati dai servizi stampa locali, nei primi 10 mesi del 2014 ci sarebbero state 732 occupazioni, sarebbero stati sventati 546 tentativi, mentre sarebbero stati impediti 16 sgomberi). Il rientro nell’alloggio è sostenuto da un centinaio di residenti e di compagni che respingono la polizia e che nella serata manifestano in P.zza Selinunte contro il governo statunitense per l’assassinio da parte di un poliziotto di un giovane nero a Ferguson. Il 27 è un giorno di particolare importanza per la resistenza agli sgomberi. I comitati anti-sgombero si ritrovano insieme in una manifestazione unitaria. Al grido comune “stop agli sgomberi” un folto corteo di 300 manifestanti sfila per P.zza Selinunte, ribadendo il “diritto all’abitazione” e condannando la violenza della polizia. La giornata è poi completata da varie manifestazioni che si svolgono in altri quartieri (L’unico sgombero avviene in via Tommei nel quartiere Calvairate, ma l’alloggio era abbandonato). L’ultima manifestazione dei comitati per la casa, che cade sotto il nostro esame, è quella del 4 dicembre davanti al Comune che si conclude con un nulla di fatto per la mancanza di una visuale e di una linea di azione comuni. Svolto quest’ultimo esame ed entrando in argomento va subito sottolineato sul piano operativo e prospettico che NON SI PUÒ AFFRONTARE LA QUESTIONE ABITATIVA SENZA PARTIRE DALLA CONCRETA CONDIZIONE PROLETARIA E QUINDI SENZA COLLEGARLA E SUBORDINARLA ALLA PIÙ GENERALE BATTAGLIA PROLETARIA CONTRO IL PADRONATO E L’APPARATO STATALE. Non potrà mai esserci sotto il dominio del capitale, della rendita finanziaria e immobiliare, una soluzione dignitosa, accettabile, per le masse proletarie e popolari, della questione abitativa. E va altresì sottolineato che sul terreno alloggi lo scontro si fa sempre più cruento e la resistenza agli sgomberi, e in generale la lotta per l’abitazione si fa sempre più dura proprio e in quanto degrado abitativo e sfratti sono un corollario della riduzione e perdita del salario, cioè del peggioramento delle condizioni di vita del salariato. Proprietà immobiliare, Regione, Comune, e tutto l’ambiente padronale, tratta ormai morosi e occupanti come “criminali”; e spingono la macchina statale a militarizzare la città, la polizia municipale, assoldando vigilantes a custodia di case costruite coi soldi degli sfrattati e sfrattandi. Solo con la guerra di classe, non con la semplice lotta per il “diritto all’abitazione”, è possibile in questa fase bloccare gli sfratti, congelare gli affitti ai bisognosi, requisire e assegnare case ai senza tetto. Per affrontare questo scontro adeguatamente è quindi necessario un avanzamento tattico-strategico.
E quelli che seguono sono i passi da fare per quest’avanzamento.
In primo luogo bisogna sgomberare il terreno da false visuali e da castranti richieste. È falso credere che i gruppi finanziari-immobiliari mirino a ghettizzare i luoghi di insediamento abitativo popolare. AL CONTRARIO ESSI AMBISCONO A METTERE LE MANI SU QUESTI INSEDIAMENTI QUASI TUTTI RIENTRANTI IN CIRCUITI AD ELEVATA RENDITA URBANA. Per converso non serve richiedere la fissazione di un canone legale a modifica della legge sulle locazioni, la n. 431/98 che ha messo le ali coi superaffitti alla “libera rendita”. IL PUNTO È CHE I LAVORATORI NON DEBBONO NÉ SOTTOSTARE NÉ RIMETTERSI ALLE DECISIONI STATALI E CHE DEBBONO PORRE I LORO BISOGNI E INTERESSI A BASE DI OGNI LORO RICHIESTA. E la rivendicazione giusta è che i canoni, in generale per case private e pubbliche e salve le situazioni di bisogno e/o di indigenza, in cui va applicato l’esonero, non superino il 10% del salario del maggiore percettore o della pensione.

In secondo luogo va svolto nei caseggiati popolari un lavorio capillare e metodico di propaganda e di organizzazione allo scopo di convogliare nelle azioni di difesa e di lotta inquilini e occupanti, eliminando attriti e divisioni tra assegnatari e occupanti, tra occupanti “storici” e occupanti “recenti” ed emarginando le condotte prevaricatrici individuali o di gruppo. Gli inquilini e gli occupanti debbono costituire la prima linea di difesa e di lotta nel blocco degli sfratti e degli sgomberi e un baluardo nella difesa degli occupanti per necessità. Una parte di questo lavorio va svolta inoltre tra i richiedenti alloggio in lista di attesa per accelerare l’assegnazione delle case sfitte ed esercitare una pressione crescente per la requisizione e assegnazione di case vuote.
In terzo luogo i comitati per la casa non possono continuare ad agire come membra separate dell’organismo proletario ed agitare la questione abitativa come “vertenza sociale” slegata dai più urgenti e centrali problemi di vita e di sopravvivenza delle masse proletarie come quello della mancanza, della perdita o della svalutazione del salario. Perciò essi debbono raddrizzare il tiro e porre a base della loro azione la rivendicazione immediata, comune a tutti i lavoratori, del salario minimo garantito di € 1.250,00 mensili intassabili a favore di disoccupati cassintegrati sottopagati pensionati con importi inferiori. E articolare su questa base la richiesta specifica di azzerare la morosità nei confronti di tutti gli inquilini e occupanti colpiti da disoccupazione riduzione perdita di salario. Convogliare in questa lotta e nelle mobilitazioni, infondendo una giusta coscienza di classe, assegnatari e occupanti richiedenti alloggio senza tetto.
In quarto luogo i comitati per la casa debbono stringere forti legami tra loro, creare un fronte comune attrezzarsi adeguatamente per affrontare la militarizzazione urbana. Gli sgomberi sono da tempo azioni militari di una guerra che la Borghesia Imperialista sta attuando contro le masse popolari. E lo “stop agli sgomberi” richiede adeguati livelli di organizzazione di attrezzature di combattività. Fondamentale e decisiva nell’impedire gli sgomberi è la resistenza degli inquilini, la solidarietà del caseggiato; poi conta il resto. Trascinare nell’azione i caseggiati, coinvolgere il quartiere, sbarrare il passo alle forze dell’ordine.
Parallelamente bisogna boicottare gli “esecutivisti della morosità”, isolare i “cittadini detective antiabusivi” e quanti si accodano alle “campagne di legalità” fingendo di non vedere che la “legalità” è il paravento delle ruberie pubbliche e lo strumento di repressione ed esproprio della gente impoverita. SCACCIARE INOLTRE DAI QUARTIERI POPOLARI I NEOFASCISTI CHE, PER ACQUISIRE SIMPATIE, CHIEDONO CASE “SOLO PER GLI ITALIANI”, NASCONDENDO IPOCRITAMENTE IL FATTO CHE LE CASE STANNO DA DECENNI SFITTE E CHE ORA VENGONO POSTE IN VENDITA.
In quinto e ultimo luogo bisogna collegare e ancorare la lotta per la casa alla più generale battaglia di classe per l’esproprio di immobiliari, palazzinari, grossi e medi proprietari e la socializzazione dei mezzi di produzione.

Il 1° maggio 2015 ci sono stati a Milano degli scontri tra la polizia e gruppi di manifestanti che erano contro l’Expo, i danni sono stati qualche vetrina infranta e qualche auto bruciata. Subito dopo, senza sosta, tutti gli organi di (disin)formazione scritti e parlati, si indignano (come sempre fanno i benpensanti) contro la minoranza “violenta e nichilista”, che avrebbe messo ferro e fuoco la moderna e civile città di Milano, rischiando di macchiare in maniera indelebile l’evento dell’Expo.

Ma nessuno di questi organi della disinformazione e dell’intossicazione dell’opinione pubblica dice che cosa serve effettivamente l’Expo.

Ebbene l’unica risposta logica è questa: una palla mondiale.

Per accaparrarsela, proponendo il tema del cibo in cui l’Italia ha un primato sul mercato mondiale (Nutrire il pianeta, energie per la vita), l’allora sindaco di Milano Moratti, e il governo Prodi, in carica dal 2006 al 2008, hanno promesso al BIE (Bureau International des Expositions) una montagna di investimenti (20 miliardi) e la costruzione di un “sito meraviglioso” dove coltivare i prodotti agricoli di tutto il pianeta, navigare sul lago e sui canali ecc. Ottenuta l’approvazione da parte del BIE, la palla mondiale si è subito sgonfiata ed è venuta a galla la trama degli affari che i finanzieri, i proprietari immobiliari, i costruttori edili, il sistema delle Coop, ecc., volevano fare.

Gli investimenti previsti si sono ridotti via via da 20 a 3 miliardi di euro, quelli sul sito prescelto, tra Milano e Rho, da 4 miliardi a 800 milioni. Sono scomparsi il canale e i campi coltivati, sono rimasti solo terreno e padiglioni temporanei.

Sui fondi promessi, com’era prevedibile, si sono gettati come lupi famelici tutti i gruppi di potere, che si sono affrontati in una rissa senza fine per il controllo della neonata società pubblica Expo, dalla quale dovevano passare tutti gli appalti. In questa rissa alla fine ci hanno guadagnato i proprietari del sito prescelto per l’evento, i Cabassi e la Fondazione Fiera: sono riusciti a vendere un terreno di 1.000.000 mq, inquinato e chiuso da ferrovie e autostrade tra Milano e Rho, che come suolo agricolo era valutato 16€/mq, a 164€/mq all’altra società pubblica, l’Arexpo, fondata dal Comune di Milano e da Regione Lombardia, che lo ha acquistato come terreno edificabile. A questo scopo, Arexpo si è indebitata con le banche per oltre 300 milioni di Euro da restituire nel 2016. Ci hanno guadagnato le imprese che hanno vinto gli appalti da centinaia di milioni di Euro per la preparazione del sito Expo (Mantovani, Maltauro, Manuntecoop ecc.): appalti assegnati in forte odore di tangenti e favori, come è emerso dalle tante inchieste giudiziarie. Ci hanno guadagnato i costruttori della Linea 5 della MM, della Bre-Be-Mi e di altre autostrade i cui progetti sono stati accelerati in vista dell’Expo. Ci hanno guadagnato la legione degli alti burocrati, professionisti, consulenti mobilitati da società Expo, Comune, Regione, Alta Autorità “anti-corruzione” ecc. per spartirsi i fondi e controllarsi a vicenda. Intendono guadagnarci molto di più gli speculatori immobiliari, comprando a basso prezzo, l’area dell’Esposizione perfettamente attrezzata e infrastrutturata, pronta per costruire, finito l’Expo, l’ennesimo quartiere di case e uffici di lusso.

I miliardi di Euro movimenti da Expo 2015 sono in realtà miliardi di debiti, che rimarranno sul groppone dei cittadini milanesi, lombardi e italiani. Il Comune di Milano non si è indebitato solo per finanziare l’acquisto dell’area Expo, ma anche per effettuare tutte le opere al servizio di Expo (strade, Linea 5 della MM ecc.). Questo debito sarà ripagato con anni di aumenti di tasse locali, delle tariffe e con tagli ai servizi.

Il blocco di potere politico affaristico che guida Expo 2015, ha sempre presentato questo evento come un’occasione per creare posti di lavoro. Nel 2013 i cervelloni strapagati dell’Università Bocconi straparlavano di 200.000 nuovi posti di lavoro!!, i giornali di 100.000…, ma nella realtà tutte queste meraviglie non si sono vedute neanche l’ombra. Nei cantieri di Expo lavorano tuttora giorno e notte, con turni lunghissimi, poche centinaia di operai specializzati. Nel luglio 2013 la società Expo si è accordata con CGIL-CISL-UIL per assumere, poco prima di maggio 2015 e solo per qualche mese 800 persone, la maggior parte apprendisti e stagisti: in altre parole personale a paga ridotta o senza paga, con il solo rimborso spese. Inoltre intende scegliere altri 18.500 “volontari” giovani (ma anche adulti) che dovrebbero lavorare gratis, ciascuno per due settimane di 40 ore, per accogliere i visitatori, durante i sei mesi di Expo. Se poi ci mettiamo il personale della miriade di imprese di trasporto ristorazione, logistica, spettacoli ecc., che dovrebbero fa consumare i 20.000.000 di visitatori previsti, utilizzerà manodopera, appaltata ed agenzie di lavoro interinale, oppure lavoratori in nero o assunti a termine grazie al Jobs Act.

Altro che “occasione di lavoro”! Expo 2015 è un’occasione d’oro per il padronato, per sperimentare nuove forme di sfruttamento, basate sul lavoro semi-gratuito o gratuito, con orari senza fine e sotto il ricatto di norme anti-sciopero, perché qualsiasi tentativo di difesa dei lavoratori è considerato criminale e anti-nazionale.

A parte l’accordo anti-sciopero già sottoscritto da CGIL-CISL-UIL e le minacce di Renzi di emanare nuove leggi per obbligare al lavoro durante Expo, a parte ciò il Sindaco Pisapia ha riempito il Expo con 550 telecamere e una nuova centrale della Polizia locale; il Governo in base agli accordi dovrebbe aver trasferito a Milano 2.500 poliziotti, carabinieri e agenti della Guardia di Finanza in più di quelli e nel decreto anti-terrorismo appena ha mobilitato 600 militari per il controllo del sito; la magistratura si sta attrezzando a celebrare 100 processi per direttissima  al giorno (il che equivale a 18.000 processi e condannare durare i sei mesi della fiera); ecc. Da parte sua, il governatore maroni ha chiesto di sospendere il trattato di Schengen (che riguarda la libera circolazione nello spazio europeo) durante i sei mesi di Expo.

Quindi, si può affermare che Expo non serve solo ad arricchire i ricchi, ma serve anche a imporre ai giovani e ai proletari nuove forme di oppressione, controllo e terrorismo statale, che diventeranno poi permanenti.

Expo 2015, insomma, è il recente esempio del marciume del sistema capitalistico e del suo sistema statale, centrale e locale. Il sistema funziona solo grazie al finanziamento pubblico, garantendo i profitti di pochi finanzieri e costruttori, scaricandoli a debito sulle masse; il potere statale copre qualsiasi illegalità del sistema degli appalti, col pretesto dell’emergenza nazional; lo Stato così comprensivo con affaristi e speculatori, usa leggi e mano di ferro contro i lavoratori e tutte le voci critiche di Expo.

Un ruolo fondamentale per il funzionamento di questo sistema marcio e reazionario ha avuto la Giunta Pisapia, che dal 2011 garantisce l’operazione Expo, non solo con il finanziamento di centinaia di milioni di euro a carico dei cittadini milanesi, ma anche con un lavoro politico quotidiano per far procedere i cantieri e neutralizzare ogni protesta. Come Collettivo Comunista Metropolitano denunciamo il ruolo reazionario e antipopolare di questa Giunta al servizio degli speculatori, che sostiene Expo in ogni modo, tagliando servizi sussidi, edilizia residenziale pubblica ecc.

Contro Expo 2015 si sono levate denunce e critiche da parte di centri sociali, che tuttavia sono limitate solo ad alcuni aspetti del mega progetto affaristico, quali la speculazione immobiliare, il saccheggio del territorio o la schiavizzazione del lavoro. Queste critiche settoriali non investono però la questione del potere statale, ma solo le storture del suo intervento, chiedendo il rispetto dei cittadini sul territorio o sul lavoro.

Expo 2015 non è una questione di diritti, è una manifestazione, un aspetto del dominio del blocco di potere finanziario-parassitario, i cui profitti e rendite sono garantiti e blindati dallo Stato, a livello centrale e locale, con una politica che unisce in un corpo solo affarismo speculativo e reazione antiproletaria e antipopolare: l’unico diritto per questa gente è fare affari indisturbati, travolgendo con le proprie ogni ostacolo.

 

La giunta sala (2016 in avanti)

 

La nuova Giunta di Centro-Sinistra si insedia nel luglio 2016. Assessore all’urbanistica Maran. Nel programma di Sala, campeggiano: il varo dell’ADP per gli ex scali ferroviari; l’utilizzo dell’Area Expo; l’aggiornamento del PGT, che dipende dai primi due punti; il risanamento di quartieri Aler degradati, situati vicino a ex scali ferroviari (Giambellino e Corvetto).

Per quanto riguarda gli scali Maran non perde tempo. Concorda con F.S. Sistemi urbani S.r.l. (società cui sono state conferite le aree degli ex scali da valorizzare9 una campagna di marketing urbano, mediante articoli sui maggiori quotidiani e soprattutto con la mostra alla Triennale – intitolata Dagli scali, la nuova città – che nel dicembre 2016 presenta dei progetti di massima dei nuovi quartieri, elaborati da vari architetti famosi con la solita tecnica del rendering-fumo negli occhi. Il Comune spaccia queste iniziative – attuate del promotore edilizio F.S. Sistemi Urbani – come parte dell’attività di ascolto e partecipazione dei cittadini, mentre tratta con F.S. qualche modifica dell’ADP De Cesaris – Pisapia, abortito nel 2015. In questo promozionale, il 23 giugno 2017 viene stipulato da Comune di Milano, Regione Lombardia, F.S. (con F.S. Sistemi Urbani e RFI) il nuovo ADP, cui partecipa perfino un fondo immobiliare privato proprietario di un’area all’interno dello Scalo Farini[i]. Il Consiglio Comunale approva l’ADP venti giorni dopo: ci sono voluti 15 anni, ma F.S. ce l’ha fatta.

L’ADP è una vittoria per F.S. ed una sconfitta per la cittadinanza milanese. Con esso il Comune riconosce F.S., attraverso Sistemi Urbani S.r.l, come legittimo proprietario privato delle aree su cui insistono i 7 scali ferroviari e sancisce il suo diritto di deciderne la destinazione urbanistica con operazioni di trasformazione e rigenerazione, volte a massimizzare la propria rendita immobiliare ed il profitto ottenibile come promotore edilizio.[ii]

Come è apparso molto chiaramente con la citata campagna di marketing urbano che ha preparato il terreno di F.S., il Comune di Milano svolge una funzione ancillare e rispetto agli interessi privati di F.S., come fece ai tempi dell’Amministrazione Albertini con gli speculatori immobiliari allora attivi e potenti.

Si tratta di una questione politica e giuridica di grande importanza, perché le aree degli scali ferroviari furono acquisiti dallo Stato e conferite alle Ferrovie dello Stato per lo sviluppo dei trasporti pubblici. La loro natura demaniale imporrebbe, una volta terminata la destinazione ferroviaria al servizio di industrie da tempo smobilitate, una nuova terminata la destinazione ad uso pubblico e al servizio della città, certamente non l’utilizzo delle aree per far sorgere quartieri destinati ai ricchi, decisamente vuoti come immobili di CtyLife o le Torri Solaria a Porta Nuova. Né l’originaria natura delle aree e l’interesse pubblico potrebbero essere superati dal fatto che l’Ente F.S. sia stato trasformato in S.p.A., posseduta al 100% dal Ministero dei Trasporti e abbia poi costituito un gruppo di società operative, tra cui la suddetta F.S. Sistemi Urbani S.r.l. cui ha conferito quei terreni. Invece, sta avvenendo esattamente il contrario nel nome della tutela del patrimonio di F.S. in vista della quotazione in Borsa della società e dei guadagni dei privati che ne acquisteranno le azioni. Si chiude così nel peggiore dei modi un ventennio di predazione privatizzatrice del territorio urbani, favorita da tutte le amministrazioni comunali, e inizia la fase della privatizzatrice speculativa delle grandi aree in origine demaniale che ormai rappresentano la maggior riserva per le future operazioni di rigenerazione urbana e speculazione urbana.

In questa nuova fase, sarà lo Stato proprietario a speculare sulle aree da valorizzare in barba alla loro destinazione pubblica. Infatti, dopo la questione degli ex scali ferroviari, si aprirà quella dell’utilizzo della Piazza d’Armi di Baggio nonché delle caserme Montello, Rubattino, Mameli, dei Magazzini raccordati Centrale e di altri terreni di proprietà pubblica, tutte inserite nel PGT vigente dal 2012 come ATU (Ambiti di Trasformazione Urbana (al pari degli ex scali ferroviari.

Si può quindi concludere che la ri-generazione degli ex scali ferroviari o delle caserme, previste nel PGT di Milano, servirà – attraverso la gestione diretta delle operazioni immobiliari oppure attraverso la vendita dei terreni pubblici ai grandi promotori finanziario-immobiliari – a generare rendite e profitti privati in danno della cittadinanza, definitivamente spogliata della possibilità di utilizzare socialmente aree demaniali, sulle quali si svilupperà la città dei ricchi e degli affari, riservata ai possidenti e al consumo pagante.[i]

La logica di privatizzazione immobiliare caratterizza anche il progetto messo in piedi da governo, Comune di Milano, Regione Lombardia per utilizzare l’ex area Expo, ma in questo caso si va oltre: l’operazione potrà andare in porto solo se ci saranno finanziamenti pubblici molto ingenti, all’ombra dei quali gli investitori privati avranno profitti e rendite garantiti nel tempo. Vediamo in quale modo. La società pubblica Arexpo[ii] ha indetto nel febbraio 2017 un bando ristretto per affidare in concessione ad uno sviluppatore immobiliare tutta l’area, destinata a diventare sede del Parco della Scienza del Sapere e dell’innovazione.

Lo sviluppatore deve presentare un idonea un idoneo masterplan per l’area, a suo tempo perfettamente attrezzata ed infrastrutturata a spese pubbliche, sulla base del quale potrà gestirla per 99 anni, in cambio del pagamento di un cannone annuo, con cui Arexpo restituirà il mutuo contratto con le banche per acquistare il terreno destinato all’Esposizione.

L’investimento richiesto al vincitore del bando del bando è elevato, nell’ordine di alcuni miliardi di Euro. La garanzia dell’investimento sta nel fatto che nel Parco della Scienza si insedierà l’Human Technopole dell’istituto italiano di Tecnologia, che occuperà il Palazzo Italia già costato 60 milioni di Euro; verranno trasferiti da Città Studi i Dipartimenti Scientifici dell’Università Statale di Milano; verrà costruito il nuovo Ospedale Galeazzi del Gruppo Rotelli-Policlinico San Donato. Questo nucleo dovrebbe attrarre migliaia di ricercatori, dipendenti, docenti, medici, degenti e loro familiari, oltre a quasi 20.000 studenti, consentendo allo sviluppatore di urbanizzare l’area secondo il masterplan approvato, costruendo immobili direzionali, destinati ad ospitare imprese specializzate nella ricerca, immobili residenziali, per negozi e servizi, la cui locazione lo ripagherà dei costi e gli garantirà profitti secolari.

A parte il cospicuo finanziamento statale di 150 milioni annui per 10 anni, già stabilito dal governo Renzi in favore di Human Technopole, è previsto l’ulteriore investimento di 380 milioni di Euro, da parte dell’Università Statale per consentire la costruzione delle nuove sedi, aule, laboratori delle facoltà scientifiche. Questo ulteriore importo è posto per un terzo a carico del governo, dovrebbe provenire per un altro terzo della cessione delle sedi universitarie di Città Studi e per il resto da un prestito bancario la cui restituzione graverà sul bilancio dell’Università per decenni.

Si tratta di enormi risorse pubbliche, che per quanto riguarda il trasferimento delle facoltà scientifiche verranno spese inutilmente, essendo quelle strutture perfettamente inserite nel quartiere di Città Studi, ove sono sorte e si sono nel tempo rinnovate, con investimenti meno gravosi.[iii]

Come detto, l’Area Expo è proprio l’area dei miracoli: in passato, la vendita ad Arexpo, a prezzo decuplicato, di questa landa agricola e inquinata la consentito a Fondazione Fiera di sanare i propri debiti; nei decenni a venire sarà una benedizione per i profitti dello sviluppatore immobiliare e consentirà ad Arexpo di ripagare il mutuo contratto con le banche; nel frattempo farà girare tanti soldi nei cantieri per costruire il Parco della Scienza e per sostituire, a Città Studi, le ex facoltà scientifiche abbandonate dalla Statale.

Come si vede nel Modello Milano, magnificato del potere e dalla sua stampa come campione nella ricerca-tecnologica-industria 4.0 ecc., vale sempre il vecchio adagio: finché gira il mattone tutto gira… ma a spese di chi? E con questo veniamo alle questioni di classe poste dallo sviluppo del parassitismo finanziario-immobiliare.

 

I due volti dalla metropoli del capitale parassitario: case di lusso e posti-letto e posti alloggi e tuguri sovraffollati

 

La politica urbanistica è sempre stata una delle manifestazioni più importanti del potere borghese. Fino al 1980 circa, essa ha contemperato i rapporti fondiari e quelli tra proprietà fondiaria e le altre frazioni della borghesia, tra le quali predominava il capitale industriale, che aveva la necessità di disporre di aree per la produzione e di una crescente forza-lavoro, da alloggiare a buon mercato. Il predominio dell’industria ha quindi favorito, in determinati periodi, la costruzione di case popolari a alloggi a riscatto.

Il processo di accumulazione è entrato in crisi dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso. Dagli anni ’80 si è affermato il capitale parassitario (unione di capitale bancario-assicurativo-industriale-immobiliare) con la trasformazione dei grandi gruppi monopolistici in gruppi parassitari finanziari-immobiliari, non solo proprietari di fabbriche in funzione ma sempre di più di fabbriche smobilitate, le cui enormi aree sono divenute terreni da valorizzare, fonte di elevate plusvalenze e rendite, essenziali nell’epoca della crisi dell’accumulazione e dei crolli finanziari. Il dominio di questa forma di capitale ha inciso sulla politica urbanistica, in particolare a Milano e in Lombardia, sostituendo la rigidità dei piani regolatori generali con la flessibilità dei piani di governo del territorio, adattabili ad ogni occasione ed esigenza di valorizzazione urbana. Questa svolta è stata senz’altro utile al capitale parassitario ed alle sue grandi iniziative immobiliari, ma ha soddisfatto gli interessi di tutta la proprietà immobiliare, grande media e piccola, che ha avuto campo libero per sopraelevazioni, ristrutturazioni, sanatorie ecc.

Orbene, abbiamo verificato che a Milano i grandi progetti di riqualificazione e trasformazione urbana sono stati decine negli ultimi 25 anni e che sono state migliaia le iniziative edilizie di importanza minore. L’intensa attività edilizia si è sviluppata perché immobiliare della metropoli ha garantito una un crescente livello di cannoni e pressi: Milano, infatti, è la metropoli del caro-affitti e dunque delle rendite elevate, che hanno contribuito a tenere i prezzi di vendita di case e terreni al livello necessario per le aspettative ed iniziativa dei grandi, medi e piccoli speculatori

Il caro-affitti a Milano poggia su due talloni: il posto letto e l’aumento continuo dei canoni dell’edilizia residenziale pubblica, in una situazione – che dura da un trentennio – di blocco della costruzione di alloggi popolari e di abbandono del patrimonio esistente.

Il posto letto riguarda sia gli immigrati, per i quali può raggiungere i 300€ al mese in alloggi e tuguri periferici malridotti e stipati di disperati, sia gli studenti fuori-sede, per i quali ancora (dai 400€ nella camera a due letti ai 600€ della singola). Si tratta di decine di migliaia di contratti per gli uni e per gli altri[i].

Quanto ai canoni delle case popolari, dal 1997 in avanti si sono accavallate le leggi regionali, che hanno portato gli affitti e anche le spese a un livello vicino a quello dell’edilizia privata, escludendo dagli aumenti del canone solo la c.d. fascia sociale, che corrisponde ai pensionati con la minima[i].

Al contempo, il blocco della costruzione di alloggi popolari e l’esistenza di uno stock di circa 10.000 alloggi vuoti, perché inagibili e non manutenzionati da ALER e Comune di Milano, hanno ridotto al lumicino le assegnazioni di case di edilizia residenziale pubblica, gettando sul mercato privato non meno di 20.000 nuclei familiari iscritti nelle graduatorie.

Su questi solidi talloni, il mercato dell’affitto a Milano è sempre stato tonico per la proprietà, anche nelle fasi più acute della crisi tra il 2010 e il 2014 e malgrado la continua riduzione dei salari individuali e dei redditi familiari dei lavoratori; ed è stato mantenuto vitale da un sistema di leggi statali e regionali, che hanno tutelato i proprietari e sfavorito gli inquilini (vedere la L. 431/1998 che ha definitivamente liberalizzato gli affitti e l’introduzione della cedolare secca sui redditi da locazione privata; vedere le leggi regionali sull’ERP e i contributi in conto affitto agli inquilini, che sono serviti ai locatori privati per non abbassare canoni insostenibili). La buona salute del mercato locativo si è così tradotta nella possibilità di spuntare canoni di 600-700€ mensili per il bilocale e di 800-900€ per il trilocale nei quartieri periferici, e affitti molto superiori nelle zone semicentrali e centrali della città. Insomma: investire nel mattone a Milano è convenuto, soprattutto a fronte del calo dei tassi obbligazionari e dei crack borsistici.

Sulla base di questi specifici rapporti economici e sociali, favorevoli alla rendita, il capitale parassitario finanziario-immobiliare ha potuto valorizzare Milano, stravolgendo nell’ultimo quarto di secolo l’urbanistica e il volto della metropoli, nella quale sono sorti i nuovi quartieri di lusso e sono stati gentrificati i vecchi quartieri popolari, con il progressivo allontanamento di pensionati, lavoratori, giovani di fronte all’avanzata dei ceti possidenti.

Tuttavia bisogna sempre avere presente che la Milano metropoli competitiva, città della finanza, dei quartieri per ricchi e polo mondiale del consumo di lusso non potrebbe esistere se le dominanti imprese bancarie e finanziarie, se i gruppi della moda e le imprese della ricerca, se i gruppi della sanità privata e le miriade di aziende commerciali, pubblicitarie, turistiche, di ristorazioni ecc. non avessero a destinazione la massa di forza—lavoro flessibile  e sottopagata, locale e immigrata, femminile e maschile, che la fa funzionare di giorno e di notte. Forza-lavoro che per sopravvivere si ammassa in periferia e nell’hinterland, in abitazioni dai canoni troppo elevati per i suoi salari, dalle quali viene poi espulsa e costretta a ricercare soluzioni peggiori, in coabitazione o in tuguri da occupare provvisoriamente.

La metropoli del capitale parassitario ha dunque due volti, inscindibili e contrapposti, perché lo splendore del primo vive dell’immiserimento e della fatica del secondo.

 

Il ruolo delle amministrazioni locali nella metropoli del capitale parassitario

 

La moderna questione delle abitazioni a Milano, determinata da questi precisi rapporti di classe favorevoli al capitale parassitario finanziario-immobiliari e – dietro ad esso – a tutta la proprietà immobiliare, ha portato le amministrazioni locali (Regione e Comune di concerto con Governo e Prefettura) ad adeguare la propria azione al servizio del blocco di potere dominante e contro le masse popolari.

Gli assessorati all’urbanistica di Regione e Comune sono diventati un apparato tecnico, numeroso e ben pagato ai suoi vertici, al servizio della valorizzazione immobiliare, cui si è votato anima e corpo,  partecipando ai progetti di urbanistica contrattata con i potenti rappresentanti della finanza immobiliare e i professionisti al loro servizio e poi elaborando il sistema legislativo e regolamentare della massima libertà del capitale edilizia su tutto il territorio (e anche al di sotto della superfice), espresso dal PGT.

Dal canto loro gli assessorati all’edilizia residenziale pubblica, dalla Regione e del Comune, sono da più vent’anni i gestori della liquidazione del settore. L’edilizia residenziale pubblica è stata praticamente strozzata con la fine del sistema Gescal di finanziamento della costruzione di alloggi popolari in affitto o a riscatto, terminato definitivamente nel 1992. Successivamente, sotto l’impulso di leggi statali e regionali, essa è entrata nella fase della vendita di parte del suo patrimonio e dell’aziendalizzazione della gestione (sostituzione degli istituti Autonomi con le ALER), fondata sull’aumento dei canoni e sulla carenza di alloggi da assegnare, perdendo così la sua storica di calmiere del mercato delle locazioni. Ed ormai, dopo la bancarotta dell0ALER, si prepara una nuova fase nella quale, come è avvenuto per la sanità, si apriranno le porte alla totale privatizzazione del settore, con l’ingresso del settore di grandi investitore privati.

Non si può peraltro affermare che lo Stato e le amministrazioni locale mancano di terreni e risorse per costruire alloggi popolari: è vero invece il contrario. I terreni ci sarebbero, ma vengono dirottati verso le opere di imbellettamento della città per i ricchi ed il consumo, come il progetto di Riaprire i Navigli.

La riapertura dei Navigli, per cui il progressista Pisapia fece addirittura un referendum nel 2011, è già stata avviata con la riqualificazione della Darsena. Oggi, essa aleggia nei progetti della Giunta Sala, che sarebbero disponibile ad investire decine, se non centinaia di milioni di Euro, per dare lustro alle zone più centrali della città centrali della città e più valore immobiliare ai ricchi proprietari dei palazzi che vi si affacciano.

In questo quadro, il Settore ERP del Comune di Milano, che gestisce le graduatorie e le assegnazioni, si è trasformato nell’arcigno notaio della non-assegnazione: lo stesso PGT De Cesaris-Pisapia del 2012 fa l’inventario dell’impotenza, contabilizzando tra il 2009 e il 2012 una media di 1.100 assegnazioni di alloggi (di cui la metà da graduatoria e l’altra metà in deroga  alla graduatoria, per l’emergenza abitativa), a fronte di domande di assegnazione pari a 22.193 nel 2009, 20.120 nel 2010, 21,396 nel 2011 e 23.424 (dato preventivo) a fine 2012. Il PGT prevede altresì che nel quinquennio successivo fino al 2017 possa aversi la disponibilità di 6.800 alloggi (di cui 2.500 inutilizzati e recuperabili) a fronte di uno stock di 29.000 domande di assegnazione, con un deficit o bisogno abitativo di edilizia popolare pari a 22.200 abitazioni. È questo il risultato delle decine di programmi di urbanistica contrattata delle Giunte Albertini e Moratti, il cui scopo era quello di produrre migliaia di abitazioni di pregio e signorili, proprio come l’ADP per la rigenerazione degli Scali ferroviari, che si limita a programmare la costruzione di uno stock di 2.600 piccoli alloggi in housing sociale, pari al… 10% del fabbisogno stimato nel PGT.

Impotenti sul piano delle assegnazioni, i dirigenti e funzionari del settore ERP e dei gestori ALER e MM, con l’appoggio di Polizia Locale, Assistenza Sociali, Polizia di Stato e Carabinieri, hanno sistematicamente operato per arginare e reprimere le occupazioni di alloggi popolari sfitti, che dell’intollerabilità della situazione abitativa del proletariato giovanile italiano e immigrato. Gli occupanti vengono da anni immediatamente individuati e se possibile, denunciati come delinquenti da privare dei diritti essenziali[i] e indicati come responsabili della carenza di alloggi da assegnare a coloro che sono in graduatoria: alloggi che non ci sono e, soprattutto, non ci saranno perché questo è il risultato della spirale crescente dell’urbanistica predatoria a Milano, sotto il dominio del capitale finanziario-immobiliare.

 

Lottare contro il dominio del capitale parassitario sulla metropoli

 

Il capitale parassitario finanziario-immobiliare domina la metropoli a partire dal territorio, utilizzo, dal potere di impadronirsi di aree, immobili, strutture sia private sia pubbliche per ricavarne plusvalenze e rendite, per di più, il suo organico collegamento con la finanza pubblica, fa di quest’ultima una leva a disposizione delle operazioni immobiliari. E questo tratto, relativamente recente per quanto in modo specifico il sostegno pubblico all’investimento edilizio-immobiliare e non a quello del campo produttivo, da un indice del grado di parassitismo raggiunto dal sistema capitalistico italiano.

In secondo luogo, come abbiamo visto nel caso milanese, l’avanzata di questa forma di capitale sul territorio trascina e rafforza tutte le frazioni della proprietà immobiliare. Si crea così un blocco sociale di interessi parassitari molto più esteso che nelle precedenti fasi dello sviluppo capitalistico, che – distogliendo e congelando enormi risorse nel settore immobiliare alla ricerca di plusvalenze e rendite – contribuisce sia alla stagnazione/recessione produttiva sia alla creazione di bolle speculative che incidono gravemente sulla solidità delle banche. È questo un ulteriore indice del marcimento del sistema capitalistico italiano.

In terzo luogo, e conseguentemente, la crescita della presa di questo blocco sulle metropoli produce un processo politico di immiserimento relativo ed anche di impoverimento assoluto del proletariato metropolitano. Il processo di immiserimento relativo e immobiliare nelle mani del capitale parassitario locale e internazionale, che investe su Milano, sia in rapporto specifico con il costo della vita metropolitano. A Milano, infatti, è più alto che in altre città e regioni d’Italia il costo dei mezzi di sussistenza, a cominciare dal costo dell’abitazione: qui si è costretti a mangiare mattoni, ovverossia a pagare affitti molto elevati, alte spese condominiali, rate di mutuo spesso insopportabili. È più elevato il costo dei trasporti, della formazione, ecc., necessari alla riproduzione della forza-lavoro. Inoltre nelle metropoli finanziaria che funziona 24 ore/giorno per 365 giorni nell’anno, gravano sui lavoratori il peso esistenziale della disponibilità totale al lavoro nonché l’aumento del ricatto padronale, della precarietà del lavoro e del sottosalario. In questa condizione di precarietà strutturale, il passo dall’immiserimento relativo all’impoverimento assoluto può essere molto breve.

In quarto luogo, e conseguentemente a quanto sin qui considerato, si può affermare che il dominio del capitale parassitario e della rendita sulla metropoli si presenta come il dominio totale: territoriale, sociale, lavorativo, culturale, politico. E pertanto si è dotato, nel tempo e sempre più incisivamente di un nuovo apparato tecnico-burocratico-amministrativo-poliziesco, in Regione Comune Questura Prefettura e di un arsenale di leggi e regolamenti, che servono da un lato a spianare la via al libero investimento finanziario-immobiliare, dall’altro a prevenire i conflitti sociali (abitativi, ambientali, di uso del territorio ecc.) prodotti da tale assoluta verità.

Per togliere di mezzo qualsiasi equivoco, va chiarito che questo arsenale legislativo ha fatti tabula rasa, sul terreno urbanistico e sul terreno dell’edilizia residenziale pubblica, di tutti i principi giuridici progressisti, elaborati nella fase di crescita dell’accumulazione del capitale, trainata dall’industria. Nell’epoca del capitale parassitario, svanisce la nozione di bene pubblico, che non viene più considerato nella sua funzione e destinazione  materiale, bensì solo per la sua stima di valore in danaro, base per la sua vendite e trasformazione in proprietà, fonte di rendita e plusvalore per il capitale parassitario che se ne appropriare, col pretesto della riduzione pubblico. Quindi, con questo pretesto, oggi di tutto si fa mercato.

Del pari il diritto all’abitazione, che pur non avendo rango costituzione aveva ispirato il sistema dell’edilizia residenziale pubblica, non ha più ragione di esistere se non come diritto ad abitare una casa di cui si è proprietari o di pagare un affitto di mercato a chi (ente pubblico o privato locatore) ne è proprietario. In altri termini, nulla si può avere fuori dal mercato fuori dal mercato immobiliare e chi st fuori dal mercato può crepare.

Giungiamo così alla conclusione che la lotta al dominio del blocco di potere parassitario-finanziario-immobiliare ha senso solo se poggia sul proletariato e sulle masse popolari e ne rappresenta gli interessi economici e politici, in modo autonomo dagli interessi della moderna piccola e media borghesia metropolitana che in gran parte dipende dal capitale parassitario e dallo sviluppo delle sue iniziative favorevoli.

 

[1] Lupi, metterà a frutto l’esperienza iniziata a Milano varando a Milano il suo Piano Casa in qualità di ministro dei lavori pubblici.

 

[2] Un esempio di propaganda: “A Cascina Merlata sorgerà “Uptown, il nuovo ‘quartiere’ di lusso di Milano, (…) interamente geotermico e teleriscaldata. Il primo in Italia totalmente a impatto zero, con edifici in classe A e zero emissioni. Il tutto, naturalmente, senza perdere di vista la bellezza”, una cittadella di 12 mila abitanti comprensiva di “Uptown park” un parco verde urbano di 250 mila metri quadri attrezzati, di “Uptown school”, un plesso che va dalla materna alla media, e di “Merlata Mall”, il centro commerciale di Milano” (MilanoToday, 1° giugno 2016).  

 

[3] Sotto la Giunta Moratti, Comune e Ferrovie dello Stato proseguono le trattative per il riutilizzo degli scali: nel 2007 si insedia una segreteria tecnica, nell’aprile 2008, viene effettuata la Valutazione Ambientale Strategica pubblicata nel dicembre 2998. Viene delineato un nuovo quadro programmatico che disciplina gli scali come ATU (Ambiti di Trasformazione Urbana). Il Comune concede un’elevata potenzialità edificatoria, pari a o,65 mq per ogni mq di superfice, addirittura aumentata a 1 mq per mq di superficie nel PGT approvato all’inizio del 2011.

 

[4] Il fallimento di Risanamento travolge anche il progetto di Renzo Piano per l’area ex Falck di Sesto san Giovanni.

 

[5] Ligresti aveva acquistato con Generali e Allianz l’area ex Fiera Milano, dove stava edificando Citylife (da cui era dovuto uscire cedendo la propria quota ai due soci), possedeva tutte le cascine ai confini di Milano, in particolare l’area in zona Ripamonti destinata alla costruzione del Cerba del Prof. Veronesi (che non vedrà mai alla luce). Il suo gruppo quindi avrebbe tratto enormi vantaggi dal PGT DI Masseroli.

 

[6] Il 22 marzo 2015 lo stesso Pisapia aveva annunciato la propria intenzione di non ricandidarsi per un secondo mandato nel 2016.

 

[7] L’ADP Sala lo stesso elevato indice di edificazione (0,65) concesso da Pisapia a F.S., che così ottiene la possibilità di edificare 674.000 mq di s.l.p. Di questi, solo 155.000 mq di s.l.p. Di questi, solo 155.000 mq, pari al 23% saranno dedicati a edilizia agevolata o a canone concordato, come con Pisapia, più ulteriori 47.18’ mq per abitazioni di edilizia convenzionata (7% del costruito, appartamenti da 2.700. -3.000€/mq). Muta la quota di edilizia non residenziale (uffici, servizi, commerci), che sala dal 6% al 30% della volumetria, riducendo la quota dell’edilizia residenziale libera di pregio al 40% pari a 269.600 mq. Dato che l’ADP       Sala-Maran prevede più aree a verde la volumetria costruita in altezza, con nuove torri abitative che svetteranno sulla città. In cambio, come già previsto nell’ADP De Cesaris, per soddisfare l’interesse pubblico che ha consentito di ricorrere allo strumento amministrativo dell’ADP e non a quello più complessivo della Variante al PGT, F.S. s’impegna ad investire ben 50 milioni di Euro per lo sviluppo della Circle Line, linea su ferro attorno a Milano, sfruttando i collegamenti già esistenti tra gli ex scali. L’interesse pubblico di tutta l’operazione Scali si riduce pertanto, come biblico piatto di lenticchie, ad un investimento di…50 milioni nella rete ferroviaria milanese, a fronte di un utile 20 volte superiore.

 

[8] Secondo l’urbanista Gabriele Mariani, su Arcipelago Milano del 31/05/2007 il totale degli oneri di urbanizzazione e dei costi di costruzione, progettazione, finanziari dell’intera operazione sui 7 scali ammonterebbe a 1,259 milioni di Euro, mentre i ricavi sul costruito vendibile liberamente ammonterebbe a 2,444 miliardi, con una plusvalenza di 985 milioni.

 

[9] Nel 2013 il Ministero dell’Economia ha costituito Invimit Sgr (investimenti immobiliari italiani Sgr), che così si presenta “L’obiettivo di fondo …è, operando in ottica e con logiche di mercato, di cogliere le opportunità derivanti dal generale processo di valorizzazione e dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, attraverso l’istituzione, l’organizzazione e la gestione di fondi comuni di investimento chiusi immobiliari, come previsto dagli artt. 33 e 33-bis del Decreto Legge 98/2011” intitolato Disposizione urgenti per la stabilizzazione finanziaria,, emanato dal Governo Monti. Invimit dovrebbe essere il veicolo per la vendita del demanio statale e di quello degli Enti Locali, in collaborazione con ANCI e Cassa Depositi e Prestiti.

 

[10] Azionisti fi Arexpo sono attualmente: il Ministero dell’economia, 39,28%, Regione Lombardia e Comune di Milano, ciascuno per il 21,05%; Fiera di Milano per il 16,80%, Comune di Rho per lo 0,61%. L’ex Assessore all’urbanistica De Cesaris è stata nominata nel CdA Bonomi, in rappresentanza della Regione. È da notare il fatto che il Politecnico appoggia il trasferimento delle facoltà scientifiche della Statale nell’area Expo, perché interessato ad espandersi a Città Studi.

 

[11] Contro il trasferimento delle facoltà scientifiche si stanno mobilitando comitati di residenti di Città Studi, timorosi di vedere stravolto il quartiere che è da sempre organizzato attorno alla vita universitaria e anche di perdere fonte di reddito garantite dalla presenza di studenti (locazioni, servizi, ecc.).

 

[12] Oltre ai contratti per il posto letto il successo di Expo 2015 ha messo le ali al mercato delle locazioni turistiche, tipo Air BnB, che spinge in su i canoni dei contratti di locazione ordinaria.

[13] Dopo un ventennio di aumenti dei cannoni e abbandono del patrimonio, peraltro, lo stesso concetto di edilizia residenziale pubblica, vecchio di un secolo, sta per essere sostituito dalla Regione Lombardia con quello di servizio abitativo.

 

[14] Un esempio lampante è l’articolo 5 del Decreto Lupi del 2014, che impone il ritiro delle utenze e il blocco anagrafico degli abitanti.

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Fonte foto: Startmag (da Google)

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Fonte foto: Cantiere.org (da Google)

 

 

 

 

 

 

 

1 commento per “La spirale dell’urbanistica predatoria a Milano dalla giunta Albertini a quella Sala

  1. Marco S_P
    1 gennaio 2020 at 11:34

    Povera Milano.

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