Le elezioni europee del maggio 2014 hanno rilanciato la Lega Nord, che con il 6% dei consensi ottenuti a livello nazionale conferma che la scelta di Matteo Salvini alla guida del Carroccio è stata vincente: l’uomo giusto al momento giusto. Certo, nulla di paragonabile al Front national di Marine Le Pen, che con quasi il 24,8% ha fatto tremare i palazzi di Parigi e quelli della troika, mandando a Bruxelles 25 deputati, e ha superato i gollisti dell’Ump (20,8%) e la gauche riformista, il Ps di Hollande (un misero 14%) (1).
Salvini è stato più modesto con il suo 6% (oggi però i sondaggi danno la Lega proiettata al 14-15%), ma se pensiamo al tracollo dopo l’ultradecennale gestione di Umberto Bossi, con il partito dato al 3%, risulta evidente quanto il rampante Matteo abbia salvato il Carroccio, cambiando abito e dando una verniciata di nuovo a un partito ormai imbolsito, lontano dai fasti dei primi anni Novanta e dalla fase secessionista, quando il giudice Papalia arrivò a denunciare tale progetto e le camicie verdi come lesive all’unità d’Italia. La Lega Nord – ci vuole poco, basti ricordare l’ultima gestione bossiana caratterizzata da scandali finanziari e dal malcostume – con il passare degli anni, specie con le alleanze con il centrodestra, era diventato un partito totalmente funzionale al sistema, garante della rivoluzione neoliberista apparentemente predicata solo dal centrodestra, ma concretamente perpetrata da ambo gli schieramenti in campo, quello conservatore e quello progressista, entrambi volenterosi complici dei vertici dell’Unione europea.
Il restyling leghista è avvenuto su binari ben precisi: la crisi economica nella vicina Francia stava rilanciando la Le Pen come, apparentemente, unica opposizione all’eurocrazia, e il Carroccio, archiviato il flirt con la Csu bavarese di Roberto Maroni e della sua Lega 2.0 – desideroso di diventare una forza moderata egemone al Nord da contrapporre a un Pdl rappresentante del resto d’Italia e distante dagli impresentabili lepenisti francesi – diventa improvvisamente antieuropeista (pur non essendo mai stato una forza euro-entusiasta) e filolepenista. Il tutto nel giro di poco tempo, mentre lo stesso Maroni, che ha appoggiato Salvini contro la vecchia guardia bossiana, nel 2012 risultava essere favorevole alla creazione di una Europa federale fondata su delle macroregioni, dove doveva spiccare l’Euroregione Padana-Alpina, macroregione transfrontaliera fra regioni affini dal punto di vista economico, cioè la Lombardia, il Piemonte e il Veneto, l’Austria alpina, la Francia meridionale con Rhôme Alpes, la Baviera e la Slovenia; zone dove prevalgono, sempre non casualmente, diversi populismi alpini (quelle italiane sono guidate da giunte di centro-destra con a capo la Lega Nord, la Carinzia è amministrata dal Bzö fondato da Jörg Haider, forza populista con propensioni governative), regioni dove il Pil è molto più alto che in altre zone; e ovviamente mantenendo il produttivo Nord Italia e queste regioni all’interno dell’eurozona.
Nel suo libro-manifesto del 2012, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, Maroni scrive: “Il nostro obiettivo politico [della Lega, n.d.a.] è quel lo di diventare il primo partito in tutte le regioni del Nord, sul modello della Csu bavarese, condizione indispensabile per costruire una forte Euroregione, costituzionalmente autodeterminata. Si tratta di un progetto rivoluzionario perché il Nord potrebbe anche diventare il primo tassello di quell’Europa che abbiamo in mente: l’Europa delle Regioni e dei Popoli. […] Questo assunto ci colloca a grandissima distanza dai partiti e dai movimenti neonazionalisti. Insomma, è ora di finirla con i soliti stereotipi: noi non siamo i nipotini di Le Pen” (2). La crisi economica non innescherà affatto – secondo il moderato Maroni – progetti rivoluzionari e antisistemici, perché “la possibilità di muoversi liberamente nell’Eurozona fa sì che un imprenditore non sia costretto a rimanere nel suo Paese: può chiudere il suo stabilimento nel Nord Italia e aprire in Slovenia o in Polonia”.
Solo con l’autonomia del Nord – con una Lega egemone – “quell’imprenditore che vuole chiudere a Treviso e aprire a Lubiana avrà trovato la risposta ai suoi problemi. Una Lega egemone, espressione di un blocco sociale fortemente rappresentativo del lavoro in tutte le sue componenti, può costringere Roma e Bruxelles ad avviare il processo che porta alla realizzazione della Euroregione Nord, a statuto fiscale speciale, configurabile nel sistema dei ‘tre quarti a me e un quarto allo Stato’. È con quest’ultimo quarto che Roma deve mantenere la Magna Grecia. Ecco, a Roma faccio una proposta: l’Euroregione del Nord, e in cambio riconosciamo lo status di mantenimento del Sud, che consideriamo la nostra vera controparte. Dobbiamo staccare l’assegno? Siamo pronti a farlo. Con gli stessi criteri di una coppia che divorzia, dove chi ha di più paga gli alimenti. […] La mia idea è semplice: ti mantengo, ma ci lasci il residuo fiscale, ovvero i tre quarti del gettito complessivo. All’Europa, invece, dico: l’Italia non può essere tutta nell’Europa, solo il Nord può collocarsi nell’Eurozona. La Grecia, la Magna Grecia e un pezzo della Spagna diventeranno l’area mediterranea che l’Europa, come tutti sappiamo, dovrà mantenere da qui in avanti” (3).
È il caso di dire che Maroni su una cosa ha totalmente ragione: la struttura liquida della Ue e il graduale dissolvimento dei confini interni e delle sovranità hanno senz’altro avvantaggiato sia il grande capitale finanziario che la grande industria produttiva, i quali percepivano gli Stati solo come un freno alla loro libertà di investire: la tua azienda vive dei limiti fiscali? La Ue ti permette di licenziare i tuoi dipendenti e spostare il tutto nell’Est, dove i lavoratori percepiscono paghe più basse e i diritti sindacali sono un’utopia. Il discorso maroniano è rivolto sia a questa imprenditoria che al suo ceto di riferimento, la piccola-media impresa, che ha premiato elettoralmente la Lega nel nord-est e che, a differenza degli squali dell’alta finanza, non è riuscita ad arricchirsi con la crisi ed è in via di proletarizzazione quasi come i ceti salariati. E a loro (alle ‘vittime’ della crisi in corso, siano essi salariati, cittadini indignati contro una politica fatta di privilegi per pochi, pronti a salire sulle barricate sollevando i forconi, o imprenditori e negozianti terrorizzati di chiuder bottega) è rivolto il nuovo corso leghista salviniano, che archivia ogni velleità secessionista – perché mantenere il 75% di tasse nella regione, checché ne dica Maroni, è una secessione fiscale, primo passo per quella politica – e trasforma la Lega Nord nel Front national italiano, in una fase in cui Alleanza nazionale è scomparsa e alla destra di tale soggetto non esistono che frange neofasciste velleitarie e minoritarie, mentre l’a-ideologico Movimento 5 stelle si barcamena tra grandi difficoltà con un elettorato misto, un po’ proveniente dalla sinistra, un po’ dal centro liberale e un po’ dalla destra conservatrice.
Il liberale Salvini e il nuovo corso: dalla camicia verde a quella nera
Il Carroccio inizia il suo nuovo corso spostandosi apertamente a destra in modo molto interessante, aprendo cioè il dialogo con intellettuali anticonformisti, alcuni apertamente di destra, altri addirittura della sinistra eretica.
Nel primo caso abbiamo una serie di convegni organizzati da alcuni circoli in odore di neofascismo, animati da ex militanti della destra radicale o di quella sociale alemanniano-storaciana: il circolo culturale Il Talebano, per esempio, del giovane Vincenzo Sofo (ex membro de La Destra di Francesco Storace), consigliere nella zona 6-Milano per la Lega Nord, che ha indetto nel 2013 una serie di convegni con intellettuali anticonformisti come Massimo Fini, Pietrangelo Buttafuoco e il maître à penser della nouvelle droite francese Alain de Benoist. Una serie di serate indispensabili per l’evoluzione in senso lepenista della Lega Nord, e non solo per le accese critiche – senz’altro condivisibili – che questi intellettuali fanno alla struttura finanziaria e liberista dell’Unione europea, ma anche per il programma politico, che ha incoronato Salvini segretario del Carroccio. Un’area intellettuale che descrive le origini della crisi economico-finanziaria e del turbocapitalismo con analisi simili a quelle di un economista di scuola marxista, ossia un fenomeno sconnesso dall’economia reale che va superato dando più sovranità ai popoli del continente e, come afferma Alain de Benoist, anche alle comunità locali, attaccate da una troika e da un’alta finanza interessata solo al proprio profitto e all’utilitarismo (4).
La svolta lepenista del Carroccio è avvenuta anche in nome di un pragmatismo antieuropeista, perché “se, per portare avanti certi temi a cui tengo – ha detto Salvini durante l’incontro con de Benoist – come un’idea diversa di Europa, devo ragionare con la destra, ci ragiono volentieri” (5). Non, ovviamente, con impresentabili formazioni come Jobbik e Alba dorata, ma con i neopopulismi, forze che per la maggiore hanno al loro interno quote più o meno importanti della cosiddetta fascisteria (dalla matrice di un numero consistente di quadri, all’apparato mitopoietico), ma che si rivelano presentabili e ragionevoli: il Fn di Marine Le Pen, il Fpö di Hans-Christian Strache, il Pvv di Geert Wilders, i fiamminghi del Vlaams Belang ecc.
Nel farlo, Salvini ha sposato il nazionalismo, ideologia un tempo estranea al Carroccio, permettendo un’espansione del partito in zone come il centro-sud, un tempo estranee al consenso. “Per la prima volta nella sua storia – nota il giornalista-blogger antifascista Saverio Ferrari – la Lega ha tenuto e organizzato in una campagna elettorale iniziative nelle regioni del centro-sud. In prima fila lo stesso segretario. Anche il taglio degli slogan è mutato per indicare il nuovo corso: «Basta tasse, basta immigrati, no Euro, prima gli italiani!». La traduzione in pratica delle posizioni del Front national francese con il quale il partito di Salvini ha stretto un’alleanza in occasione del voto. Da qui il superamento del secessionismo […] che ha fortemente impattato nel mondo dell’estrema destra, che incapace di presentare proprie liste è rifluito in larga parte in quelle della Lega. È stato il caso di CasaPound, che ha sostenuto apertamente nel centro Italia la candidatura di Mario Borghezio, poi eletto con poco più di cinquemila preferenze” (6).
Se si esclude l’ovvio – è risaputo che il leghista Borghezio è stato un quadro ordinovista, una colonna del mensile antimondialista della destra radicale Orion, diretto da Maurizio Murelli, interessato, dal 1987 al 1992, al regionalismo leghista (la cui rivista è stata l’incubatrice dei fascisti del III millennio con le sue iniziative culturali, si vedano le Università d’estate di Sinergie europee) e, cosa non meno importante, sorta di plenipotenziario sin da tempi di Bossi per i contatti con l’estrema destra europea (7) – è chiaro che la rivoluzione salviniana ha riempito un vuoto lasciato da An, da sempre, grazie alla destra sociale, capace di aggregare attorno a sé tutto quello che stava alla sua destra. Ora, invece, cavalcando gli squilibri creati dalle politiche neoliberiste della Ue, Salvini – nominalmente nemico di tale sistema – diviene il nuovo referente di tale area politica, alla perenne ricerca di punti di riferimento.
Non casualmente cambiano anche i referenti a livello geopolitico: se la vecchia Lega si era schierata – come la sinistra radicale, Fiamma tricolore, il Grece di de Benoist e gli antimondialisti di Sinergie europee – contro la guerra alla Serbia di Slobodan Milosevic (8), ora che a far da contraltare agli Stati Uniti, al loro desiderio unipolare di dominare le sorti del globo e alla loro way of life neoliberista c’è il presidente Vladimir Putin – amato e osannato dalle destre radicali e dalla nouvelle droite per la presenza nell’entourage presidenziale del professor Aleksandr Dugin, filosofo nazionalbolscevico e teorico indiscusso dell’Impero Eurasiatico e punto di riferimento per tutti i fautori dell’Eurasia, un grande blocco geopolitico unito da Dublino a Vladivostok e alleato con i Paesi del Brics e quelli antiamericani – il cuore della Lega batte per lui e per la Russia; al punto di arrivare a invitare delegati del partito putiniano al Congresso leghista e a Mosca tramite l’Associazione culturale Lombardia-Russia, diretta dal giornalista leghista Gianluca Savoini (orionista della prima ora e vicinissimo a Murelli fin dagli anni Ottanta) e dall’ex giornalista di TelePadania Max Ferrari (ex Guardia padana, che nei primi anni Novanta, con lo scoppio della guerra in Jugoslavia, ha compiuto insieme a giovani leghisti varesini e piemontesi – come l’on. Guido Rossi, ex membro del Circolo culturale Barbarossa, animato nel 1979 da Murelli a Saluzzo e frequentato da Borghezio – diverse spedizioni in Croazia e nei Balcani per prestare aiuto alle popolazioni locali).
Questo circolo – ve ne sono di identici nel Front e negli altri partiti neopopulisti – in prima linea nell’intessere i legami diplomatici fra via Bellerio e il Cremlino, ha patrocinato un incontro tenutosi nel capoluogo lombardo alla presenza di Aleksandr Dugin il 4 luglio 2014, dal tema: “La sfida eurasiatica della Russia”. Ma che c’entra Salvini, i legami con il neofascismo e il liberalismo tanto sbandierato?
La rivoluzione liberale del gobettiano Salvini
Nel novembre 2014 il presenzialista lepenista Matteo Salvini, a zonzo per l’etere da un talk show all’altro o inviando valanghe di post provocatori su Twitter e Facebook, è balzato agli onori della cronaca politica – che tra l’altro non lo ha mollato un secondo da quando è diventato segretario – grazie al suo nuovo progetto che sembra antitetico a quello movimentista filolepenista: la ‘rivoluzione liberale’, un vecchio cavallo di battaglia del centro-destra dal 1994 e, secondo loro, mai realizzato. Uno dei fautori di tale svolta, Igor Iezzi, coordinatore provinciale di Milano per la Lega Nord, già nell’ottobre 2013 affermava: “Non ce li vedo Maurizio Lupi e Angelino Alfano a fare la rivoluzione liberale”. “Berlusconi – proseguiva l’esponente leghista – ci ha provato agli inizi della sua avventura politica, derubando la Lega di molte istanze liberali, ma poi si è arenato con alleati che a seconda della latitudine assumevano posizioni più o meno stataliste. […] Dobbiamo rilanciare i temi del meno Stato e più Società che la Lega degli inizi aveva trasformato nel suo principale cavallo di battaglia e in questo modo sono certo che riconquisteremo molti dei voti finiti al Popolo della Libertà/Forza Italia. Torneranno a casa, ecco, qui nel Carroccio” (9).
Ed ecco tornare gli anni Novanta, in cui dirigenti e militanti attingevano al pensiero liberale mentre alcuni quadri locali, quelli provenienti dalla destra radicale e identitaria, facevano convegni nel varesotto o in Veneto con il filosofo della nouvelle droite Alain de Benoist, o si facevano ospitare sulle pagine di Diorama letterario, organo della nuova destra italiana di Marco Tarchi, anch’egli interessato al neonato progetto federalista della Lega (10).
Insomma, identitarismo etnocentrico unito a un po’ di sano neoliberismo, il tutto equilibratamente bilanciato e corretto dalla sempre eterna ‘preferenza nazionale’, ripresa nei programmi sull’immigrazione delle destre populiste europee, che non mette in discussione il sistema economico e le privatizzazioni ma pone paletti identitari per l’accesso al welfare e ai servizi pubblici, il classico Prima i nostri!, formula adottata dal Front national di Jean-Marie Le Pen dal 1985 ed elaborata da Yvan Blot e Jean-Yves Le Gallou, ex quadri intellettuale del Grece di Alain de Benoist animatori nel 1979 del Club de l’Horloge, circolo politico-culturale nato in seno alla nouvelle droite, economicamente reaganiano, atlantista e al servizio diretto delle destre tutte, quelle liberalconservatrici, quelle golliste e quelle nazionalpopuliste, per costruire una droite plurelle e unitaria – a differenza della casa madre grecista, favorevole alla sussidiarietà, critica verso l’americanismo e l’approccio politico diretto (11).
Dunque, se ‘liberale’ per Berlusconi & Co. (ma pure per gli avversari definiti ‘comunisti’ dalla propaganda berlusconiana, ieri fautori delle prime leggi sulla precarietà e oggi del Jobs Act, elogiato da Bce, Fmi e Moody’s) è sinonimo di ‘deregolamentazione’, per la Lega Nord e forze populiste affini significa usare quanto risulta più comodo della globalizzazione neoliberista, diventando poi antimondialisti e patriottici (localmente o a livello nazionale) quando le contraddizioni sono evidenti, il proprio elettorato se ne accorge o ne diviene vittima.
Ma la rivoluzione liberale salviniana è oggi soprattutto contro Renzi, contro i lacci di Bruxelles per ottenere un’egemonia all’interno del centro-destra, ora che è in cerca di nuova leadership. Nel novembre 2014, in un’intervista a Massimiliano Mingoia, Salvini sostiene che tale rivoluzione “parte da un programma. Il 13 dicembre a Milano presenteremo la nostra proposta di rivoluzione fiscale. Dagli Stati Uniti arriverà il professor Alvin Rabushka, uno degli ideatore della flat tax. L’obiettivo è un dimezzamento delle tasse con un progetto serio”, e afferma che la vera rivoluzione liberale proposta da Berlusconi nel 1994 potrà esser fatta oggi con lui, dato che “ci sono tutte le condizioni per farla. Siamo in una situazione di emergenza che vent’anni fa non c’era. Adesso siamo con l’acqua alla gola, bisogna cambiare il sistema fiscale italiano. Con lo 0,1 in meno non si risolve nulla”. E ancora, dopo i viaggi in Paesi antiamericani come la Russia di Putin e la Corea del Nord, il leader leghista afferma: “Mi piacerebbe andare negli Stati Uniti, a Washington, ma non per incontrare i democratici, ma i repubblicani, che spero vincano le elezioni di Midterm. Finalmente il bluff di Obama sta per essere svelato. Mi sembra una parabola simile a quella di Renzi. Tante promesse e una fine ingloriosa” (12).
Un percorso che, non a caso, ricorda quello di Marine Le Pen, anch’essa filoputiniana, antieuropeista, favorevole a svolte sociali e sostenuta da numerosi quadri dell’estrema destra antimondialista e anticapitalista, che nel 2011, dopo essere stata eletta presidente del Front national, è “volata a New York […] e ha incontrato per venti minuti l’ambasciatore d’Israele all’Onu, Ron Prosor. E il quotidiano Haaretz le concede una possibilità, purché la condanna dell’anti-semitismo sia «chiara e forte». A Palm Beach, Marine ha cenato con duecento repubblicani del Tea Party da Bill Diamond, finanziatore ebreo di Rudolph Giuliani. E per un soffio non è stata accolta da vip al Museo della Shoah a Washington. Che il secondo turno sia dietro l’angolo?” (13).
1) Cfr. Il Front national in Francia: la cavalcata di Marine Le Pen, Matteo Luca Andriola, Paginauno n. 38/2014
2) R. Maroni, Il mio Nord. Il sogno dei nuovi barbari, con C. Brambilla, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 3, 4
3) Ibidem, p. 20, 21
4) Cfr. Alain de Benoist e Matteo Salvini: una Lega Nord “al di là della destra e della sinistra”, Matteo Luca Andriola, Paginauno n. 36/2014
5) Salvini si prepara a guidare la lega: “Alleanze con la destra estrema? Ci ragiono volentieri”, il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2013
6) S. Ferrari, Lega Nord, l’estrema destra ora parla «padano», Il Manifesto, 4 settembre2014
7) “Io, in semilibertà, mi ero stabilito a Saluzzo. Là avevo fondato Orion, punto di ritrovo di tante persone di destra. […] Borghezio era un giovane avvocato con origini di estrema destra, aveva il pallino del complotto giudaico-massonico. […] Poi, purtroppo, sono stato io a consigliargli di entrare in Lega. Quel movimento era agli albori. Qualcuno di noi lo considerava una pagliacciata. Altri no. Io ho detto a Mario: prova a entrare, mi pare che in Lega si stia concentrando il discorso delle tradizioni, dell’identità… È entrato, fine anni Ottanta. Dopo un po’ l’ho perso di vista. E me lo ritrovo capovolto. […] Non avrei mai pensato che arrivasse a quest’odio per l’Islam, a questa difesa delle radici cristiane. È inspiegabile, è un non-senso. […] Perché le radici che consideravamo, allora, erano semmai pagane. […] E comunque l’islamismo è rispettatissimo”. M. Murelli, dichiarazione rilasciata a M. Sartori, in Borghezio: Fascio, Lega e Bastone. Ora è il campione della lotta all’Islam ma un tempo gridava al complotto giudaico-massonico, l’Unità, 23 ottobre 2002
8) L’avvocato milanese Stefano Vaj, ex esponente della nuovelle droite e ora membro dell’associazione filoleghista Terra Insubre, nota che “potrebbe perciò piacevolmente sorprendere l’assoluta unanimità con cui praticamente tutte le forze al di fuori dalla più immediata area culturale occidentalista e mondialista – da Rifondazione comunista al Front national, dalla Lega Nord a Sinergie europee al Grece alla Fiamma tricolore – hanno mostrato di percepire immediatamente strumentalità e reale significato dell’attacco degli Usa alla Serbia di Slobodan Milosevic”. S. Vaj, Processo alla Serbia, L’Uomo libero, n. 54, ottobre 2002. Sull’organo leghista furono ospitati interventi di Alain de Benoist e Guillaume Faye, anch’egli noto esponente del Grece e amico di Vaj. Cfr. A. de Benoist, Kosovo e Kurdistan, due pesi e due misure, La Padania, 2 aprile 1999; Id., Si è aperto il vaso di Pandora, ivi, 6 aprile 1999; G. Faye, I governi europei battano un colpo, ivi, 19 aprile 1999
(9) M. Brusini, Il futuro della Lega si chiama rivoluzione liberale, L’Intraprendente, ottobre 2013
10) I contatti fra nuova destra e il leghismo iniziano nel 1992/93 con la nascita del sistema Maastricht. Nel settembre 1993 esce un numero monografico di Diorama letterario (n. 171) intitolato “L’ipotesi federalista, una prospettiva per l’Europa dei popoli”, con contributi di Irene Pivetti e Gianfranco Miglio; segue, l’11 dicembre 1993, un dibattito organizzato a Gorizia dalla locale giunta regionale della Lega, intitolato “Dopo Maastricht, quale Europa? Prospettive e scenari per l’unità europea”, con Alain de Benoist. Cfr. E. D’Erme, Un federalismo imperiale. Lega e Nuova Destra si sono incontrate a Gorizia. Stesse parole, nemici e proposte. Invitato d’eccezione, il filosofo francese Alain de Benoist, Il manifesto, 15 dicembre 1993
11) Cfr. J.-Y. Le Gallou, La Préference nationale: réponse à l’immigration, A. Michel, 1985. Mentre il Grece afferma che l’economia “non è un fine, ma uno strumento al servizio della politica. Per questo è necessaria una direzione politica dell’economia che permetta l’emergere di un civismo economico superiore agli interessi e ai profitti del mercato, i quali non fanno necessariamente gli interessi della patria” (Ch. Champetier, Europe trosième Rome, Grece, 1988), ed è quindi favorevole alla sussidiarietà e a forme di neocorporativismo, i ‘dissidenti’ del CdH ritengono che la promozione di un welfare state creerebbe omologazione, livellamento ed egualitarismo forzato, e sono per un “liberalismo al servizio dei popoli”: “L’identità va di pari passo, in Occidente, con la libertà. […] Essere libero significa affermare la propria identità, ciò vale sia per il singolo individuo che per il gruppo” (Lettre d’information du Club de l’Horloge, n. 39/1988). Sulla sussidiarietà e sul suo legame intrinseco con il neoliberismo, cfr. Giovanna Cracco, Il welfare ai tempi della sussidiarietà neoliberista: privato e clericale, Paginauno, n. 30/2013
12) M. Mingoia, L’intervista Salvini: “Sarò meglio di Berlusconi. Farò la vera rivoluzione liberale”, QN Quotidiano nazionale, 3 novembre 2014
13) M. Ventura, Francia: sfida a destra al primo turno, Panorama, 6 dicembre 2011
Fonte: http://www.rivistapaginauno.it/nuova-destra-lega-nord-%20salvini.php