Bestiario dei luoghi comuni su autoritarismo, guerra e ritorno al fascismo


Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Manca una sorta di Bestiario dei luoghi comuni a giustificazione dell’ennesima aggressione militare di Israele fino alle continue giravolte del giornalismo italiano che rifiuta, anche a sinistra, di parlare espressamente di genocidio per descrivere quanto sta avvenendo in Palestina con oltre 60 mila civili uccisi, un terzo dei quali bambini\e.

Molti continuano a chiedersi se non siano proprio i due stati la soluzione del problema ma gli ultimi 30 anni dimostrano che questa ipotesi, già allora alquanto remota e con una ipotetica distribuzione delle aree geografiche che sarebbe stato a danno esclusivo dei palestinesi, è naufragata per reiterata volontà israeliana e sionista.

Senza girarci attorno Israele è uno stato di guerra che dalla sua nascita ha aggredito innumerevoli paesi, assai più di quelli da cui ha subito attacchi.

E una potenza militare cullata dall’Occidente e beneficiaria di intensi e proficui scambi commerciali in campo militare conferma che anche uno Stato costruito a tavolino con la violenza della diplomazia, delle armi e dell’economia, con il supporto ideologico e non del colonialismo da insediamento, possa esistere e prosperare.

Intanto noi occidentali ci sentiamo, con la solita spocchia, eredi non solo dell’Illuminismo e della Rivoluzione del 1789 ma anche di una visione occidentale-centrica e quindi pensiamo di poter impartire ogni genere di lezione al mondo dall’alto della nostra civiltà che ha tuttavia innumerevoli macchie, ad esempio il nazifascismo. E si finisce con impartire lezioni anche a popoli che subiscono immani stragi quasi a consigliare loro quali azioni intraprendere per salvarsi, noi seduti al tavolino di un bar e loro sotto le bombe.

Esiste uno stretto rapporto tra crisi economica e svolta autoritaria, chi pensa al ritorno del fascismo in camicia nera vive in un mondo astratto,  il fascismo non si ripresenta con le medesime forme storiche e iconografiche, non siamo davanti a una teoria di sovvertimento dell’ordine liberale; semmai l’ascesa al potere avviene tramite elezioni democratiche (con i votanti ridotti alla metà degli aventi diritto), depura mediaticamente l’immagine dei vincitori per scongiurare ogni associazione con idee estremiste, si costruiscono ideologie razziste ed eliminando i diritti sociali vengono eretti continui steccati.

Quelli che erano i riferimenti ideologici di un tempo sono rivisitati sullo sfondo dell’ideologia nazionalista e reazionaria. del richiamo costante ai valori della patria, con i programmi di storia ed educazione civica nelle scuole pensati per distruggere ogni forma critica e aperta del sapere incutendo quel rispetto verso il potere che alla occorrenza diventa impunità e libero arbitrio dei dominanti. E la storia da studiare, l’unica che conta per capirci, è quella dell’Occidente o dell’antichità spazzando via il colonialismo.

Il potenziale fascista dei nostri giorni non è un soggetto asociale o degenerato, in teoria non è incline alla violenza che viene invece demandata agli apparati repressivi statali per dotarli di poteri maggiori e di impunità. Ma il dna resta sempre lo stesso, ogni disagio sociale diventa una minaccia all’ordine costituito e da qui le continue derive securitarie per tutelare i valori assoluti come la difesa della proprietà privata e della liberà di impresa, alla fine sono pronti a rinunciare ad ogni invettiva contro le plutarchie finanziarie sapendo che devono mettersi al loro fedele servizio.

Senza scomodare i vecchi scritti di Bloch sulla Germania prenazista, abbiamo dei lavoratori risentiti, incattivi e sfruttati, preoccupati di perdere quel poco che hanno e vittime di una narrazione ingannevole con un richiamo ad una società semplice, rurale e romantica mai esistita nella storia.

E alcuni tratti di ritorno ad un passato edulcorato sono parti essenziali del messaggio di Trump agli elettori Usa, a quella classe operaia bianca che si crede vittima della globalizzazione (alimentata proprio da chi hanno votato), dell’immigrazione, delle delocalizzazioni produttive fino a considerare la cultura green come espressione del male assoluto, l’esperienza razzializzata della classe con uno stretto legame tra razzismo e nazionalismo.

Utilizzare la categoria onnicomprensiva di fascismo è da sempre storicamente pericoloso perché la memoria di un ipotetico lettore va subito al fascismo storico.

Ricordiamo quando l’allora Ministro degli Interni Minniti (anno 2017 sotto il Governo Gentiloni), giustificava la deriva autoritaria in materia di immigrazioni parlando di un oggettivo rischio per la tenuta democratica del paese imponendo alle Ong il rispetto di una sorta di Codice di Condotta.

Non citiamo casualmente Minniti, perché è parte integrante della svolta autoritaria di quanto restava della sinistra cosiddetta liberal, e oggi convertita alle ragioni del Riamo, da allora cambia l’approccio ai salvataggi in mare e le rappresentazioni razzializzate si prestano a costruire l’immagine rassicurante di uno Stato protettore dei cittadini da minacce esterne (pensate alle condizioni in cui arrivano i migranti per comprendere la mostruosità di queste idee) e quindi deviare la riprovazione collettiva verso il criminale per eccellenza, lo scafista, da perseguire urbi et orbi. Ma ironia della sorte il paese da cui partono gli scafisti e nel quale la violazione dei diritti umani viene ampiamente documentata è tra gli affidabili patner dell’Italia e i loro esponenti di punta vengono trattati con i guanti bianchi e tutti gli onori anche se inseguiti da mandati di cattura dalla Giustizia internazionale.

Il concetto con cui fare i conti è quello della classe razzializzata, ma anche di come sia avvenuto lo sdoganamento verso un bestiario di luoghi comuni elevato a pensiero critico. Oggi non desta scalpore o sdegno che tra due lavoratori che svolgono lo stesso impiego ma con due datori e contratti differenti (ad esempio un appalto ove opera la committenza e la ditta appaltatrice) possano esserci anche 400 euro di differenza pur avendo le medesime mansioni, ergo non meravigliamoci nello scoprire che a parità di titolo di studio un migrante guadagni meno di un italiano pur svolgendo lo stesso lavoro. E questa disuguaglianza viene accettata come una soluzione equa e sostanzialmente risarcitoria da quando, avendo rinunciato a cambiare il mondo, giustificano le disuguaglianze crescenti delle quali sono le prime vittime.

E con queste premesse sarà più semplice riconoscere alcuni tratti caratterizzanti la fatidica classe lavoratrice il cui cuore non batte più a sinistra e dai primi anni Novanta guarda con feroce odio dai quartieri periferici la sinistra ztl, colta, ecologista, benestante e antirazzista.

Ma non è contrapponendo i diritti sociali a quelli civili che si riconquistano simpatie e consensi negli strati popolari e ancora una volta sia da esempio lo scenario statunitense ove la difesa di ufficio della classe operaia può diventare strumento non di emancipazione ma di divisione sociale; oggi la classe operaia bianca vittima di decenni di delocalizzazioni produttive assume connotati marcatamente razzisti e xenofobi

Sono assai lontani i tempi nei quali Lenin accusava l’imperialismo e l’aristocrazia del lavoro o le ideologie delle classi dominanti. Forse potremmo evidenziare come non ci possa essere difesa della classe lavoratrice senza i valori e le pratiche di solidarietà attiva, senza diffondere una coscienza tra i diseredati che li renda immuni dai richiami del razzismo e di ogni becera semplificazione della realtà della quale esponenti politici con un passato nella sinistra comunista sono oggi emblema.

Solidarietà di classe e non “identitarismo”, attenzione a non restare imbrigliati nei richiami ideologici che sembrano indispensabili per serrare le file e costruire un argine rispetto alla crisi e alla nostra debolezza, quando poi nella realtà vanno a costruire pericolosi steccati, quelli cari alle destre e alle culture del razzismo 4.0.

E per chiudere il nostro ragionamento invitiamo a non sottovalutare la “securizzazione” dei confini dentro una società capitalista con l’ascensore sociale fermo dopo gli anni neoliberisti sostenuti a sinistra con il mito della globalizzazione.

Non è facile muoversi dentro contesti difficili e senza i riferimenti ideologici di un tempo ma resta indispensabile non cadere vittime di vecchi schematismi o dicotomie quali razzismo e antirazzismo, classe operaia progressista e padroni reazionari, sinistra liberale e democratica contro destra reazionaria e xenofoba. Il mondo è decisamente più articolato e complesso e non comprenderlo nuoce ad ogni istanza di cambiamento reale.

Fonte foto: Calabria USB (da Google)

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