Biden, un’autocritica?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo del nostro amico, compagno e collaboratore, Alberto Benzoni, pur non condividendolo.

Benzoni, coerentemente con la sua posizione politica e ideologica, sceglie pragmaticamente quello che potrebbe essere il candidato che potrebbe realisticamente battere Trump alle prossime elezioni.  Si tratta di una visione delle cose in base alla quale esiste il meno peggio (in questo caso, Biden) da contrapporre al peggio, cioè Trump. E’ una concezione che può essere applicata ovunque, anche in Italia, ovviamente, e che (lo)porta inevitabilmente ad appoggiare il PD (e le sardine) contro la Lega.

Noi non la vediamo nella stessa maniera. Pensiamo che il peggio sia da una parte così come dall’altra, in egual misura. Soprattutto in un paese, come gli USA, dove qualsiasi presidente venisse eletto sarebbe comunque prigioniero del cosiddetto “deep state”, cioè di quei gruppi e di quelle strutture – grandi gruppi capitalisti, lobby finanziarie, banche, multinazionali, apparato militare-industriale, CIA, FBI (spesso in competizione fra loro) – che da sempre gestiscono il potere in America.

Se fossimo negli Stati Uniti avremmo sostenuto Sanders, non senza evidenziare – cosa che abbiamo fatto – le sue contraddizioni. Tuttavia, come abbiamo più volte spiegato, siamo negli USA, e un candidato come Bernie Sanders è ciò che di più avanzato, da un punto di vista socialista e di classe, possa esserci.

L’Interferenza è un giornale che vuole promuovere dibattito politico a tutto campo e, naturalmente, ci fa piacere pubblicare anche articoli e contributi che non condividiamo o solo in parte.

Prossimamente – nel merito delle elezioni in USA – ospiteremo altri articoli su posizioni diametralmente opposte a quelle di Alberto Benzoni, in particolare di alcuni gruppi radicali, seppure molto minoritari, come è normale che sia, della sinistra marxista americana.

(Fabrizio Marchi)

 

Per mesi, il sottoscritto ha sostenuto, di fronte ai pazienti lettori di Alganews, la tesi che la linea dei maggiorenti democratici a favore di Biden era sbagliata e perdente ( a partire dal can can dell’impeachment)). E che avrebbe sortito l’effetto contrario; l’avanzata irresistibile di Sanders nelle primarie. Ma questa avanzata è stata fermata sulla linea del Piave. E si annuncia come imminente Vittorio Veneto.

A mia parziale discolpa: i dati dei sondaggi ( Sanders vincente al primo turno, secondo il 45% dei sondati), l’esito negativo, per il Nostro, dei primi appuntamenti elettorali e politici; e, infine, il vero e proprio panico che, secondo le testimonianze dei giornali, avrebbe colto i suoi sostenitori di fronte ai successi del suo avversario. Il tutto avvalorato dal fatto che, in varie situazioni più o meno simili a questa-  Clinton contro lo stesso Trump, sinistra italiana contro Berlusconi/Salvini, Gantz contro Netanyahu- la moderazione dell’oppositore non aveva affatto portato alla sconfitta dell’estremista.

Resta il fatto che mi sono sbagliato. In che cosa e perché ?

Penso che l’errore principale, magari per contrastare il disfattismo dominante a sinistra, almeno qui da noi, sia stato quello di lasciare che l’ottimismo della volontà facesse premio su quello dell’intelligenza, sopravvalutando la capacità politica dei radicali e sottostimando quella dei moderati

Questi ultimi hanno capito che proprio la presenza ingombrante di un conservatore vero- leggi Bloomberg- avrebbe di riflesso valorizzato la “diversità popolare”di Biden autorizzando quindi l’aperto sostegno dell’establishment alla sua candidatura. E hanno nel contempo fatto sparire improvvisamente della scena Buttigigieg e la senatrice del Minnesota, passati in un battibaleno dalla contestazione, talora aspra nei confronti di Biden al sostegno senza se e senza ma alla sua candidatura. Nel contempo Sanders e la Warren andavano avanti ognuno per la sua strada, battibeccando di tanto in tanto sul carattere più o meno anticapitalistico de loro programma ( un tema di attualità dirimente nei dibattiti della Fondazione Basso ma un po’ meno per il pubblico americano).

A coronare il tutto, l’esaltazione e l’uso politico della vittoria di Biden nella Carolina del Sud. Subito utilizzata a dimostrare una cosa anzi due: che agli americani non interessava votare per il candidato dei loro sogni ma  per quello più in grado di battere Trump; e che Biden era l’unico adatto alla bisogna.

Considerazione che è stata decisiva nel determinare la scelta di quasi la metà dei votanti, maturata, non a caso, negli ultimi giorni della campagna elettorale. Un orientamento che ha bloccato la marcia di Sanders. Ma per lasciare una situazione bloccata e ancora aperta verso qualsiasi sbocco. E segnata da una frattura aperta che, se non composta, rischia di danneggiare fortemente il candidato che uscirà dalla Convention di Milwaukee.

A questo punto la mia autocritica si ferma. Per aprire la strada ad una più approfondita e spero comune riflessione.

Avevo, avevamo forse sopravvalutato i processi in atto nel paese e nello stesso partito. Fino a pensare che la percezione collettiva  dei disastri, degli arbitri e delle ingiustizie sistemiche vissute sotto l’amministrazione Trump fosse ormai giunta ad un livello tale da determinarne la contestazione generale.

Mentre non siamo ancora arrivati a questo punto. Mentre, per altro verso, l’avversione per Trump era, questa sì, cresciuta in modo esponenziale, al punto di premiare la persona che ne rappresentasse, anche solo personalmente, l’antitesi.

Ora, se le cose stessero così, Biden sarebbe veramente il candidato ideale Ma non per la sua moderazione. O, già che ci siamo, per la sua intelligenza politica ( di regola, qualsiasi vicepresidente è tenuto ad essere, in maggiore o minor misura, più stupido del presidente; l’attuale titolare lo è in modo esagerato, Biden si è mantenuto nella media). Ma per le sue qualità umane: simpatico ma anche empatico, cordiale e a suo agio in ogni ambiente, attento alle sofferenze individuali e collettive e generoso nel venirgli incontro, sempre disposto ad ascoltare gli altri, al lavoro di squadra e al riconoscimento dei propri errori e, ebbene sì, con il senso naturale del bene e del male.

Ora, si dà però il fatto  che  questi requisiti, più che sufficienti per vincere e governare in tempi normali, appaiano invece, in questa vera e propria era dei torbidi ,inadeguati al raggiungimento sia del primo che del secondo obbiettivo.

E potrebbe anche essere che, nel corso dei prossimi mesi, la crisi del “modello trumpiano” giunga a livelli tali da costringere il popolo americano in generale e i democratici in particolare, così come avvenne agli inizi degli anni trenta, a pensarne uno nuovo ( e magari a un nuovo ruolo degli Stati uniti nel mondo ) ; o comunque a lottare in suo nome nella prossima campagna presidenziale, magari con un ticket e un progrmma concordato.

Sarà, magari una scommessa un tantino azzardata. Ma è anche una scommessa ragionevole; perché l’alternativa sarebbe il suicidio.

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Fonte foto: Wikipedia (da Google)

 

 

 

 

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