Cento anni ci separano dalla morte di Lenin, in un arco temporale così ampio nel quale la trasformazione sembra la cifra del nostro tempo. I processi trasformativi sono governati da leggi che bisogna decriptare, in modo da storicizzare ciò che appare “l’assoluto in Terra”. Lenin può essere un punto di riferimento dialettico per pensare “il tempo nuovo della Rivoluzione”. Il capitalismo nella sua fase imperiale occupa lo spazio e il tempo per neutralizzare ogni prospettiva storica altra. La logica competitiva-imperiale è nel quotidiano e si estende anche nelle attività divergenti. Il tempo libero è in continuità con la logica competitiva, la coscienza infelice motore della storia è anestetizzato dall’anglosfera. Le tossine del capitale sono tentacolari e hanno l’effetto di neutralizzare l’immaginazione concettuale con cui pensare l’alternativa. Occupare lo spazio-tempo in senso assoluto conduce a un pessimismo depressivo generalizzato, in quanto il presente all’ombra del capitale “sembra tutto”, non c’è scampo a esso. Il capitalismo è percepito come “totalità/gabbia d’acciaio senza alternativa” alla quale non si può sfuggire. Il centenario di Lenin avviene in un clima storico senza speranza. La possibilità di confrontarsi con un rivoluzionario che “ce l’ha fatta”, è motivo per comprendere l’importanza dell’evento e riattivare la dimensione della speranza.
Il capitalismo esalta gli organici al sistema e i disperati che si adattano rabbiosi e reificati. Lenin ci dimostra con la sua storia individuale inscindibile dalla storia del partito comunista, che la storia non è mai conclusa. Il rivoluzionario di ogni epoca deve cogliere le occasioni della storia che improvvise possono materializzarsi per trasformarle in azione. Lenin dunque dimostra che la prassi bisogna prepararla e agguantarla nel contempo.
Ora che l’Unione Sovietica è caduta, il suo fondatore continua a parlarci attraverso le sue voluminose opere ignorate dal sistema capitale. Riaccostarci alle sue opere ci permette di cogliere il nucleo veritativo e attuale delle sue analisi sul capitalismo da utilizzare per decodificare il nostro presente. L’Imperialismo come fase suprema del Capitalismo di Lenin saggio pubblicato nel 1917, oggi è più attuale che mai. Lenin ci offre la categoria principe con cui comprendere la ragione strutturale della devastazione antropologica e ambientale in cui siamo. Le guerre sono il risultato della guerra tra i monopoli economici. La concorrenza divenuta perversa pratica di assimilazione e controllo di porzioni sempre più grandi di mercato spiega il proliferare metastatico delle guerre della contemporaneità. Lenin individuò nella concentrazione monopolistica il salto di qualità del capitalismo che avrebbe usato la guerra per cannibalizzare risorse e nazioni in nome della lotta tra monopoli. Gli Stati sono solo strumenti degli stessi che con le loro immense risorse finanziarie possono comprare politici e maggioranze. I monopoli utilizzano intelligenze e forza lavorativa che viene socializzata, mentre i guadagni e la proprietà restano privati. La contraddizione analizzata da Lenin è ancora tra di noi:
“La concorrenza si trasforma in monopolio. Ne risulta un immenso processo di socializzazione della produzione. In particolare si socializza il processo dei miglioramenti e delle invenzioni tecniche. Ciò è già qualche cosa di ben diverso dall’antica libera concorrenza tra imprenditori dispersi e sconosciuti l’uno all’altro, che producevano per lo smercio su mercati ignoti. La concentrazione ha fatto progressi tali, che ormai si può fare un calcolo approssimativo di quasi tutte le fonti di materie prime (per esempio i minerali di ferro) di un dato paese, anzi, come vedremo, di una serie di paesi e perfino di tutto il mondo. E non solo si procede a un tale calcolo, ma le miniere, i territori produttori vengono accaparrati da colossali consorzi monopolistici. Si calcola approssimativamente la capacità del mercato che viene “ripartito” tra i consorzi in base ad accordi. Si monopolizza la mano d’opera qualificata, si accaparrano i migliori tecnici, si mettono le mani sui mezzi di comunicazione e di trasporto: le ferrovie in America, le società di navigazione in America e in Europa. Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa. E’ socializzata la produzione, ma l’appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone. Rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza formalmente riconosciuta, ma l’oppressione dei pochi monopolisti sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più sensibile, più insopportabile1”.
“Libera concorrenza”
Il mercato è dominato dai monopoli, questi ultimi sono la logica intrinseca del capitalismo nella sua fase imperiale. Per sopravvivere nel mercato non vi è che il “monopolio”, il quale è operativo non solo dove ci sono le materie prime. La retorica della libera concorrenza e della libertà d’impresa si mostra nella sua verità. I luoghi della formazione, oggi, sono le sedi dove si salmodia sulla libera concorrenza e sul merito, si tratta di una prassi ideologica con cui si cela alle nuove generazioni la verità sul mercato. I giochi sono già fatti, pertanto entreranno nel mercato già da sussunti. Lenin è rimosso dai piani di studio, perché svela il capitalismo con i suoi inganni.
Il capitalismo nella sua fase imperiale diviene oligarchico ed elitario. Un pugno di uomini e di monopoli controllano il mercato e gli Stati. Elon Musk, eroe della contemporaneità, con Starlink ha il monopolio della rete dallo spazio. Bill Gates, altro mito della ricchezza senza limiti, è stato ricevuto dal Presidente Mattarella come fosse un capo di Stato. La fase imperiale è pienamente realizzata:
“Vogliamo ancora recare un esempio dello spadroneggiare dei cartelli. Là dove si possono metter le mani su tutte o sulle principali sorgenti di materie prime, i monopoli nascono e si formano con particolare facilità. Tuttavia sarebbe erroneo credere che i monopoli non sorgano anche in altri rami industriali, dove sia impossibile impossessarsi delle fonti delle materie prime2”.
Le logiche dei monopoli/cartelli non sono oggetto solo di un’analisi razionale, in Lenin vi è una condanna etica dell’accaparramento delle risorse e dell’esproprio dei beni delle comunità. Condanna etica e analisi economica si rafforzano parallelamente e si integrano. Lenin denuncia i ricatti con cui i monopoli assimilano e divorano i concorrenti. La violenza è la struttura del capitale ed è la sua legge intrinseca. I concorrenti sono assorbiti nei cartelli mediante la logica della “privazione”. Li si priva del credito, delle materie prime e della mano d’opera. Lo strangolamento non può che portare i concorrenti a cedere le loro quote di mercato. Le multinazionali contemporanee non agiscono diversamente, esse si consolidano per privazione, strangolano i concorrenti, li assimilano e acquisiscono fette di mercato globale sempre più ampie:
“È sommamente istruttivo dare uno sguardo anche fuggevole all’elenco dei mezzi dell’odierna, moderna e civile “lotta per l’organizzazione” a cui ricorrono i consorzi monopolistici: 1) Privazione delle materie prime (… “uno dei più importanti metodi coercitivi per far entrare nei cartelli”); 2) Privazione della mano d’opera mediante “alleanze”(cioè accordi tra organizzazioni di capitalisti e di operai per cui questi ultimi si obbligano a lavorare soltanto per imprese cartellate); 3) Privazione dei trasporti; 4) Privazione di smercio; 5) Accaparramento dei clienti mediante clausole di esclusione; 6) Metodico abbassamento dei prezzi allo scopo di rovinare gli autonomi, le aziende cioè che non si sottomettono ai monopolisti; si gettano via dei milioni vendendo per qualche tempo al disotto del prezzo di costo (nell’industria della benzina si sono dati casi di riduzione da 40 a 22 marchi, cioè quasi della metà); 7) Privazione del credito; 8) Dichiarazione di boicottaggio3”.
Oligarchie
I monopoli sono un corpo unico con le banche. Le banche sono il sangue e l’anima del capitale. Il denaro è l’arma con cui le banche ricattano i capitalisti. Le industrie finiscono col dipendere dalle banche. Per rompere la dipendenza i monopoli e i capitalisti entrano con le azioni nelle banche in modo da poterle controllare e usare per la liquidità. Il denaro e l’accumulo di plusvalore è l’unico imperativo a cui il capitale obbedisce, come l’assoluto spinoziano è mosso da una necessità che ne determina la forma. Non ha fini, non conosce verità, ma deve esso stesso accettare la legge suprema del denaro per sopravvivere nella competizione. Il cattivo infinito del capitalismo è l’accumulo senza limite dietro il quale vi è la logica della guerra e dello sfruttamento resa ipostasi indiscutibile e dogmatica. La nuova religione del denaro che tutto può comprare ha sostituito le religioni tradizionali.
Banche e monopoli sono un corpo unico e tagliente con cui assaltare il mercato e i popoli. Siamo dinanzi a briganti e saccheggiatori seriali e oligarchici che in modo vampiresco drenano risorse e sfruttano ogni occasione per diventare potenze imperiali. La politica cade sotto il peso dei monopoli, è sussunta al dominio economico. Il capitalismo imperiale con la sua onnipotenza finanziaria non incontra alcun limite e sacrifica gli uomini sull’altare del plusvalore:
“L’ultima parola dello sviluppo del sistema bancario è sempre il monopolio. Ma precisamente nell’intimo nesso tra le banche e l’industria appare, nel modo più evidente, la nuova funzione delle banche. Quando la banca sconta le cambiali di un dato industriale, gli apre un conto corrente, ecc., queste operazioni, considerate isolatamente, non scemano in nulla l’indipendenza di quell’industriale, e la banca resta nei limiti di una modesta agenzia di mediazione. Ma non appena tali operazioni diventano frequenti e si consolidano, non appena la banca “accumula” capitali enormi, non appena la tenuta del conto corrente di un dato imprenditore mette la banca in grado di conoscere, sempre più esattamente e completamente, la situazione economica del suo cliente – e questo appunto si va verificando – allora ne risulta una sempre più completa dipendenza del capitalista industriale dalla banca. Nello stesso tempo si sviluppa, per così dire, un’unione personale della banca con le maggiori imprese industriali e commerciali, una loro fusione mediante il possesso di azioni o l’entrata dei direttori di banche nei Consigli di amministrazione (o di direzione) delle imprese industriali e commerciali e viceversa4”.
I monopoli divorano le leggi del mercato, la libera concorrenza e la possibilità generalizzata di diventare “imprenditori” è la fiaba con cui i popoli sono ingannati. La mobilità sociale è lo slogan, allora come oggi, delle democrazie liberali. Il denaro e le clientele determinano il successo. Il monopolio con l’accumulo di denaro e dominio consente di comprare la politica e di intrattenere con essa “relazioni utili e pericolose”. Le decisioni politiche sono prese fuori dai parlamenti, la corruzione è la normalità, le leggi che favoriscono taluni anziché altri sono il frutto di dinamiche extraparlamentari. La democrazia è solo uno strumento ideologico di dominio. Nel nostro tempo i conflitti d’interesse mai risolti sono rimossi dalla stampa mainstream. L’informazione è nelle mani di pochi, il nuovo clero mediatico e accademico è alle dipendenze dirette o in dirette dei potentati economici. Il libero mercato è solo spartizione feudale del pianeta, mentre il mainstream con le sue omelie “politicamente corrette” esalta la libertà garantita dal mercato, in cui fluiscono “merci e idee”:
“Il capitale finanziario ha creato l’epoca dei monopoli. Ma questi recano ovunque con sé principi monopolistici: in luogo della concorrenza sul mercato aperto, appare l’utilizzazione delle “buone relazioni” allo scopo di concludere affari redditizi. La cosa più frequente nella concessione di crediti è quella di mettere come condizione che una parte del denaro prestato debba venire impiegato nell’acquisto di prodotti del paese che concede il prestito, specialmente di materiale da guerra, navi, ecc.5”.
Guerra
La guerra è posta in atto non solo con le armi, ma anche con la penetrazione dei monopoli nelle nazioni, essi controllando le infrastrutture principali finiscono per colonizzarli. Una nazione le cui infrastrutture sono sotto il controllo di pochi privati perde l’indipendenza, l’autonomia politica e la sua identità.
Il monopolio del 5G è controllato da Huawei, Nokia, Ericsson, Cisco e Zte, tale esempio attualizza le riflessioni di Lenin: i privati che posseggono il monopolio del 5G possono controllare e spiare una nazione e le decisioni governative, si insediano stabilmente in una nazione per diventarne il governo reale che si contrappone al governo formale. Per funzionare il 5G necessita di una immensa quantità di dati con cui integrare i dispositivi digitali, pertanto il capitalismo della sorveglianza è pienamente realizzato. Le libertà definite per Costituzione sono solo forma svuotata di ogni verità e validità reale. La lotta per il monopolio del 5G è guerra per il controllo degli Stati:
“Le associazioni monopolistiche dei capitalisti loro il mercato interno e si impadroniscono della produzione del paese. Ma in regime capitalista il mercato interno è inevitabilmente connesso col mercato esterno. Da lungo tempo il capitalismo ha creato un mercato mondiale. E a misura che cresceva la esportazione de relazioni estere e coloniali e le “sfere d’influenza” delle grandi associazioni monopolistiche, “naturalmente” si procedeva sempre più verso accordi internazionali tra di esse e verso la creazione di cartelli mondiali. Questo è un nuovo gradino della concentrazione mondiale del capitale e della produzione, un gradino molto più elevato del precedente. Vogliamo ora vedere come sorge questo super monopolio. L’industria elettrica è quella che meglio di ogni altra rappresenta gli ultimi progressi compiuti dalla tecnica e dal capitalismo tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX. Essa si è sviluppata con maggior forza nei due nuovi paesi capitalistici più progrediti, gli Stati Uniti specialmente la crisi del 1900 esercitò una grande influenza sull’incremento della concentrazione in questo campo. Le banche, già abbastanza fuse con l’industria, durante questa crisi accelerarono e approfondirono in altissimo grado la rovina delle imprese relativamente piccole e l’assorbimento di esse nelle grandi aziende6”.
La guerra sul campo è finanziata e voluta dai monopoli, i quali per sostenere l’espansione industriale devono individuare i territori nei quali vi sono le materie prime. Il controllo-saccheggio dei popoli e del loro territorio non può che portare alla guerra tra monopoli-Stati. I popoli i sono “da aizzare” all’occorrenza, in modo da provocare guerre finalizzate alla conquista dei potenziali produttori di materie prime. La Prima guerra mondiale è denunciata da Lenin per tale spietata logica; la guerra in Ucraina del 2022 e l’invasione della Striscia di Gaza da parte di Israele nel 2023 sono sulla stessa linea. Le terre nere dell’Ucraina e i minerali rari del Donbass (berillio, litio, tantalio, niobio, neon, zirconio) e i giacimenti di gas scoperti nel mare prospiciente la Strisci di Gaza sono i reali motivi delle guerre in atto. I monopoli finanziano la guerra e usano gli Stati, che si lasciano comprare, per sfruttare e controllare le fonti di energia. L’analisi di Lenin è oggi più vera che mai:
“Per il capitale finanziario sono importanti non solo le sorgenti di materie prime già scoperte, ma anche quelle eventualmente ancora da scoprire, giacché ai nostri giorni la tecnica fa progressi vertiginosi, e terreni oggi inutilizzabili possono domani esser messi in valore, appena siano stati trovati nuovi metodi (e a tal fine la grande banca può allestire speciali spedizioni di ingegneri, agronomi, ecc.) e non appena siano stati impiegati più forti capitali. Lo stesso si può dire delle esplorazioni in cerca di nuove ricchezze minerarie, della scoperta di nuovi metodi di lavorazione e di utilizzazione di questa o quella materia prima, ecc. Da ciò nasce inevitabilmente la tendenza del capitale finanziario ad allargare il proprio territorio economico, e anche il proprio territorio in generale. Nello stesso modo che i trust capitalizzano la loro proprietà valutandola due o tre volte al disopra del vero, giacché fanno assegnamento sui profitti “possibili” (ma non reali) del futuro e sugli ulteriori risultati del monopolio, così il capitale finanziario, in generale, si sforza di arraffare quanto più territorio è possibile, comunque e dovunque, in cerca soltanto di possibili sorgenti di materie prime, con la paura di rimanere indietro nella lotta furiosa per l’ultimo lembo della sfera terrestre non ancora diviso, per una nuova spartizione dei territori già divisi. I capitalisti inglesi fanno tutto il possibile per promuovere nella loro colonia d’Egitto la produzione del cotone, che nel 1904 su 2,3 milioni di ettari di territorio coltivato occupava 0,6 milioni di ettari, vale a dire più di un quarto; i russi fanno lo stesso nelle loro colonie del Turkestan. Perché gli uni e gli altri possono così battere meglio i loro concorrenti esteri, monopolizzare più facilmente le sorgenti di materia prima e creare un trust tessile quanto più è possibile economico e redditizio, con produzione “combinata” Mediante la concentrazione di tutti gli stadi della produzione e della lavorazione del cotone nelle stesse mani. Anche gli interessi d’esportazione del capitale spingono alla conquista di colonie, giacché sui mercati coloniali più facilmente (e talvolta unicamente) si possono eliminare i concorrenti, col sistema del monopolio, assicurare a sé le forniture, fissare in modo definitivo le necessarie “relazioni”7 “.
I monopoli rendono il pianeta instabile da un punto di vista politico ed economico. La guerra tra monopoli non può che aumentare in intensità con il tempo. Le crisi di sovrapproduzione sono diventate sempre più ricorrenti. Dalla Prima guerra mondiale a oggi, lo sviluppo delle tecnologie finanziate dai monopoli è divenuta la causa della sovrapproduzione, si produce velocemente e in quantità infinita. La guerra per il controllo dei mercati è diventata gradualmente più accelerata con il supporto delle “libere scienze”, il risultato finale è la guerra. Lenin deviando da ogni legge stadiale del marxismo instaurò il comunismo in Russia, in quanto comprese che la lotta tra monopoli è fessurazione del sistema che può essere usata dai rivoluzionari quale occasione per abbattere il sistema:
“La libera concorrenza è l’elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest’ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi. Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti. Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore. Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell’imperialismo, si dovrebbe dire che l’imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l’essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e d’altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita8”.
Imputridimento del capitalismo
I monopoli sono diabolici nell’azione, essi secondo il significato etimologico del termine “diabolico” sono divisori, per cui dividono e contrappongono le classi oppresse. Nelle nazioni europee avanzate la classe operaia usufruisce di un miglioramento delle condizioni materiali e giuridiche di vita, ma tale miglioramento sostenuto dai socialdemocratici è ottenuto con lo sfruttamento sanguinario dei popoli assoggettati e colonizzati. La visuale di Lenin non è eurocentrica, ma pensa il mondo dalla prospettiva dei paesi colonizzati. I monopoli con il loro potere corruttivo non solo hanno sostituito la politica, ma hanno spezzato l’unità di classe dei popoli, corrompendo taluni con concessioni materiali mediante la politica di rapina dei popoli colonizzati. Lo sfruttamento è generalizzato, ma con gradualità differenti.
L’unità comunista è spezzata, di conseguenza l’internazionale comunista è anch’essa attaccata dai monopoli con manovre di ordine economico. L’imborghesimento della classe operaia è parte di un lucido disegno dei monopoli e dei rappresentanti della classe operaia occidentale che hanno sostituito la rivoluzione con il riformismo economico e l’eliminazione della gerarchia di dominio con il miglioramento delle condizioni materiali, vi è stato dunque un autentico tradimento in Occidente:
“Qui sono svelati chiaramente cause ed effetti. Cause: 1) sfruttamento del mondo intero per opera di un determinato paese; 2) sua posizione di monopolio sul mercato mondiale; 3) suo monopolio coloniale. Effetti: 1) imborghesimento di una parte del proletariato inglese; 2) una parte del proletariato si fa guidare da capi che sono comprati o almeno pagati dalla borghesia. L’imperialismo dell’inizio del XX secolo ha ultimato la spartizione del mondo tra un piccolo pugno di Stati, ciascuno dei quali sfrutta attualmente (nel senso di spremerne soprapprofitti) una parte del “mondo” quasi altrettanto vasta che quella dell’Inghilterra nel 1858; ciascuno di essi ha sul mercato mondiale una posizione di monopolio grazie ai trust, ai cartelli, al capitale finanziario e ai rapporti da creditore a debitore; ciascuno possiede, fino a un certo punto, un monopolio coloniale (vedemmo che dei 75 milioni di chilometri quadrati di tutte le colonie del mondo, ben 65 milioni, cioè l’86% sono nelle mani delle sei grandi potenze; 61 milioni, cioè l’81% appartengono a tre sole potenze). La situazione odierna è contraddistinta dall’esistenza di condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente l’inconciliabilità dell’opportunismo con gli interessi generali ed essenziali del movimento operaio. L’imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo, s’è sviluppato in sistema dominante i monopoli capitalistici hanno preso il primo posto nell’economia e nella politica; la spartizione del mondo è ultimata, e d’altro lato in luogo dell’indiviso monopolio dell’Inghilterra osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l’inizio del XX secolo. In nessun paese l’opportunismo può più restare completamente vittorioso nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per l’Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di paesi l’opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso, sotto l’aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica borghese9”.
Esportare la rivoluzione in Occidente significa affrontare la resistenza della stessa classe operaia corrotta nella coscienza di classe dalle manovre della politica guidata dai monopoli:
“È da aggiungere soltanto che anche in seno al movimento operaio gli opportunisti, oggi provvisoriamente vittoriosi nella maggior parte dei paesi, “lavorano” sistematicamente, indefessamente nella medesima direzione. L’imperialismo, che significa la spartizione di tutto il mondo e lo sfruttamento non soltanto della Cina, che significa alti profitti monopolistici a beneficio di un piccolo gruppo di paesi più ricchi, crea la possibilità economica di corrompere gli strati superiori del proletariato, e, in tal guisa, di alimentare, foggiare e rafforzare l’opportunismo10”.
Lenin nel giudizio storico di Costanzo Preve
Oggi che l’Unione Sovietica è caduta in modo inglorioso la precarizzazione è divenuta la costante in ogni parte del mondo. Gli oligarchi non hanno timore del comunismo, per cui agiscono senza limite alcuno. L’occasione per ricostruire l’internazionale dei popoli trova oggi le condizioni storiche, ma manza la coscienza di classe. Il grande lavoro dello spirito e della politica che ci attende è ricostruire una egemonia culturale critica e trasformatrice nella quale convogliare, senza settarismi e inutili chiusure preconcette, le forze che già si oppongono al sistema di dominio e sfruttamento globale. In primis bisogna eliminare la leggenda nera del Novecento quale secolo dei soli orrori, versione ideologica ad uso del capitalismo e riportare la verità storica dove regna la violenza ideologica. Le parole di Costanzo Preve ben colgono ed esprimono il pregiudizio principale da trascendere per restituire a Lenin onori ed errori e rimetterci in cammino:
“Gli storici definiscono “leggenda nera” (leyenda negra) la teoria per cui gli spagnoli avrebbero di fatto genocidato i popoli amerindi dell’America Latina. Non sono uno specialista di quella storia, e quanto dico deve essere preso con beneficio d’inventario. A me sembra che gli spagnoli volevano prima di tutto sottomettere e schiavizzare, mentre gli anglosassoni intendevano invece sgomberare il terreno e quindi direttamente genocidare. Se sbaglio mi si corregga. D’altra parte, poiché una immagine vale spesso più di mille pagine di teoria, basta guardare le facce di George Bush e di Hugo Chavez per sapere quale dei due modelli coloniali ha saputo integrare di più i dominati. Ancora adesso chi guarda i telefilm americani vedrà negri in tutte le salse, negri poliziotti, negri pompieri, persino negri dirigenti, ma non vedrà mai coppie miste di neri e di bianchi. Ci si chieda il perché, e si comincerà a capire qualcosa di più del mondo contemporaneo a direzione ideocratica imperiale americana.
Oggi Lenin è il protagonista principale, insieme a Hitler e Stalin (i poveri Mao e Mussolini sono obbligati a sedere in seconda fila!), della “leggenda nera” del novecento, secolo diabolico in cui l’utopia della virtù si è rovesciata in terrore (Hegel, Merleau-Ponty, Furet, eccetera), ed in cui il comunismo non è stato che l’applicazione politica del livellamento fordista al mondo sociale. Poiché noi italiani ci distinguiamo sempre per essere feroci e buffoni (ma spesso non sappiamo che gli altri se ne accorgono, e se non lo dicono è solo per educazione!), questa teoria è italiana come la pizza e l’alta moda, ed ha trovato in Marco Revelli il suo esponente più determinato. Il “pentimento” degli ex Lotta Continua, questo sgradevole fenomeno sociologico, morale ed editoriale, ha evidentemente una durata di molti decenni11”.
Oblio e censura nei decenni di neoliberismo totalitario e antidemocratico post-sovietico hanno rimosso Lenin dalla visuale politica e filosofica. Il sistema addomestica intossicando i subalterni educandoli alla disperazione. Non solo non c’è alternativa, ma il sistema è inviolabile e invincibile, per cui seguendo la morale provvisoria cartesiana si chiede di adattarsi al mondo e di cambiare se stessi e non il mondo. Lenin ci riporta la speranza e la prassi, tutto è ancora possibile, dobbiamo preparare le nuove generazioni al possibile che può apparire in qualsiasi momento. La guerra dei monopoli rende il sistema fragile e instabile, pertanto la fessurazione è già nelle guerre che si consumano nella loro tragica normalità, manca la coscienza di classe, è tutta da costruire, ed è il grande compito che ci attende per superare l’anomia alienante del nostro tempo.
Note
2 Ibidem
3 Ibidem
4 Ibidem, paragrafo: Le banche e la loro nuova funzione
5 Ibidem, paragrafo: Capitale finanziario e oligarchia finaziaria
6 Ibidem, paragrafo: La spartizione del mondo tra le unioni capitalistiche
7 Ibidem
8 Ibidem, paragrafo: Parassitismo e imputridimento del capitalismo
9 Ibidem
10 Ibidem
11 Costanzo Preve, A ottanta anni dalla morte di Lenin (1924 -2004), Comunismo e comunità, 22 gennaio 2014