La guerra in un mondo senza futuro

1. Introduzione.

Il primo dei numeri della rivista “Limes” dedicati alla guerra in Ucraina (uscito a marzo) aveva il titolo “La Russia cambia il mondo”. È un titolo che coglie molto bene uno degli aspetti di fondo della situazione attuale, cioè il cambiamento netto, nella realtà politica mondiale, causato dall’attacco della Russia all’Ucraina. In questo intervento cercherò di esaminare come questo cambiamento si colleghi all’analisi della situazione storica contemporanea che ho sviluppato in vari interventi su questo blog, analisi la cui tesi principale è che l’attuale società capitalistica mondializzata si sta avviando verso un drammatico collasso. Il punto di partenza per queste riflessioni è la sensazione che nei paesi occidentali buona parte dell’opinione pubblica, ma anche degli analisti e degli stessi ceti dirigenti, sia stata colta di sorpresa dall’azione russa, ritenendo evidentemente molto improbabile quello che poi è realmente accaduto. Anch’io ero di questa opinione, perché mi sembrava che una guerra, come quella attualmente in corso, fosse contraria agli interessi di tutti gli attori in gioco, e ovviamente confidavo nella razionalità di tali attori. La realtà ha smentito queste opinioni (che, come ho indicato, ritengo non fossero solo mie), e naturalmente occorre prenderne atto. D’altra parte, il fatto che la guerra sia iniziata e prosegua mi sembra non invalidi del tutto la tesi che vi siano, in questo fatto, forti elementi di irrazionalità, nel senso sopra indicato: tale guerra non appare del tutto congrua agli interessi dei vari attori coinvolti. Questo intervento è dedicato ad una riflessione su questo punto, cioè su come questa vicenda, e la sua disturbante irrazionalità, illumini alcuni aspetti di fondo della realtà contemporanea.

 

2. Irrazionalità degli attori in gioco

Cercherò in questa sezione di mostrare gli elementi di irrazionalità che mi sembrano individuabili nel comportamento dei principali attori in gioco. Prenderò in esame, in quest’ordine, la Russia, gli USA, l’Ucraina.

2.1 Per quanto riguarda la Russia, sembra evidente che la scelta dell’intervento militare è un azzardo assai rischioso. Esaminiamo alcuni dei fattori di rischio. In primo luogo, chi inizia una guerra corre il rischio di perderla, e la sconfitta molto spesso comporta il cambiamento, pacifico o violento, del ceto dirigente. Tutto questo è ovvio, ma nel caso della Russia il rischio sembra maggiore, perché la Russia è uno Stato che presenta vari punti critici: una economia debole e basata sulle esportazioni di materie prime, la presenza di popolazioni diverse che in un momento di crisi potrebbero avanzare rivendicazioni di autonomia o di indipendenza, una strisciante crisi demografica, un deficit di democrazia. Tutto queste debolezze fanno pensare che una sconfitta potrebbe comportare per la Russia una crisi più profonda di un semplice ricambio ai vertici. Non è da escludere, in queste condizioni, l’ipotesi estrema di una frammentazione dell’attuale Federazione Russa, in maniera analoga a quanto è successo alla Jugoslavia. Queste osservazioni vanno legate ovviamente al fatto che l’invasione russa ha causato una risposta decisamente ostile da parte degli USA, e di conseguenza da parte dei loro vassalli europei. Sembra abbastanza evidente che nei ceti dirigenti USA vi sia da una parte chi vede nella Cina il nemico principale, e da questo punto di vista è disposto ad essere conciliante con la Russia; dall’altra, chi intende contrastare in ogni caso entrambe le potenze. Se questo è vero, non si può dubitare del fatto che la mossa di Putin abbia fatto pendere la bilancia in favore della seconda corrente, che appare adesso ispirare la politica estera USA, e che, prevedibilmente, resterà dominante almeno finché durerà la guerra. In questa temperie politica, è chiaro che lo smembramento della Federazione Russa potrebbe diventare, se non lo è già, un preciso progetto dei ceti dirigenti occidentali. In sostanza, la mossa di Putin ha alzato il livello dello scontro e quindi anche le poste in gioco, rendendo possibili scenari estremi che finora erano fuori dell’ambito delle possibilità reali. In secondo luogo si può osservare che la mossa di Putin ha introdotto ulteriori elementi di debolezza per la Russia, cioè le sanzioni economiche occidentali e il consumo di risorse militari che, per quanto grandi, non sono infinite. È probabile che il ceto dirigente russo abbia previsto questi problemi e abbia fatto il possibile per prevenirli. Sembra infatti che per il momento le sanzioni economiche non abbiano l’esito sperato nei paesi occidentali, ma d’altra parte è difficile pensare che esse non provochino un indebolimento del paese, almeno sul medio-lungo periodo e soprattutto pensando al fatto che la Russia ha bisogno delle importazioni di macchinari ad alta tecnologia. Per quanto riguarda l’esercito, appare evidente che la Russia ha programmato un’invasione che non mettesse in campo tutte le proprie forze, per non sguarnirsi, ma in ogni caso la situazione militare al momento in cui scrivo queste righe (fine estate 22) appare bloccata, e ovviamente le operazioni militari non possono continuare indefinitamente senza esaurire le risorse russe. La Russia ha bisogno di una decisiva vittoria, che al momento non sembra vicina. Si può infine osservare che, impegnando l’esercito russo in una guerra in campo aperto, ampiamente monitorata dalle potenze occidentali in tutti i modi possibili (satelliti, agenti sul territorio, collaborazione con l’intelligence ucraina), Putin ha fornito a tali potenze una messe di informazioni sullo stato dell’esercito russo, sui suoi armamenti, le sue capacità, le sue tattiche. Senza che gli occidentali abbiano in sostanza rivelato nulla di analogo dalla propria parte, visto che i loro eserciti non sono direttamente impegnati. In terzo luogo, se l’invasione russa è stata sicuramente accolta con soddisfazione dalle minoranze che si sentivano oppresse dallo Stato ucraino, altrettanto sicuramente ha cementato un senso di appartenenza nazionale e di necessità di difesa del proprio paese da parte della maggioranza degli ucraini. È sicuramente questa una delle ragioni della resistenza che finora l’Ucraina ha saputo opporre all’esercito russo. In sostanza, se la Russia riuscirà probabilmente, alla fine, ad incamerare alcuni territori finora ucraini, pagherà queste acquisizioni con la creazione di un granitico sentimento nazionale e antirusso in ciò che resterà dell’Ucraina, che diventerà così un altro tassello del gruppo di Stati confinanti con la Russia e decisamente ostili ad essa (come Polonia e Stati baltici). Infine, sul piano della politica globale, è evidente che la mossa di Putin spinge la Russia ad una alleanza sempre più stretta con la Cina, proprio perché le debolezze russe delle quali si è discusso rendono impossibile evitare la sconfitta senza un alleato di grande forza come appunto la Cina. Ma è discutibile se questa alleanza stretta sia davvero conveniente, nel lungo periodo, per la Russia: essendo indubbiamente il partner più debole, essa corre il forte rischio di diventare subalterna. È evidente che per la Russia sarebbe stata più conveniente una politica di autonomia sia dall’Occidente sia dalla Cina, una politica che avrebbe più facilmente potuto perseguire i propri interessi nazionali, scegliendo volta per volta il partner dal quale fosse possibile ottenere di più. La mossa di Putin ha in sostanza grandemente ristretto la libertà d’azione geopolitica della Russia.

2.2 Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il punto da mettere in rilievo è che, come abbiamo appena detto, la situazione attuale spinge la Russia ad una stretta alleanza con la Cina. Ora, è abbastanza plausibile pensare che vi siano state, prima della guerra, trattative fra Russia e USA, che la Russia abbia fatto delle richieste come l’accettazione dell’annessione della Crimea e forme di forte autonomia per le zone russofile, e che gli USA le abbiano respinte, favorendo quindi la scelta di Putin di assumersi i rischi di cui abbiamo sopra parlato. D’altra parte, una tesi ampiamente diffusa fra chi si occupa di questi problemi è quella che vede nel confronto USA-Cina il tema strategico fondamentale di questo secolo. La Cina è la potenza emergente di questa fase storica, e passaggi di questo tipo in passato hanno sempre portato a scontri, alla fine anche militari, fra la potenza egemone e quella emergente. Di ciò sono perfettamente consci i ceti dirigenti USA, che in questi anni hanno cercato in vari modi di contenere la crescita di influenza (economica, politica e anche militare) della Cina. Ma se tutto questo è vero, è difficile evitare di trarre la conseguenza che gli USA dovrebbero fare di tutto per evitare una alleanza fra Russia e Cina. Se io sono il numero 1 e so che dovrà prima o poi scontrarmi col numero 2, è mio interesse isolare quest’ultimo e in particolare evitare che esso stringa un’alleanza col numero 3. Entrambi sono più deboli di me, ma messi assieme possono essere molto pericolosi. Rispetto a questo tipo di argomentazioni, il comportamento degli USA, prima e dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, appare come un gravissimo errore strategico: aver prima negato a Mosca quanto chiedeva, e farsi, dopo, leader della coalizione antirussa, significa spingere la Russia all’alleanza con la Cina, che è proprio quello che gli USA dovrebbe evitare ad ogni costo (o quasi). Ci sono spiegazioni per questo che appare come un grave errore strategico? Quelle che mi è capitato di sentire mi appaiono poco soddisfacenti. Come è stato fatto per Putin, si può chiamare in questione l’irrazionalità, ma si tratta di una spiegazione puramente verbale. Dire che un certo comportamento è irrazionale significa semplicemente dire che non lo capisco, che non ho spiegazioni. Si tratta di una confessione di ignoranza. L’irrazionalità, quando diventa fattore storico significativo, non è una spiegazione perché va a sua volta spiegata. Un esempio di possibile spiegazione sarebbe il considerare l’ipotesi, alla quale abbiamo già accennato, che una strategia di lungo periodo degli USA sia quella della distruzione della Russia, e della creazione, come inevitabile conseguenza, di una fascia di instabilità, conflitti e rischi politici e militari di vario tipo nel cuore dell’Eurasia. Questa “strategia del caos” avrebbe come scopo, in questa ipotesi, di creare il caos proprio ai confini della Cina, in maniera che essa ne venga coinvolta, in un modo o nell’altro, e si trovi quindi bloccata nella sua crescita verso l’egemonia mondiale. Se questa è la strategia USA, sembra comunque altrettanto rischiosa per gli USA di quanto l’invasione lo sia per la Russia: infatti, creare il caos in un paese che possiede migliaia di testate nucleari potrebbe mettere in questione la stessa sicurezza nazionale USA; inoltre, lo sfaldamento della Russia creerebbe sicuramente problemi alla Cina, ma potrebbe offrirle anche una possibilità di espansione nelle ricche terre della Siberia orientale, e in generale l’opportunità di agire come agente di ordine in una Eurasia resa caotica, ampliando così la sua sfera di influenza e di potere, e magari creando un vastissimo “impero asiatico” che rappresenterebbe la base territoriale dalla quale lanciare la sfida agli USA.

2.3 Infine, per quanto riguarda l’Ucraina, la scelta di combattere una guerra contro un nemico dotato di risorse molto maggiori è una scelta autodistruttiva. È ovvio che nessun ceto dirigente statale accetta volentieri diminuzioni della propria sovranità, ma il punto è che, a meno di svolte drastiche nel corso della guerra, tali diminuzioni verranno comunque imposte, ad un grado maggiore o minore a seconda di ciò che accadrà sul campo: e a quel punto l’Ucraina si troverà ad aver perso parte dei propri territori, e soprattutto si troverà con una economia devastata. Appare del tutto ovvio che sarebbe stato più sensato, per l’Ucraina, accettare subito perdite territoriali limitate ma evitare i disastri della guerra. Si possono riassumere le riflessioni fin qui svolte dicendo che il probabile esito finale di questa guerra sarà la sconfitta di tutti gli attori in gioco. Per “probabile esito finale” intendo una situazione in cui l’esaurimento delle risorse porterà ad una stabilizzazione del fronte che diverrà poi, materialmente o anche formalmente, la linea di confine. In questo modo, la Russia avrà incamerato una parte di Ucraina, ma a caro prezzo: farsi ancora più nemici tutti i paesi europei con lei confinanti (la richiesta di adesione alla NATO di due paesi tradizionalmente neutrali come Finlandia e Svezia è un segnale forte in questo senso), peggiorare la propria economia, specie nei settori tecnologici, diventare dipendente da una potenza non del tutto amichevole come la Cina. Gli USA avranno indebolito la Russia ma rafforzato la Cina regalandole appunto la Russia, e non sembra una mossa di grande genialità. L’Ucraina avrà ottenuto di conservare una identità statale, ma sarà un paese devastato e impoverito. Se davvero questo è l’esito più probabile della guerra in corso, l’irrazionalità delle scelte fin qui compiute da tutti gli attori appare evidente.

 

3. Scelte razionali.

Erano possibili scelte più razionali? È difficile rispondere, perché ci manca la conoscenza completa della situazione reale, che è a disposizione di ristretti ceti dirigenti. Non sappiamo quali siano i rischi reali che Russia, Ucraina, USA ritenevano di correre se avessero fatto scelte diverse. Il quadro completo della situazione ce l’avranno gli storici non prima di venti o quarant’anni, e solo allora sarà possibile una discussione approfondita. Senza avere, quindi, la pretesa di una comprensione esaustiva, mi sembra però ragionevole far presente che in altri momenti, in situazioni non troppo diverse, i paesi occidentali hanno saputo usare strategie più sottili, che hanno dimostrato la propria efficacia con la vittoria nella Guerra Fredda. Se pensiamo a quella fase storica, è facile rendersi conto che, in una formula, la Guerra Fredda l’hanno vinta i supermercati, non i carri armati. Ovvero, è stato il chiaro ed evidente spettacolo del benessere delle popolazioni dei paesi occidentali, contrapposto alle difficoltà quotidiane di quelle dei paesi dell’Est, a costituire il fattore decisivo, che ha permesso di far crollare il socialismo reale praticamente senza l’uso dello strumento militare. Ovviamente, ci voleva anche lo strumento militare per dissuadere il blocco orientale dal tentare avventure militari in Europa, ma una volta stabilizzata la situazione nell’equilibrio deciso a Jalta, il fattore decisivo per la vittoria dell’Occidente sono stati, come si diceva, i supermercati pieni di merci. Se questo è vero, sembra allora chiaro quale dovrebbe essere la strategia vincente per USA e paesi occidentali: il primo passo sarebbe arrivare il più presto possibile ad una stabilizzazione della situazione in Ucraina con la divisione (per dirla in maniera grezza) fra una “Ucraina orientale” controllata dai russi e una “Ucraina occidentale” legata all’Occidente; il secondo passo, e sarebbe naturalmente quello decisivo, dovrebbe consistere nel trasformare, grazie agli aiuti, agli stimoli economici, al dinamismo generale, una tale Ucraina occidentale un paese ricco e prospero, mentre l’Ucraina orientale ovviamente sarebbe in difficoltà economica esattamente come la Russia. Il confronto fra le due situazioni eroderebbe lentamente l’eventuale consenso di cui forse godono i russi nella parte orientale, e presto o tardi l’Ucraina orientale farebbe la stessa fine della Germania Est. Ma è facile rendersi conto che un analogo ragionamento vale anche per gli attuali vertici dello Stato russo: dopotutto, perché non dovrebbero essere loro a fare propria la possibile strategia occidentale, sopra accennata, e trasformare la possibile “Ucraina dell’Est” in una paese ricco e prospero, così da diminuire il numero degli ucraini che guardano ad Occidente? Ma in realtà questo discorso si può estendere alla stessa Federazione Russa. Si tratta di un paese ricco di risorse ancora da sfruttare, con tradizioni scientifiche e tecnologiche di tutto rispetto: la risposta razionale rispetto alle pressioni che la Russia ritiene di subire dagli USA dovrebbe allora essere quella di trasformare la Russia stessa in un paese ricco e prospero, capace di attirare i paesi vicini nella propria orbita non con la forza delle armi ma con la forza del benessere. Non sembra che gli attuali ceti dirigenti russi abbiano la capacità o la volontà di muoversi in questa direzione.

 

4. La ragione di questa follia.

Ci avviciniamo, io credo, al cuore del problema se proviamo a riflettere sul perché nessuno degli attori in gioco ha adottato il tipo di strategia indicata nel punto precedente. Per quanto riguarda i paesi occidentali credo che il punto decisivo sia che essi non sono più in grado di ripetere quanto fatto nel dopoguerra: non sono più in grado di assicurare un benessere diffuso ai cittadini, e di garantirlo per il futuro prevedibile. Al contrario, negli ultimi decenni abbiamo visto in Occidente una continua erosione, almeno per i ceti medi e bassi, dei diritti e dei livelli di reddito ottenuti nei decenni precedenti, abbiamo visto crisi economiche dalle quali è sempre più difficile riaversi, abbiamo visto disoccupazione, precarietà, crescita delle disuguaglianze. Non mi dilungo su questi punti, perché si tratta del passaggio dalla fase “keynesiano-socialdemocratica” del capitalismo del dopoguerra a quella “noliberista-globalizzata” del capitalismo attuale, sulla quale si è ormai detto tutto o quasi. Possiamo solo aggiungere che alla perdita di diritti e redditi dei ceti subalterni, indotta dalla fase attuale del capitalismo, si aggiunge l’angosciante realtà di un processo ormai avviato di stravolgimento degli equilibri sistemici del pianeta, processo che rende sempre più realistica la prospettiva di un collasso dell’attuale civiltà. I gruppi dirigenti occidentali non sono ovviamente interessati alla difesa di diritti e redditi dei ceti subalterni, visto che hanno attivamente contribuito a eroderli, lungo gli ultimi decenni; ma non appaiono neppure realmente interessati a fermare il processo di degrado sistemico dei cicli ecologici del pianeta che l’attuale organizzazione economica e sociale genera. Ma accettare il degrado delle condizioni di vita dei ceti subalterni, e la distruzione dell’ambiente naturale che per millenni ha sorretto l’evoluzione delle società umane, significa in sostanza non avere prospettive di futuro. I gruppi dirigenti occidentali possono continuare in questa traiettoria, distruttiva per la civiltà, perché sono espressione di ristrettissimi ceti globalizzati di ricchi e super ricchi, evidentemente convinti che ricchezza e potere li metteranno al riparo dalle catastrofi che si preparano. Finora ho parlato dei ceti dirigenti occidentali, ma è evidente lo stesso si può dire dei ceti dirigenti della Russia: anch’essi non sono in grado di impostare la strategia egemonica sopra accennata, perché in ogni caso la Russia è interna a una società capitalistica globale che sta declinando, e i leader russi, come quelli occidentali e quelli ucraini, non sono interessati al benessere del proprio popolo, ma sono espressione di ristretti ceti oligarchici a cui interessa solo utilizzare le risorse del proprio paese per accumulare ricchezze.

 

5. Un mondo senza futuro

In definitiva, il punto a cui siamo arrivati è il seguente: i ceti dirigenti delle varie potenze mondiali, per quanto fortemente contrapposti sul piano delle dinamiche globali del potere, sono accomunati dall’incapacità di offrire ai loro popoli la prospettiva realistica di una vita dignitosa nel prossimo futuro. Per di più, nella sostanza della loro azione, appaiono essenzialmente indifferenti alla prospettiva di un collasso drammatico dell’attuale civiltà, collasso indotto dalla sempre più evidente alterazione dei cicli fisici, geologici e biologici del pianeta. Tutto questo non fa che rendere evidente la mancanza di prospettive degli attuali ceti dirigenti. L’irrazionalità che appare nelle scelte strategiche dei vari attori è una conseguenza di questa mancanza di prospettive, che non siano quelle dell’arricchimento di ceti ristretti. Per spiegare meglio la tesi che qui si espone, facciamo un paragone con la situazione storica del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, i “trent’anni gloriosi” dello sviluppo capitalistico, del Welfare State e del confronto USA-URSS. Anche in quella fase storica, naturalmente, vi sono stati eventi imprevisti che hanno turbato le strategie e le interazioni di potere fra le potenze e le superpotenze, e vi sono state, di conseguenza, valutazioni erronee e comportamenti non razionali, come sempre ve ne sono nella storia. La mia tesi è che ci sia una fondamentale differenza fra quella situazione e il mondo attuale. In quella fase, la realtà di un progresso effettivo per le società e gli individui forniva alle strategie politiche uno sfondo di solidità, sicurezza, fiducia, sulla base del quale era possibile affrontare le crisi impreviste e rimediare agli errori di valutazione: in ogni caso, era fiducia diffusa (e ben risposta, almeno per quella fase) che le tante crisi non avrebbero potuto cambiare radicalmente la direzione progressiva del divenire storico. Tali crisi era solo perturbazioni rispetto al vettore del progresso: perturbazioni che potevano essere gravi, e avere conseguenze tragiche per tanti individui, ma che non cambiavano i riferimenti di base delle strategie politiche. È questa situazione di fondo ad essere oggi completamente diversa: la prospettiva di un collasso generalizzato dell’attuale civiltà, causato dall’accumularsi di crisi sempre più numerose e sempre più difficili da gestire, provoca il venir meno dei riferimenti fondamentali delle strategie delle potenze, e quindi il loro carattere sempre più inadeguato alla realtà. È questa, a mio parere, la radice ultima dell’irrazionalità che emerge da una vicenda come quella della guerra ucraina: i ceti dirigenti delle potenze mondiali lottano in un mondo che non ha una prospettiva di futuro, e lo fanno restando all’interno della logica che sta portando questa civiltà al collasso, la logica del capitale e della sua espansione senza fine e senza fini. Per fare un’analogia, la situazione dei ceti dirigenti attuali è analoga a quella di un membro del senato romano che, nel 465 d.C., si lanciasse in trame e scontri per cercare di salvare il ruolo e il potere dell’Impero Romano d’Occidente mantenendone la struttura sociale ed economica di base, che stava crollando: tutti i suoi piani e le sue strategie, per quanto abilmente concepite, apparirebbero nella sostanza irrazionali. Questa situazione potrebbe cambiare solo se, di fronte al collasso prossimo venturo, vi fosse qualche forza sociale e politica disposta a uscire dalla logica di questo sistema sociale morente, e quindi a cambiare radicalmente gli assetti dell’attuale mondo globalizzato nelle forme e nei modi necessari per rendere vivibile e giusto il mondo che emergerà dal collasso. È mia convinzione che questo necessariamente significhi la fuoriuscita dal capitalismo e la costruzione di una qualche forma di organizzazione che, in mancanza di parole migliori, chiamerò ecosocialista. Una tale forza sociale e politica è però del tutto assente dall’orizzonte delle possibilità effettive del presente e del futuro prevedibile. In un mondo senza futuro, gli scontri fra le potenze per l’egemonia mondiale, attuati mentre l’intera civiltà attuale si sta avviando al collasso, non faranno che accentuare la dinamica del collasso stesso.

Crisi Ucraina-Russia: cosa succede (ed è successo) spiegato in maniera  semplice - Auralcrave

Fonte foto: Auralcrave (da Google)

2 commenti per “La guerra in un mondo senza futuro

  1. Enza
    2 Settembre 2022 at 19:16

    Analisi ben strutturata.
    Temo che si invererà quanto si paventa nelle conclusioni.
    Mi stanca, mi disturba essere pessimista o, se si vuole, amaramente disincantata.

  2. claudio
    4 Settembre 2022 at 19:52

    Articolo debole nella premessa secondo la quale la civilta’ avrebbe solo il vettore economico capitalistico rispetto al quale ci sono Paesi progrediti occidentali in declino e Paesi meno progrediti destinati allo stesso declino. Ma la civilta’ e’ legata anche a fattori immateriali di cultura, religione e nazionalita’. La globalizzazione mercantilistica e’ un sogno capitalistico incapace di dare prospettive al mondo.

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