Ci voleva Israele per ricompattare un Occidente spaccato tra liberal e trumpiani. E ci voleva la guerra, chiedo scusa, la proditoria aggressione contro uno stato sovrano, l’Iran, dipinto naturalmente da tutto l’apparato mediatico occidentale a reti unificate come l’incarnazione dell’oscurantismo e del Male Assoluto. I leader del G7, riuniti in Canada, hanno avuto addirittura l’impudenza di dichiarare che “l’Iran è la principale fonte di instabilità e terrore nella regione”.
Ci sarebbe da ridere, anzi da sghignazzare,
se le cose non fossero purtroppo maledettamente serie. Israele sta perpetrando
un genocidio a Gaza da quasi due anni, occupa le terre dei palestinesi fregandosene
delle decine e decine se non centinaia di risoluzioni dell’Onu che le “intimano”
di abbandonare i territori occupati, attacca e invade ripetutamente e impunemente
altri stati sovrani in tutta l’area mediorientale, sostiene e manda al potere in
Siria, insieme alla Turchia e agli USA, i terroristi dell’ex ISIS (contro i quali
l’Iran ha sempre combattuto), manda i suoi sicari in giro per il mondo ad
assassinare i suoi oppositori, e questa gente ha la faccia tosta di affermare
che “l’Iran sarebbe la principale fonte di instabilità e di terrore nella
regione”.
Chiariamo subito una cosa. Il fatto che l’aggressione in corso sia stata determinata dalla volontà di stoppare il programma nucleare iraniano è soltanto un alibi, né più e né meno delle famose armi di distruzione di massa che sarebbero state in possesso dell’Iraq di Saddam Hussein. Israele e gli Stati Uniti avevano già programmato l’attacco, tanto più che l’Iran non dispone dell’arma atomica. L’obiettivo strategico è riconquistare la totale egemonia da parte degli USA e di Israele nel quadrante mediorientale, cioè di un’area strategica sotto ogni punto di vista, il controllo della quale condiziona e sposta gli equilibri a livello mondiale. L’eventuale crollo dell’attuale regime iraniano sarebbe infatti un colpo durissimo non solo per i movimenti di liberazione nazionale palestinesi e libanesi che resterebbero soli e senza alcun sostegno, ma anche per la Russia, per la Cina e per tutti i paesi che fanno riferimento all’area dei BRICS. Lo stesso processo verso un mondo multipolare subirebbe una oggettiva e durissima battuta d’arresto. E’, dunque, evidente, che per Israele e per gli USA questa è una guerra che ha una valenza strategica. Vincerla e insediare a Teheran un governo amico se non un vero e proprio satellite significherebbe per gli Stati Uniti riconquistare, almeno parzialmente ma significativamente, quell’egemonia perduta sul mondo, avere un altro stato alleato che funga da contenimento nei confronti di Russia e Cina (specie dopo il disastroso abbandono dell’Afghanistan), accedere a massicce risorse energetiche, controllare vie di comunicazione fondamentali (lo stretto di Hormuz e il Mar Rosso) dove transita una enorme quantità di merci, e infliggere un duro colpo alle ambizioni economiche e commerciali della Cina, interrompendo la sua “Belt and Road Initiative”, meglio nota come Nuova Via della Seta.
Per queste ragioni, dopo aver
destabilizzato la Siria, storica alleata dell’URSS prima e della Russia dopo, è
quindi la volta dell’Iran. Se riuscissero nell’intento di abbattere la
Repubblica Islamica, Israele avrebbe mano libera – ancor più di quanta non ne
abbia già oggi – per radere al suolo Gaza, occupare quel che resta della
Cisgiordania ed espellere definitivamente i palestinesi dalla loro terra. Al
contempo anche Hezbollah resterebbe solo e Israele avrebbe buon gioco (anche se
non sarà affatto facile) nel chiudere definitivamente i conti con quest’ultimo.
L’annichilimento di Hamas ed Hezbollah,
oltre che dell’Iran, è propedeutico al controllo di tutta l’area e alla
realizzazione dei famosi “Accordi di Abramo” (cooperazione economica,
commerciale fra Israele, Emirati Arabi Uniti e Barhein) e soprattutto dell’IMEC
(India-Middle East-Europe Economic Corridor), meglio conosciuta come “Via
del Cotone”, cioè l’alternativa occidentale alla cinese Via della Seta.
Come vediamo, dunque, la partita
in corso è gigantesca e i media si guardano bene dallo spiegare tutti questi fondamentali
risvolti che contribuiscono in maniera decisiva (oltre al fanatismo ideologico
della destra integralista ebraica e sionista) a determinare gli accadimenti in
corso.
In tutto ciò appare quindi evidente
come Israele sia la protesi di tutto il mondo occidentale e in particolare
degli Stati Uniti. E quando c’è di mezzo Israele vengono a cadere tutte le
divisioni all’interno sia degli Stati Uniti che di tutto il mondo occidentale.
In parecchi, anche e soprattutto negli
ambienti del cosiddetto dissenso, avevano cominciato a simpatizzare apertamente
per Trump, addirittura dipingendolo come una sorta di portatore di pace, come colui
che avrebbe posto fine alla guerra con la Russia in virtù delle sue buone
relazioni con Putin e financo all’imperialismo, un uomo di rottura con il
passato, un costruttore di nuovi equilibri mondiali e ispiratore di un nuovo
modello di presunto “autentico” capitalismo (naturalmente si tratta di una
truffa ideologica ma su questo tema rimando ad un successivo articolo che
scriverò sulla natura del “trumpismo”). Illusi, nel migliore dei casi forse animati
dalla speranza, sicuramente superficiali e privi di capacità analitica e di
visione politica.
In realtà, infatti, come vediamo,
siamo in una linea di sostanziale continuità con il passato e con quella che è
sempre stata la strategia dei neocons e dei neoliberal americani. Nell’impossibilità
di competere a livello economico e commerciale con la Cina, con un debito pubblico
anche e soprattutto verso altri paesi che ha raggiunto la spaventosa e
inimmaginabile cifra di 36mila miliardi di dollari, gli USA optano ancora una
volta per la via militare, la sola che gli resta e che comunque rimane un
deterrente fondamentale. Costituiscono
un tutt’uno con Israele, con il quale hanno un rapporto organico, al di là di
chi sia l’ “inquilino” della Casa Bianca. Del resto, uno dei più importanti
centri di potere negli USA è l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), cioè la più potente lobby sionista mondiale composta trasversalmente
da democratici e repubblicani, dalla quale anche Trump, inevitabilmente, come
tutti i presidenti americani, prende ordini.
Registriamo, al contempo, anche
il sostanziale silenzio, al di là di qualche tiepida e scontata dichiarazione
di condanna dell’aggressione israeliana, da parte dei paesi arabi cosiddetti “moderati”
(cioè alleati o satelliti degli Stati Uniti) e delle varie “petromonarchie” che
certamente non nutrono nessuna simpatia per l’Iran e per il mondo sciita, anche
per le ragioni economiche e geopolitiche a cui ho sommariamente fatto cenno poc’anzi.
Hanno sicuramente l’interesse a indebolire e a ridimensionare fortemente l’Iran,
ma forse non proprio ad annichilirlo, perché questo significherebbe lasciare
campo totalmente libero ad Israele che diventerebbe il padrone assoluto dell’intera
regione.
Bisognerà anche vedere quale sarà
l’andamento del conflitto, per nulla scontato. Israele ha interesse ad una
guerra lampo, per ragioni strutturali. E’ un piccolo stato, anche se armato fino
ai denti, altamente tecnologico, dotato di una potente aviazione ma non di un
notevole arsenale missilistico; esattamente il contrario dell’Iran che ha una
flotta aerea scarsa e in gran parte obsoleta ma una notevole potenza
missilistica. L’Iran è un paese grande circa cinque volte l’Italia, con quasi
90 milioni di abitanti, mentre Israele ha una popolazione dieci volte inferiore
ed un territorio estremamente ridotto, equivalente a quello della Lombardia. I
centri nevralgici e le industrie israeliane sono concentrati in pochissimi
centri mentre quelle iraniane sono sparpagliate su tutto il territorio
nazionale e anche questo rappresenta un vantaggio per gli iraniani. Sul
medio-lungo periodo (due-tre mesi) l’Iran potrebbe avere frecce al suo arco e
trattare da una posizione non così debole. Israele se la deve giocare invece
sui tempi rapidissimi, due o tre settimane, per questo i suoi attacchi sono
così virulenti, sa che il nemico ha una maggiore capacità di resilienza. Ed è
per questi limiti strutturali che diventa necessario l’appoggio degli Stati
Uniti che potrebbero entrare direttamente in guerra.
L’obiettivo, come dicevo, è
provocare un “cambio di regime” che potrebbe avvenire (ma è tutto da vedere che
avvenga) attraverso il combinato disposto della pressione militare esterna (compresa
l’eliminazione fisica del gruppo dirigente iraniano) e di una possibile
sollevazione interna da parte di settori dell’apparato politico e militare e di
settori sociali, la borghesia detta del “bazar”, cioè quegli strati di media e medioalta borghesia insofferenti verso
gli ayatollah, desiderosi di una occidentalizzazione del paese e di una sua
ricollocazione internazionale.
In tal senso, la guerra
ideologica dell’apparato mediatico occidentale si è ulteriormente accentuata
con l’inizio delle ostilità. La guerra è giustificata non solo nel nome del
diritto di Israele a difendersi anche quando è palese che è l’aggressore (alla
faccia della retorica dell’aggressore e dell’aggredito, tanto utilizzata,
deformando la realtà, per criminalizzare la Russia) ma anche e soprattutto del “mondo
occidentale democratico” ad agire preventivamente contro i “nemici della democrazia
e del mondo libero” e di quella che sostanzialmente viene considerata la
superiore civiltà occidentale. In fondo sono più o meno le stesse bandiere
ideologiche che l’Occidente ha da sempre sventolato per coprire le sue
politiche e le sue guerre imperialiste nel mondo. Poi che in queste guerre vengano
arruolati regimi tirannici e tagliagole di ogni genere (poi riabilitati, al
bisogno…) è del tutto secondario.
Sostanziale silenzio anche da
parte del nuovo pontefice, al di là dei soliti e scontati richiami alla pace e
al rispetto del diritto internazionale (sai quanto gliene frega ai macellai
sionisti e ai loro amici amerikani…).
In altre parole, è in gioco la
possibilità da parte del mondo occidentale, con i suoi padroni e servi al
seguito, di tornare ad essere egemone sul pianeta o, quanto meno, di imprimere
una forte e strategica battuta d’arresto al processo multipolare. E siccome
Parigi val bene una messa (e che messa!!), è bene che tutti si mettano sull’attenti
e senza discutere. Diciamo che non c’è stato bisogno di insistere …
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