Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Da quando il precipitare ha cessato di essere mala prospettiva e fastidioso sentore ed è divenuto sempre più chiaro agli occhi di un popolo che, grossolanamente, può essere rappresentato solo dal partito dell’astensione, sono susseguiti innumerevoli interventi di denuncia socio-politico-economico-sociale. Se tutte queste energie siano cadute nel niente – che resta dietro le reti a strascico del digital-capitalismo – o se hanno qualche potere di fare breccia non si sa. La loro natura dipende da chi sente il vuoto sotto di sé.Giungeremo in fondo sfracellandoci o avremo modo di salvarci? La nostra identità e i nostri valori saranno spariti o potremo ancora credere nella politica, nella democrazia?
Sebbene il
bottone rosso dell’allarme sia stato pigiato fin dagli albori
dell’industrializzazione – mi riferisco a Ralph Waldo Emerson, a Henry David
Thoreau e a Walt Whitman – per segnalarne l’implicito potenziale nefasto, il
pazzo treno dell’ingordigia non è stato fermato. Non solo, la sirena non ha mai
cessato di diffondere l’avvertimento per tutto il tempo che ne è seguito fino a
noi. Mi riferisco a Spencer, Heidegger, Jünger, Guénon, Nietzsche, Debord,
Pasolini, Næss, Ceronetti, Gaber, De André e, per ultimo Todd (1),per ricordare
tra tutti quelli al momento affacciati alla mia memoria. Ma anche la loro voci,
le loro poesie, le loro canzoni e le loro argomentate critiche sono cadute nel
liquamoso pozzo nero del pensiero unico. Un sito oscuro in cui tutto
l’umanesimo non è che cibo per i caimani del profitto e del controllo che vi
sguazzano. Il totem dell’uniformizzazione emerge al centro come un faro nella
nebbia. Intorno ad esso nuotano i resti umani degli uomini. Dal bordo del pozzo
ne si sente il vociare disperato e le urla strazianti. Sono le loro speranze e loro
preghiere di salvezza. I due sintomi terminali del si salvi chi può.
Grida,
questa volta, dal basso e corifere, non più solo intellettuali e raffinate,
tutte di carne, per nulla organizzate e neanche razionali, ma spontanee e irreprimibili
che, più di quanto possa un discorso, un proclama o un intento, corrono su
ponti emozionali, diffondendosi e raggiungendo per simpatia, prima delle
orecchie, i cuori di molti.
Se
l’edonismo, con la sua nostrana Milano da bere, aveva rotto gli argini
di un modo di pensare economico, politico e privato di tipo analogico, quindi
umano, e la foga globalistica ha invece avuto il nefasto merito di inondarne i
solchi tradizionali, in cui la vita trovava il suo senso e il suo scopo,
annegando le ragioni di identità individuale e comunitaria, è stata la
digitalizzazione a frantumare l’orizzonte di terra, sostituendolo con uno
virtuale così ben fatto e soddisfacente da entusiasmarne i nativi. Perché
digitale significa senza alcuna possibilità di relazione umana, millimetrico
controllo fisico e psicologico da remoto, al fine dell’elaborazione di
algoritmi sempre più preveggenti dei nostri gusti consumistici e dei nostri
intenti di potenziale fastidio dell’ordine imposto. Due momenti sostanziali per
mantenere la rotta egemonica che i potentati occidentali cercano di non perdere.
Lo
smarrimento nei confronti del futuro è generale, in quanto è chiaro che in esso
non siamo previsti se non come carte di credito da consumi. Il progetto di ciò
che verrà non ha spazio se non per qualsivoglia strategia obbediente al solo
comandamento di ridurre il costo del lavoro al fine di tenere testa alle flotte
del mar giallo d’oriente, in navigazione verso occidente, e contemporaneamente
cercare di arginare quelle acque per evitare diventino il solo oceano del
mondo.
Per questo
e nessun altro motivo siamo arrivati al 24 febbraio 2022, alla conseguente
criminalizzazione della Russia, orso da abbattere al più presto per poi
occuparsi dei panda ancora più a est. Per questo motivo l’opera immonda di
Israele, peggiore di quella hitleriana, in quanto venuta dopo, non ha motivo
d’essere contrastata. Come rinunciare all’occasione ben provocata, di istituire
una più solida base occidentale nel cuore del Medio Oriente?
Alla
digitalizzazione, quale discendenza spontanea ha fatto seguito l’intelligenza
artificiale, portatrice sana dei virus più devastanti di un’atomica, geniale
arma di innocente distruzione di massa, formidabile strumento fratricida, i cui
untori inconsapevoli siamo noi, cavallette devastatrici dell’ultimo campo
esistenziale in cui si potevano coltivare gli ultimi nutrimenti umani.
Il valore
della solidarietà, il senso di umanità, la percezione di essere misteriosi
miracoli cosmici non poteva che perire sotto il fuoco che una volta, fino a
pochi anni fa, era amico, cioè sparato dai tanti invaghiti che, come al tempo
delle dittature, hanno scelto di adeguarsi per cercare di raggiungere un posto
al sole.
Ma la
caduta del plinto storico sul quale gli uomini poggiavano se stessi e il loro
immaginario già indebolito, è dovuto anche ad altre crepe demolenti. Anche se
l’elenco di ciò che ha insistito sul plinto fino a farlo cedere è ben più
consistente, esso è crollato anche per l’insostenibile peso della
finanziarizzazione dell’economia, dell’immigrazione sconsiderata,della prostrazione
dei sindacati, primi fautori della vittoria del precariato nella sua
sarcomerica forma liberistica.
Il
vorticoso precipitare è simile a una orgiastica festa eticamente blasfema,
bagnata da rovesci di coriandoli e cascate di champagne, come quelle dei
campioni sul podio, alla quale la sinistra, mossa dalla convinzione di trovare
di che rinnovare sé stessa, ha partecipato con entusiasmo. Nell’ebbrezza del
nuovo corso, ha dimenticato che l’aggiornamento di sé avrebbe dovuto quantomeno
non ripudiare la propria missione popolare. Così si è data svendendo, se non
regalando anima e corpo, abbracciando le nuove politiche economiche e dei
diritti individuali, con le quali, credendo di stare al passo dei tempi, di
fatto ha reciso il canapone che la teneva ormeggiata alla banchina sociale che
l’aveva varata.
Il
progressismo, idolatria dei progressisti assolutamente europeista e occidentale,
sembra il protagonista di uno psicothriller artefatto, ma invece è vero ben più
di quanto potesse esserlo 1984 di George Orwell. L’Unione Europea, ora con le
pazze donne che la guidano, quell’entità nata per calcolo economico, abortita
da subito per mancanza di un’anima comunemente sentita e riconosciuta da
nessuno se non dai commercianti e dai non eletti che ne ciucciano denaro seduti
al più autoreferenziale parlamento della storia umana, tenuta in vita da un
accanimento ideologico pari alle opere d’ingegno umano tra le più mirabolanti e
per la quale nessuno è disposto a staccare la spina. È questo il cuore freddo
dell’Unione Europea, un proto stato dello spessore del domopack, senza una
politica degna di questo nome, che non sia fare i desiderata di pochi e essere
sorda alla voce dei molti. Un comandante arrogante e repressivo, ma senza
seguito, sta conducendo una battaglia, prima che contro il nemico che ha
inventato, o che gli è stato indicato, contro i suoi popoli, che sa essere
ammutinati in fieri.
Come se non
bastasse il presente, nel passato il calcolo della maternità surrogata dalla
quale è nata la Comunità Economica Europea, poi Europa Unita e oggi Unione
Europea era errato. E c’è da credere lo sapessero. Se Prodi e i suoi amici
dicevano che il cambio lira/euro sarebbe stato a favore degli italiani, se
diceva che avremmo perciò potuto lavorare meno e guadagnare di più,
siamo ora – e da tempo – alla resa di impietosi conti, il cui totale tecnico
lascio agli esperti, ma la cui somma negativa è un fatto, ovvero l’allargata e
crescente fascia sociale sempre più vessata, sempre più povera, sempre più
larga, sempre più precarizzata e sempre più odiata, proprio e in primis da
quella sinistra che l’aveva avuta come madre. Ma sempre meno tollerante.
Mentre
precipitiamo aumenta il numero di chi finalmente sta vedendo l’onda lunga,
quella che a star dietro al gossip del mondo non ha modo di sorgere
all’orizzonte della consapevolezza. Così, la ricchezza mondiale, sempre più
concentrata nelle mani di infime percentuali di entità e di uomini, che fa
quadrato e spontaneo cartello contro il resto del mondo per costringerlo entro
il paddok e seguitare a mungerlo, non è più identificata come una notizia
bufala, da complottista, ma qualcosa a cui prestare attenzione, qualcosa per
cui prendere le distanze dal divano. Cosicché, siamo al punto che i privati
controllano il mondo, più di quanto non possano i nostri voti, in particolare
quello cosiddetto occidentale e democratico. Spadroneggiano con il presunto
diritto di uccidere e con quello di decidere le sorti politiche degli stati e
di miliardi di persone. La storia nell’epoca del digitale sanguina assai di più
di quanto non accadesse in quello analogico dell’arma bianca.
Dunque
l’urlo corifero – dicevamo in apertura – come ad ogni tornata, cioè ad ogni
volta che si ritorna a fare mente locale di quanto sta accadendo, del buco nero
in cui stiamo precipitando, dovrebbe ora condensarsi in azioni di contrasto,
almeno fino a quando un altro diversivo, come zucchero a velo cosparso sulla torta della realtà non sia cosparso
come bombe a grappolo sui nostri pensieri e sentimenti dai droni della grande
comunicazione per distrarci e finalmente lasciarci tornare sul divano guardare
Sanremo.
Nota
- Emmanuel Todd, La sconfitta dell’Occidente, Fazi, 2024.
- vedi anche: https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/05/dazi-trump-austerita-unione-europea/7864150/
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